I magistrati esercitano sempre la propria funzione nell’esclusivo interesse del popolo italiano, applicando la legge. Nell’ambito delle loro prerogative, come tutti i cittadini, hanno il diritto di scioperare e di manifestare la propria legittima preoccupazione, anche di fronte a situazioni che possano incidere sull’autonomia ed indipendenza della magistratura.
Tali princìpi, infatti, rappresentano uno degli architravi fondamentali dell’equilibrio costituzionale tra i poteri dello Stato. Da persona ovviamente coinvolta, ho provato a leggere, con attenzione ed almeno apparente terzietà, il testo della riforma della giustizia, promossa dall’ex magistrato Carlo Nordio e ritenuta tanto odiosa dalla gran parte dei colleghi.
Le modifiche riguardano sostanzialmente la separazione delle carriere tra pubblici ministeri e giudici, il sorteggio per diventare componente del Consiglio superiore della magistratura e l’istituzione di un nuovo organo per giudicare degli illeciti disciplinari dei giudici, esterno al CSM, che oggi invece è competente attraverso una sua commissione.
Si tratta di una riforma che, se realizzata, sarà senza dubbio epocale, modificando sostanzialmente l’impianto costituzionale, fondato su un ordine unico dei magistrati ed un solo CSM, che ne garantisce l’indipendenza.
Vorrei provare a ragionare, senza faziosità, né preconcetti e ideologismi, sulla ragione giustificatrice di una modifica così importante. Mi hanno sempre insegnato che ogni norma ha una sua ratio, che la rende necessaria e funzionale rispetto all’intero sistema giuridico.
Perché la separazione tra Pm e giudice sarebbe allora necessaria? Rispondere a questa domanda ci aiuta forse a comprenderne il significato, ma anche a sminare il sospetto che possa trattarsi di una operazione con altri fini. Ebbene, il primo dato che risalta subito alla mia attenzione è il nuovo assetto della magistratura, anche per effetto di recenti interventi riformatori. Non credo sia revocabile in dubbio che il sistema penale, l’unico veramente interessato al dualismo Pm/giudice, abbia subìto modifiche strutturali per effetto dell’introduzione del principio costituzionale del cosiddetto giusto processo.
Con la legge costituzionale 2/1999 sono stati inseriti nell’articolo 111 della Costituzione cinque nuovi commi che delineano le garanzie previste dal cosiddetto giusto processo. Tra questi il più rilevante per quanto ci riguarda è che ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizione di parità, davanti ad un giudice terzo e imparziale. Se è vero, allora, che già Giovanni Falcone riteneva giustamente che l’entrata in vigore del nuovo codice penale Vassalli segnasse un passo decisivo verso la separazione delle carriere, oggi, dopo l’entrata in vigore dell’articolo 111 Cost., credo che questo sia assolutamente ineludibile.
Recentemente ho ritrovato un estratto dell’intervista che Giovanni Falcone rilasciò a Mario Pirani su Repubblica il 3 ottobre 1991. Si parlava della riforma Vassalli e del nuovo codice di procedura penale.
Quelle che seguono sono le parole di Falcone: “Un sistema accusatorio parte dal presupposto di un pubblico ministero che raccoglie e coordina gli elementi della prova da raggiungersi nel corso del dibattimento, dove egli rappresenta una parte in causa. Gli occorrono, quindi, esperienze, competenze, capacità, preparazione anche tecnica per perseguire l’obbiettivo. E nel dibattimento non deve avere nessun tipo di parentela col giudice e non essere, come invece oggi è, una specie di para-giudice.
Il giudice, in questo quadro, si staglia come figura neutrale, non coinvolta, al di sopra delle parti. Contraddice tutto ciò il fatto che, avendo formazione e carriere unificate, con destinazioni e ruoli intercambiabili, giudici e Pm siano, in realtà, indistinguibili gli uni dagli altri. Chi, come me, richiede che siano, invece, due figure strutturalmente differenziate nelle competenze e nella carriera, viene bollato come nemico dell’indipendenza del magistrato, un nostalgico della discrezionalità dell’azione penale, desideroso di porre il Pm sotto il controllo dell’Esecutivo”.
Non ho motivo di ritenere che si tratti di un falso, né di un tentativo, come sostenuto da molti finti amici di Falcone, di tirarlo per la giacchetta. Mi sembra, piuttosto, la lucida analisi di un giudice libero, rispetto ad un sistema che stava cambiando. E che oggi è definitivamente mutato anche negli assetti costituzionali con il nuovo articolo 111 Cost.
Ancora di più oggi, quindi, credo che non si debba avere paura dei cambiamenti, ma si possa, invece, con serenità di giudizio e lungimiranza, provare a governarli. Mi sembra evidente che nessuno, politica compresa, possa mai immaginare una magistratura asservita al potente di turno, se non altro perché in un Paese democratico, chi lo è oggi rischia di non esserlo domani.
E, vi assicuro, pur leggendo e rileggendo il testo proposto, non ho trovato neppure il lontanissimo riferimento ad un Pm o ad un giudice meno liberi o condizionabili, più di quanto non possa accadere oggi. Esiste ancora una preoccupazione, manifestata dai magistrati con lo sciopero.
Ma aldilà di questo, io intravedo – addirittura – una formidabile opportunità. E saranno proprio i magistrati a poterla e doverla cogliere. Già pregusto un Pm ancora più competente, veramente libero e consapevole del proprio ruolo di parte (sempre pubblica, prerogativa che resta intatta). Sogno un processo nel quale anche i cittadini, tutti i cittadini, si affaccino con la serenità di essere tutti uguali davanti alla legge, senza sospetti di collateralismi o vicinanze ritenute equivoche.
E, finalmente, scopro un giudice autenticamente indipendente, super partes, garanzia assoluta e assicurazione alta di giustizia.
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