Crisi Berco, la coppia di lavoratori che rifiuta la buonuscita da 57.000 euro: «Il nostro amore è nato in fabbrica, abbiamo una figlia e un mutuo, vogliamo restare»

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di
Davide Soattin

Ferrara, il 48enne Piero Cavalieri e la 47enne Michela Campi sono tra i 240 lavoratori della fabbrica di Copparo a rischio licenziamento: «Tante ore di sciopero, il prossimo mese prenderemo metà stipendio»

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«Vogliamo restare, vogliamo continuare a lavorare in fabbrica». Piero Cavalieri, 48 anni, e la sua compagna, Michela Campi, 47 anni, lavorano da una vita in Berco, azienda multinazionale di Copparo, in provincia di Ferrara, che – nelle scorse settimane – ha aperto la procedura per 240 licenziamenti collettivi al fine di far fronte a una profonda crisi economica. Non sono sposati, ma è come se lo fossero, e hanno una bimba, Asia, nata nel 2016, che è il collante della loro storia d’amore sbocciata – come Piero racconta – proprio dietro i portoni di quella fabbrica per cui oggi stanno scioperando a oltranza, rifiutando la buonuscita volontaria che il board aziendale aveva offerto nei mesi scorsi, nella speranza di salvaguardare occupazione e futuro.

Innanzitutto, come state vivendo queste settimane di crisi tra scioperi e presidi davanti ai portoni della fabbrica?
«Io mi reputo una persona che si preoccupa quando bisogna preoccuparsi. Non sono quindi desolato, anche perché di battaglie così ne abbiamo già fatte in passato. La mia compagna invece la sta vivendo con un pizzico di apprensione in più, ma è una questione di differenza caratteriale. Fortunatamente non siamo tutti fotocopie (ride, ndr). Da quando è iniziata la mobilitazione, con gli scioperi a scacchiera dei vari reparti, noi siamo sempre usciti. Così come lo avevamo fatto negli anni precedenti. Quando possiamo poi, compatibilmente con gli impegni familiari, partecipiamo anche al presidio fuori dalla fabbrica».




















































Da quanti anni lavorate in Berco?
«Io sono entrato nel 2006 con una agenzia interinale. Sono quindi diciannove anni. La mia compagna invece è dentro da più tempo: da ventitré anni. Io lavoro nel parco acciai, lei nell’area montaggio catene».

Vi siete conosciuti lì?
«Sì. Ci siamo conosciuti nel magazzino della Berco. Era il 2011. Ci siamo messi insieme nel 2013, agli inizi del 2016 abbiamo comprato casa proprio di fianco alla fabbrica aprendo un mutuo e a maggio di quello stesso anno è nata Asia, la nostra bimba, che oggi ha quasi nove anni. Non ci siamo sposati ma è come se lo fossimo».

Quando avete iniziato a lavorare in Berco, vi aspettavate di arrivare a questa situazione?
«Quando siamo stati assunti no. Qualcuno diceva che lavorare in Berco agli inizi era come avere un posto di lavoro statale e non aveva tutti i torti. Poi però dopo la crisi del 2008 è cambiato tutto. E già lì le aspettative erano mutate. A mio avviso ci voleva un progetto aziendale di investimenti, magari con più pensionamenti e meno licenziamenti, come invece hanno deciso di fare negli ultimi anni. Anche perché le vecchie assunzioni che una volta faceva Berco, oggi non esistono più».

Alcuni vostri colleghi hanno accettato la buonuscita e il licenziamento volontario proposto dal board aziendale, a voi non conviene?
«Non si ha mai la sfera magica per decidere cosa sia la cosa migliore o peggiore da fare. È ovvio che se uno, professionalmente parlando, è giovane è più incentivato ad accettare. Ma io ho 48 anni e la mia compagna ne ha 47, abbiamo ancora metà mutuo da pagare e una bimba da crescere e ovviamente si fanno altri ragionamenti».

Immagino quindi abbiate già preventivato il rischio di un licenziamento?
«Certo. Le cose sono due: o si rimane dentro e si spera o sennò si tenta il giro di boa e si imbocca una nuova strada. Se dovessero metterci a casa con le lettere, mi auguro che non lo facciano con entrambi. Abbiamo già messo in conto tutto. La mia compagna ha detto che, se dovesse succedere, si tirerà ulteriormente la cinghia. Andrà a fare dei corsi, io ho il patentino da carrellista. In un qualche modo faremo, ci reinventeremo. Ci rimboccheremo le maniche anche se il territorio non è che abbiamo molto da offrire a livello lavorativo».

Come ne sta risentendo la vostra vita a livello economico? Avete fatto qualche cambiamento?
«Diciamo che la situazione inizierà a pesare a partire dal prossimo mese. Da marzo. Quando prenderemo meno della metà di uno stipendio in due, considerando le decurtazioni dovute alle ore di sciopero. Ma per ora non ho tolto niente. Continuiamo ad avere gli abbonamenti alla pay-tv, la nostra bimba fa regolarmente sport, va a scuola tranquillamente, non le manca niente. Anche la settimana scorsa siamo andati a fare una gita a Comacchio per il carnevale. È anche un modo per sentirsi meno depressi. Insomma, la nostra vita non è cambiata. Stiamo tirando avanti bene. La mia compagna è stata una risparmiatrice migliore di me in passato e quindi abbiamo le spalle coperte (ride, ndr). E poi i cambiamenti si fanno gradualmente, a maggior ragione se hai una bimba piccola a cui è difficile spiegare cosa sta succedendo intorno a lei».

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Cosa vi spinge a continuare la battaglia sindacale e a sperare in un futuro diverso?
«Noi siamo entrambi iscritti al sindacato Fim Cisl, in cui ricopro un piccolo ruolo nel direttivo. Abbiamo quindi sempre partecipato alle varie battaglie. La situazione, negli anni passati, si è sempre risollevata. Anche se questa volta la vedo più difficile. Nonostante ciò abbiamo deciso di percorrere questa strada, senza voler prendere quella buonuscita (57mila euro lordi, 43mila netti, ndr) che sulla carta sembrano tanti, ma alla fine finiscono in un attimo se non ti rimetti in gioco subito. La speranza è che finalmente si possano risolvere le cose. Entrambi vogliamo continuare a lavorare in fabbrica e siamo sempre pronti a fare quello che è necessario per far sì che ciò accada. Vogliamo restare».

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1 marzo 2025 ( modifica il 1 marzo 2025 | 18:54)

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