Eleonora Giorgi? Una Nuvola di Borotalco

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Eleonora Giorgi attrice italiana, bellissima e più complessa di ciò che potesse apparire agli spettatori, che l’hanno sempre e solo vista impressa nella celluloide, in maniera morbida e femminile, si è trasformata in angelo, un’operazione su cui ha lavorato a lungo, in questo ultimo anno, il più pubblico di tutta la sua esistenza, eppure quello più intimo, più privato.
Della sua malattia, un tumore al pancreas che l’ha portata altrove, ha raccontato ogni cosa.
Una scelta la sua che alcuni hanno trovato discutibile ma che ha l’innegabile vantaggio di dilatare il dolore, di renderlo accettabile perché condiviso con gli altri, quelli altri che nel suo caso erano per lo più suoi ammiratori, che la seguivano per la leggerezza con cui riusciva a narrarsi, e a non nascondere la difficoltà, di vedere il corpo scomparire, mentre la voglia di vivere, gli affetti e gli interessi restavano intatti.
Perché quando un tumore uccide, lo fa con una freddezza da killer ma a rallentatore, non dandoil tempo, a nessunok di potersene liberare, se ha deciso che alla fine premerà il grilletto contro di noi.
Negli anni in cui la Giorgi era costantemente al botteghino e anche sui rotocalchi, che però non è che la perseguitassero più di tanto, anche perché lei usciva di scena sempre e non in maniera plateale, la sua bellezza era abbagliante, per quel miscuglio di geni, inglese ed ungherese, che la rendevano unica.
«Ero una ragazzina incosciente e ingenua, rimasta col primo fidanzatino dei quattordici anni fino al terzo film. Non ero preparata a essere definita sex symbol. Nelle foto vedevo una che occhieggiava agli uomini, mi era totalmente estranea. I pericoli e la droga erano ovunque.»
Come tutte le donne davvero belle aveva appunto un’ingenuità che sullo schermo risaltava, dandole un’aura lolitesca, aurache ha mantenuto anche con il passare del tempo, e pure se è ricorsa alla chirurgia estetica, perché voleva un immagine di sé più fresca, come dichiarò a suo tempo, di fatto si “appropriò” del lavoro del chirurgo facendo comunque risaltare ciò che lei era, al di là di tutto.
E cos’era?
Un essere umano alla perenne ricerca di un’armonia mai perduta ed assolutamente incapace di accettare la fine, nella sua accezione violenta e disordinata, che si trattasse di amori o di vita stessa.
«Vivo a Roma, ma ogni tanto sento il bisogno di ritirarmi in cima a un monte, a riflettere. E ho un desiderio profondo di continuare a lavorare, per potere dare una nuova identità alla donna matura. Anche per questo sto lasciando esplodere le rughe sul mio viso, alla fine la bellezza si fa giustizia da sola, l’età accomuna tutte. Voglio dimostrare che le donne mature sono splendide e vogliosa d’amore. La vita non finisce dopo i sessanta.»
Il suo diario minimo, fino all’ultimo respiro, non è mai scaduto nel pietismo sciocco, né nella spettacolarizzazione del durissimo percorso che le è toccato in sorte da compiere.
Il suo splendore, vero, figlio anche del suo equilibrio interiore non è stato scalfito dalla malattia, tanto che ha continuato ad essere, la sua, un’immagine da diva. Nemmeno la perdita dei capelli, esibita con grandissima verve o portata con eleganza, avvolta in turbanti e foulard, l’ha imbruttita.
«La mia vita è stata “normale” solo negli ultimi anni. Prima non avevo idea di cosa significasse quella parola. E della mia vita è stato detto tutto e il contrario di tutto.»
Si è comportata come una degna figlia del mondo in cui ha vissuto, quello dei rotocalchi di una volta però, quei rotocalchi che narravano le storie di vita di principi e principesse e di divi come lei, che si facevano intercettare dallo sguardo del fotografo famoso di turno ma che poi continuavano a vivere con discrezione, apparendo il giusto.
Il suo giusto era qualche programma TV di successo, le apparizioni con i figli, le nuore, l’adorato nipote, insomma le ospitate di prammatica per un’attrice contemporanea, che aveva scelto di fare anche altro e di ritirarsi all’occorrenza a vita privata.
In questo quadro equilibrato l’unica nota stonata c’è stata, quando le moglie di un famoso cantautore romano la rimproverò per il tradimento di suo marito con lei, scoperto attraverso una canzone, che porta il nome della Giorgi.
Bene, lei non disse nulla, e dimostrò due cose:
– una che per quanto la vendetta sia un piatto da servire freddo è necessario anche essere opportuni, e non era proprio il momento di fare un’uscita del genere;
– due che il cantautore in questione era una persona estremamente superficiale e infatti pure in questo caso lei lasciò correre.
La malattia della Giorgi ha quindi rivelato in toto la persona e forse ha reso giustizia anche ad un’attrice che avrebbe meritato qualcosa in più, per quanto qualche soddisfazione, vedi premi, lei l’abbia avuta.
Per tutto il resto, non ha lasciato spazio a niente e a nessuno che non fosse una sua narrazione privata e personale di ciò che stava vivendo.
Ha fatto in modo che nel momento in cui il sipario per lei si sarebbe chiuso per sempre, rimanessero solo gli affetti più cari a farle da custodi, dimostrando a tutti che si vive a modo proprio, anche sbagliando, ma che si muore in silenzio e preservando ciò che di buono si è fatto e costruito, soprattutto se si è state dive, bellissime, e pure amatissime dal pubblico e dai propri cari.
E di pochi giorni fa la pubblicazione del diario, dell’anno trascorso da sua madre e da tutta la famiglia , con la spada di Damocle del tumore, da parte del figlio Andrea Rizzoli, libro dal titolo “Non ci sono buone notizie . L’anno più bello di mia madre, nonostante tutto” Piemme editore, che ha dato un ulteriore modo, a chi le stava accanto, di accompagnarla nel al di là con affetto.
Ecco questo è un libro utile da leggere, è una testimonianza di un amore più forte del dolore e della rabbia, e di queste testimonianze abbiamo bisogno oggi e sempre, anche perché della nostra data di scadenza ignoriamo ogni cosa, ma è giusto che impariamo a vivere con armonia ed affetto come la Giorgi ci ha fatto capire, diventando alla fine un angelo in una nuvola di “Borotalco”, il film in cui è stata autenticamente se stessa, per sua stessa ammissione.

«“Non siamo mai stati così uniti. Presi dalle nostre individualità, procedevamo come delle rette vicine ma parallele. Adesso invece siamo un intricato nodo di emozioni e speranze.”
Una tosse sospetta, un’ombra al pancreas, poi la diagnosi di tumore. Così inizia l’anno più intenso, ricco, doloroso (e bello) della vita di Eleonora Giorgi. A raccontarlo è il figlio Andrea, in questo diario che è anche una lettera a sua madre: non più l’attrice, il personaggio pubblico, l’icona del cinema che tutti amiamo, ma semplicemente Eleonora, la donna forte e combattiva che non teme le sue fragilità. Un racconto corale in cui sembra esserci tutto: paura, speranza, dolcezza, le priorità che cambiano, il tempo che diventa insieme alleato e nemico, il “quando” che si trasforma in “se”. Ma c’è anche tanta bellezza, la consapevolezza di uscirne diversi, forse migliori. Un anno pieno di sofferenza che diventa, nonostante tutto, un’esperienza di gioia e di luce.»





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