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Bollettino ADAPT 3 marzo 2025, n. 9

 

Nell’emergenza, purtroppo permanente, delle tragedie sul lavoro la vera posta in gioco è la dignità umana della persona anche nei luoghi di lavoro.

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I costi della mancata sicurezza sono ben noti: basta scorrere i recenti dati su infortuni e morti sul lavoro. Sono numeri che fanno crescere la preoccupazione di un lavoro insano o insicuro e dei danni economici, sociali e umani. E che fanno crescere la domanda se la tragedia si poteva evitare?

 

Altrettanto note sono le cause: a partire dalla carenza di dispositivi di protezione alla scarsa manutenzione delle attrezzature; dall’eccessiva frammentazione dei lavori (specie nella filiera di appalti e subappalti o nei lavori precari), alla scarsa manutenzione delle attrezzature, alla insufficiente formazione delle imprese e dei lavoratori.

 

Quest’ultima causa, invero, costituisce, per un verso, il vero anello mancante della catena della sicurezza, per altro verso, la chiave di volta per il lavoro del futuro. Questo profilo può suggerire una riflessione innovativa: pensare alla formazione non solo dei lavoratori di oggi, ma anche di quelli di domani. Il tutto con la consapevolezza che la formazione dei lavoratori fa rima con la loro partecipazione nelle imprese, attualmente oggetto di un promettente tentativo di attuazione dell’art. 46 Costituzione.

 

Se così è, cosa si può fare? Innanzitutto, partire dallo stato della salute sul lavoro, oggi. Il nostro Paese – nel solco dello snello articolo 2087 del codice civile e sulla scia della corposa regolamentazione europea – dal 2008 si è dotato di una legislazione avanzata e severa confluita in un altrettanto corposo Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro, più volte novellato. Il TUSL prevede un modello, non a caso “partecipato”, della sicurezza incentrato principalmente sull’obbligo del datore di garantire non solo la sicurezza (massima tecnologicamente possibile), ma anche il benessere lavorativo. Come noto, l’obbligo del datore include, in particolare, quello alla formazione e istruzione della persona che lavora. Tale obbligo protegge una nozione ampia di lavoratori (per esempio include i giovani tirocinanti). Che, a loro volta, risultano tecnicamente debitori di sicurezza. In altre parole, la formazione non solo deve essere fornita dal datore, ma deve anche essere praticata attivamente dal lavoratore.

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Nonostante ciò, il lavoro (come denunciato da Mattarella) resta un gioco d’azzardo potenzialmente letale. E il pericolo va oltre il mondo del lavoro. Le statistiche Inail includono (dal settembre 2023) le denunce di infortuni e di morte di studenti di ogni ordine e grado, che non sono in senso stretto lavoratori, per le attività di apprendimento (incluso il tirocinio curriculare). Purtroppo, la morte nel 2021 dello studente friulano Lorenzo Parelli, durante l’ultimo giorno di stage aziendale, non è un caso isolato.

 

Da qui la consapevolezza che non basta proclamare il diritto alla sicurezza sulla carta. Occorre calarlo nella realtà. Cioè, secondo la lezione di Bobbio, bisogna proteggere i diritti, rendendoli effettivi, specie nell’era delle grandi trasformazioni.

 

A tal fine, cosa si può fare? È necessario innovare, inventando misure efficaci per garantire una solida cultura della sicurezza sul lavoro, inteso in tutti i suoi sensi. In questa direzione, segnalo la proposta di legge, in dirittura di arrivo, dell’onorevole friulano Rizzetto che introduce, per i lavoratori di domani, una sorta di alfabetizzazione graduale in materia di sicurezza sul lavoro, a partire dalle scuole dell’infanzia. Lo fa in sintonia con le indicazioni della “Carta di Lorenzo” (del 2023), di tutela preventiva dei giovani in formazione, sottoscritta volontariamente da Istituzioni e imprese in una logica di responsabilità sociale.

 

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È vero che la legge in itinere diventerà operativa solo con l’emanazione delle (future) “Linee guida ministeriali” del Ministro dell’Istruzione e del Merito, nell’ambito dell’insegnamento dell’educazione civica (di sole 33 ore all’anno). È vero che le attuali “Linee guida” (decreto n. 183 del 2024) dedicano scarsissima attenzione alla (già prevista) alfabetizzazione al diritto del lavoro (articolo 3, lettera d, legge n. 92 del 2019). Ed è altrettanto vero che la previsione legale ripete la clausola di riforma “a costo zero”. Ma se son rose fioriranno. E il nostro territorio potrà essere davvero orgoglioso per la semina.

 

Marina Brollo

Ordinaria di diritto del lavoro

Università degli Studi di Udine
@MarinaBrollo

 

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*Pubblicato anche su Il Messaggero Veneto, 28 febbraio  2025





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