L’America di Trump II – Affarinternazionali

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Donald Trump si è insediato alla Casa Bianca solamente il 20 gennaio scorso, ma tanta e tale è la mole di iniziative di rottura adottate dalla nuova amministrazione che lo shock è già frastornante. 

Come molti ormai hanno imparato, l’America First, o il movimento MAGA, che Trump incarna, implica molte cose: declinismo (cioè l’idea che l’America sia in una fase di decadenza morale da cui solo Trump può risollevarla), nativismo (l’unione di nazione e confini in chiave anti-immigrati), nazionalismo cristiano e conservatorismo sociale in opposizione a una visione più cosmopolita e liberale.

In politica estera, America First è un mix di protezionismo, unilateralismo e realpolitik, con patti di convenienza fra grandi potenze al posto di regimi multilaterali e alleanze tradizionali, senza grande riguardo per i paesi presi in mezzo come l’Ucraina; e a questo si aggiunge ora l’espansionismo territoriale, dalla Groenlandia al Canale di Panama fino al Canada o alla Striscia di Gaza. Anche il rapporto con l’industria high-tech riflette una logica di potenza: Trump è incline a promuovere il predominio tecnologico americano, peraltro favorendo i giganti del settore con deregolamentazione e vantaggi fiscali. In cambio esige fedeltà, soprattutto nella gestione dell’informazione – ovvero moderazione dei contenuti e fact-checking – sui social media.

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In questo quadro, l’attuazione dell’America First è diventata inseparabile dal potere personale del presidente, ed è qui che si inserisce la relazione speciale fra Trump e Elon Musk

Trump ritiene che il suo primo mandato sia stato sabotato da una serie di nemici interni: l’establishment repubblicano che ne avrebbe moderato le ambizioni; l’amministrazione federale che ne avrebbe ignorato o distorto gli ordini; e la stampa critica che l’avrebbe calunniato. Trump ha passato gli anni di esilio dalla Casa Bianca a preparare e in parte già avviare una grande offensiva contro questi nemici.

L’establishment repubblicano è stato sconfitto su tutta la linea. Quella che in scienza politica si chiama party capture, o cattura del partito, si era già consumata nel gennaio 2021 quando nonostante l’assalto al Campidoglio, centinaia di Repubblicani si rifiutarono di certificare la regolare elezione di Joe Biden. Da allora la presa di Trump sul partito è diventata sempre più ferrea. 

Trump, grazie al potere carismatico che esercita sulla base elettorale che va a votare alle primarie e che quindi è in grado selezionare il candidato per il Congresso, e grazie alla potenza di fuoco finanziaria che gli garantisce l’appoggio di Musk, è in grado di intimorire i Repubblicani in Congresso. Gli basta minacciare una campagna mediatica contro di loro e il finanziamento di uno sfidante più allineato alle prossime primarie. 

Per Trump costringere all’obbedienza i Senatori repubblicani è stato fondamentale per garantirsi il loro voto per le nomine del suo gabinetto di governo. Dopo la cattura del partito, è arrivato infatti il momento della cattura dello stato, state capture

Non bisogna lasciarsi ingannare dal fatto che i Dipartimenti di Stato e del Tesoro siano stati assegnati a figure accettabili per l’establishment repubblicano come Marco Rubio e Scott Bessent. Si tratta di due repubblicani tradizionali ma addomesticati. Soprattutto però si tratta di posizioni che a Trump interessano relativamente. Quello che al nuovo presidente davvero preme è il controllo delle agenzie federali dove risiede il potere coercitivo dello Stato. È per questo che queste agenzie sono andate a lealisti, anche se con scarsa esperienza e nessuna competenza. 

Le iniziative politiche di Trump 2.0

Si spiegano così le nomine di Pete Hegseth (un veterano ed ex conduttore della Fox, famoso per essersi distinto come guerriero anti-woke) a guida del Pentagono; di Kash Patel, un noto cospirazionista, alla guida dell’FBI; di Tulsi Gabbard, un’ex democratica con simpatie filo-russe, a Direttore Nazionale dell’Intelligence; e di Pam Bondi, l’ex procuratrice generale della Florida che è stata anche nel team legale di Trump, alla guida del Dipartimento di Giustizia.

