Al Risiko l’Onu non può giocare. Il punto

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di Raffaele Crocco

Trump, allora: è il Presidente statunitense il padrone del Risiko, in questo momento. Gioca la partita all’insegna di uno slogan: “forte con i deboli, tranquillo con i forti” o almeno condiscendente, alla ricerca di un’intesa utile a fare affari. Le carte in tavola sembrano cambiare e i nemici di ieri – Usa e Urss, Usa e Cina – diventano i soci d’affari di oggi, sulla pelle di tutti gli altri. L’Ucraina è, un’altra volta, il tavolo da gioco su cui sperimentare le nuove intese e poco conta che in tre inutili anni il Paese sia stato distrutto, con centinaia di migliaia di morti da seppellire.

Il Presidente statunitense ha alla fine piegato Zelensky, costringendolo a firmare l’accordo sulle Terre Rare ucraine. E’ un affare da 500miliardi di dollari, infinitamente più di quanto gli Stati Uniti abbiamo investito nella guerra di resistenza contro l’invasore russo. Invasore che ora, agli occhi di Trump, non è poi così cattivo e l’Ucraina, in fondo, non deve pretendere – è quanto sostiene l’Amministrazione statunitense- di mantenere inalterati territori e sovranità. Soprattutto, l’Ucraina può dimenticare il sogno di far parte della Nato. Tutto molto interessante, considerando le promesse fatte a Kiev in questi tre anni di massacro. Gli ucraini non avranno più rifornimenti militari, sostegno in armi e munizioni. Quello che Trump vuole è che la guerra finisca, si arrivi ad una pace utile a riprendere gli affari con Mosca. E questo all’Ucraina costerà caro.

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Soprattutto Trump vuole una pace che lasci il segno anche sull’Unione Europea, che per questa guerra si è esposta mica poco, politicamente ed economicamente. Per l’attuale Amministrazione di Washington è l’occasione per staccare la spina e mettere in soffitta la vecchia alleanza con gli europei, almeno con quelli che Trump vede come concorrenti. Quindi, l’Ucraina diventa un buon punto di rottura, con gli europei che devono farsi carico della “sicurezza del Paese”. L’Europa reagisce goffamente, tornando a parlare – lo fanno i leader a Londra nel fine settimana – di “difesa comune” o con le parole ambivalenti della presidente della Commissione, von der Layen. “Sostengo l’iniziativa del presidente Trump per l’Ucraina – ha dichiarato – per un accordo di pace durevole, con garanzie di sicurezza e con una rete di protezione degli Usa”. Poi, c’è una piroetta. “Noi dobbiamo insistere – spiega – sul sostegno economico e militare all’Ucraina, perché è nell’interesse dell’Europa raggiungere una vera pace attraverso la forza. E dobbiamo aumentare la nostra pressione sulla Russia per concordare un accordo di pace che sia durevole e attuabile”.

Si parla ora di un contingenti di 30mila soldati da schierare nel futuro territorio in tregua, per consentire ricostruzione e pacificazione. Gli europei si dicono pronti a partecipare, gli Stati Uniti pronti a non mandare un uomo, ma in questa vicenda, messa sul tavolo da Trump, dai leader europei, forse da Putin, sorprende che che nessuno abbia mai parlato di Onu. Le Nazioni Unite sono, per l’ennesima volta, messe all’angolo, ignorate, volutamente svuotate di ruolo. Logica, diritto e trattati vorrebbero che il futuro contingente di Pace in Ucraina fosse di Caschi Blu, si muovesse cioè su mandato dell’Onu. Apparentemente non sarà così. Le “potenze mondiali” garantiranno in proprio, gettando definitivamente all’aria il Palazzo di Vetro dell’Onu e tutto ciò che ha rappresentato dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Diritto internazionale e diritto umanitario dovranno essere riscritti e verranno riformulati sulla base di un principio semplice: vince il più forte e può fare quello che vuole.

E’ la vittoria dei cattivi, confermata da quanto accaduto e sta accadendo nel Vicino Oriente. Qui si parte dal vicepresidente della Knesset, il Parlamento israeliano. E’ un esponente del partito del premier Netanyahu, il Likud . Si chiama Nissim Vituri. Alla radio degli ultraortodossi ebrei d’Israele, ha dichiarato che “a Gaza vanno separati donne e bambini, e gli adulti eliminati”. E’ esattamente quello che accadde a Sebrenica, in Bosnia Erzegovina, trent’anni fa, quando i serbo ortodossi eliminarono circa 10mila uomini musulmani in cinque giorni. Con queste idee di genocidio in nome “del popolo eletto” e questi progetti si affrontano i giorni finali della prima fase della tregua fra Hamas e Israele. Tregua che il governo israeliano non ha alcuna intenzione di far arrivare alla fase due, quella che dovrebbe portare a soluzioni definitive. Netanyahu vuole andare fino in fondo e fare di Gaza e dei palestinesi tabula rasa, un ricordo da disperdere nella sabbia. Intanto, attacca in Siria: due gli attacchi aerei nelle ultime ore, mentre l’esercito israeliano controlla il 14% di un territorio non suo in nome della “difesa preventiva”.

La Siria, per altro, resta terra difficile. Scomparso il dittatore Bashar al Assad, restano tensioni formidabili fra le varie fazioni che hanno conquistato Damasco. Ad esempio: l’amministrazione curda ha dichiarato di non sentirsi legata dalle decisioni della Conferenza nazionale organizzata dal governo di Damasco in settimana. Non era nemmeno stata invitata. “Questa conferenza – hanno dichiarato i rappresentanti delle Forze Democratiche Siriane (Sdf) – non rappresenta il popolo siriano e, in quanto parte della Siria, non essendo stati rappresentati, ci riserviamo il diritto di opporci sia nella forma che nella sostanza e non prenderemo parte all’attuazione dei suoi risultati”. Morale: non consegneranno le armi. Il rischio di una ripresa degli scontri è davvero alto.





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