Trump non si è concentrato soltanto sulle posizioni di vertice. Ha portato il suo attacco all’intera struttura dello stato federale. Ed è qui che entra in gioco Musk, a cui Trump ha assegnato la guida di un nuovo ufficio federale dallo statuto estremamente incerto: il Dipartimento per l’Efficienza del Governo (il cui acronimo in inglese, DOGE, è anche il nome di una criptovaluta promossa da Musk in passato). Composto da decine di giovani ingegneri informatici e sviluppatori provenienti dalle aziende di Musk, il DOGE si è arrogato poteri di accesso a informazioni molto sensibili, di valutazione e licenziamento del personale, con una base legale altamente dubbia. 

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Trump, Musk e il potente Direttore per il Management e Bilancio Russel Vought hanno scosso l’amministrazione federale alle fondamenta e traumatizzato decine di migliaia di funzionari con provvedimenti senza precedenti

Tra questi, vi è stato il blocco totale dei pagamenti federali, una decisione che è stata successivamente annullata da un giudice (tuttavia, non tutti i pagamenti sembrano essere stati ripristinati, in violazione della sentenza).

Parallelamente, è stato avviato lo smantellamento di importanti istituzioni governative, come l’Agenzia per gli aiuti internazionali (USAID) e l’Ufficio Federale per la Protezione dei Consumatori. Agenzie federali create dal Congresso come indipendenti, come la Securities and Exchange Commission, la Consob americana e, in parte, la stessa Federal Reserve (il cui potere di determinare i tassi di interesse resta per ora però intatto), sono state asservite alla Casa Bianca, che dovrà valutare preventivamente le regolamentazioni da loro proposte.

Decine di ispettori generali, incaricati della supervisione indipendente delle attività governative, sono stati licenziati senza seguire le normali procedure. Nel frattempo il DOGE ha ottenuto accesso a informazioni sensibili contenute nei database del Dipartimento del Tesoro e presto anche dell’Internal Revenue Service (IRS), l’agenzia delle entrate. Migliaia di funzionari federali sono stati licenziati in massa (un giudice ha temporaneamente bloccato il provvedimento, ma la sorte dei lavoratori resta incerta) e diversi alti funzionari di alto livello con decenni di esperienza si sono dimessi per protesta.

Tutte queste iniziative non hanno solo creato caos, ma anche generato conflitti di interesse di proporzioni ciclopiche. Le agenzie regolatrici, la cui indipendenza è stata ridotta, avevano aperto indagini su diverse compagnie di Musk per esempio. Ma il caso più clamoroso è la decisione del Dipartimento di Giustizia di sospendere un’indagine per corruzione contro il sindaco di New York, il democratico Eric Adams, in modo da potersene garantire la fedeltà. 

La legalità di tutte queste decisioni, così come della posizione stessa del DOGE, è ampiamente contestata, ed esistono decine di cause legali in corso. Ma prima che questi procedimenti possano giungere a conclusione passeranno mesi, se non anni – e non è detto che la Corte Suprema, la cui maggioranza conservatrice è stata sensibile alle esigenze di Trump in passato, non si schieri dalla parte dell’amministrazione. Il Congresso, che dovrebbe essere il principale argine agli abusi dell’esecutivo, è docilmente sottomesso visto che i Repubblicani controllano entrambe le camere. La stampa, il terzo nemico di Trump, è oggi più esposta agli attacchi del governo e delegittimata agli occhi del pubblico, da anni di forsennata campagna contro le “fake news” da parte di Trump, Musk e la galassia dell’informazione alternativa della destra, dalla Fox a podcaster e influencer imbevuti di risentimento “anti-woke”.

Trump invoca poteri che nessuno ha mai invocato prima di lui: “chi agisce per salvare la nazione non viola alcuna legge”, ha twittato. E il vicepresidente JD Vance gli ha fatto eco: “ai giudici non deve essere permesso di controllare il legittimo potere dell’esecutivo”, senza però specificare che è lo stesso esecutivo a voler definire cos’è legittimo e cosa no. 

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La democrazia americana si sta indebolendo e l’efficienza dello stato federale è destinata a scemare. Ciò detto, non sembra che tutto questo attivismo stia aumentando il favore di Trump, peraltro sempre contenuto (mai sopra il 50%). Correzioni di rotta, per difficoltà pratiche, convenienza politica o sconfitte giudiziarie, sono senz’altro possibili, ma il quadro è fosco.



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