Sostenibile? Solo se è reale. Le sfide dell’healthcare nella lotta al greenwashing

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La legislazione eurounitaria in materia di sostenibilità ha come obiettivi la trasparenza e la tracciabilità dei rischi, degli impatti e degli impegni assunti dalle imprese in ambito sociale, ambientale e di governance.

Gli impegni di sostenibilità che fino a ieri rappresentavano il frutto di una politica di valori, un atto volontario e (o) un motivo di distinzione per le imprese, si stanno trasformando in obblighi di legge che coinvolgono direttamente o indirettamente un numero crescente di soggetti.

Anche il settore farmaceutico (ed healthcare in generale) dovrà integrare questa innovazione normativa nei propri processi operativi e di comunicazione e certamente potrà avvantaggiarsi della consolidata tradizione regolatoria e dell’approccio alla compliance tipica di questo settore.

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Basti ricordare che dal 1° settembre 2024 è entrata in vigore la nuova linea guida dell’Ema per la valutazione del rischio ambientale derivante dall’uso (non dalla produzione) dei medicinali per uso umano, obbligatoria ai sensi della direttiva Ce/2001/83 per presentare il dossier registrativo di nuovi medicinali (“Guideline on the environmental risk assessment of medicinal products for human use”).

Ciò detto, sarà comunque necessario implementare anche nuove azioni relative agli aspetti di rendicontazione e di monitoraggio per una sostenibilità concreta, che richiederanno nuove risorse e strutture organizzative adeguate. In questa fase, ancora preparatoria, è cruciale monitorare gli orientamenti normativi, avviare un’attività di autoanalisi e comparazione tra i futuri obblighi e quanto le aziende già fanno.

L’innovazione normativa, infatti, sembra indirizzarsi verso un cambio di paradigma: per comunicare le performance di sostenibilità sarà necessario poter dimostrare la veridicità di quanto dichiarato.

Le prospettive normative in materia di greenwashing

La norma di riferimento è la direttiva 2024/825/Ue (“responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde mediante il miglioramento della tutela dalle pratiche sleali e dell’informazione”), la cosidddetta direttiva “empowering”, in vigore dal 26 marzo 2024, che dovrà essere trasposta negli ordinamenti degli Stati membri entro il 27 marzo 2026.

Tale direttiva si colloca tra le misure con cui l’Unione europea promuove l’economia circolare e modelli di consumo più sostenibili, assicurando che i consumatori siano in grado di assumere decisioni di acquisto consapevoli e orientate al rispetto dell’ambiente e dei valori sociali.

In questa prospettiva, la direttiva apporta modifiche alle direttive in materia di pratiche commerciali sleali (direttiva 2005/29/CE) e in materia di diritti dei consumatori (direttiva 2011/83/UE) allo scopo di contrastare le pratiche di greenwashing intese come pratiche commerciali scorrette, legate soprattutto a sistemi di marketing e comunicazione esterna, messe in atto dalle imprese per dare una falsa rappresentazione ai consumatori circa gli impatti ambientali dei propri prodotti o attività.

Cosa richiede la direttiva

In attesa della sua trasposizione, è opportuno osservare che la direttiva “empowering” rimanda alla necessità di tracciare, provare e documentare, in termini di obiettivi, processi e risultati, le caratteristiche dei prodotti in relazione agli aspetti ambientali e sociali che si intendono valorizzare nella comunicazione.

In questa cornice le definizioni rilevanti ai fini della qualificazione delle pratiche commerciali scorrette vengono modificate ed estese per normare, tra le altre, quelle di “asserzione ambientale”, “marchio di sostenibilità”, “durabilità” e “sistema di gestione”. Rispetto ai sistemi di gestione, la direttiva prevede la necessità di disporre di un sistema di verifica (eseguito da soggetti terzi) che certifichi la conformità del prodotto, processo o impresa ai requisiti che consentono l’uso di un corrispondente marchio di sostenibilità. Questo marchio può essere attribuito in base a condizioni accessibili al pubblico e che soddisfino precisi criteri espressamente individuati nella direttiva.

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Inoltre, vengono espressamente incluse tra le pratiche ingannevoli “l’asserzione ambientale relativa a prestazioni ambientali future senza includere impegni chiari, oggettivi, pubblicamente disponibili e verificabili, stabiliti in un piano di attuazione dettagliato e realistico, soggetto a verifica periodica da parte di un terzo indipendente le cui conclusioni sono messe a disposizione dei consumatori” e “la pubblicizzazione come vantaggi per i consumatori di elementi irrilevanti che non derivano dalle caratteristiche del prodotto o dell’impresa”.

Le pratiche scorrette in una lista nera

A questi principi si affianca l’integrazione della black list delle pratiche scorrette con nuove fattispecie legate al greenwashing o alla durabilità all’obsolescenza precoce dei prodotti. Altro intervento in materia di greenwashing sarà la cosiddetta direttiva “green claims”, proposta dalla Commissione europea nel 2023 e ancora in fase di discussione.

Lo scopo della proposta è stabilire regole chiare e oggettive per i claim ambientali delle imprese, per contrastare dichiarazioni ingannevoli, pratiche di obsolescenza precoce, uso di marchi di sostenibilità e strumenti di informazione inattendibili, inaccurati e non trasparenti.

Ogni dichiarazione green dovrà essere supportata da un’attestazione tecnica circa l’asserzione o il marchio ambientale. Se approvata, la direttiva individuerà criteri e modalità con i quali gli Stati membri dovranno determinare i sistemi di attestazione, con una verifica ex ante realizzata da professionisti terzi indipendenti, ed un sistema di monitoraggio della persistenza delle condizioni che l’hanno sostanziata.

Verso una procedura semplificata

Viene prevista anche una procedura semplificata per esentare alcuni tipi di asserzioni ambientali esplicite dalla verifica da parte di terzi. In questi casi, le imprese dovrebbero dimostrare la loro conformità alle nuove norme compilando un documento tecnico specifico, una sorta di autocertificazione, che deve essere completato prima che l’asserzione sia resa pubblica.

Quanto ai marchi/etichette ambientali la proposta di direttiva da un lato riconosce l’importanza dei sistemi pubblici di etichettatura esistenti a livello nazionale o europeo e dall’altro individua la possibilità di istituire nuovi sistemi in modo da esentare dalla verifica da parte di terzi quelli disciplinati dal diritto dell’Ue o nazionale, a condizione che soddisfino le prescrizioni dell’Ue sotto il profilo sia procedurale che sostanziale.

Per il caso di violazione i singoli Stati definiranno un regime sanzionatorio che tenga conto della natura, gravità, durata ed estensione della violazione nonché del suo carattere doloso o colposo e di ogni azione intrapresa per mitigare i danni sofferti dai consumatori e gli eventuali vantaggi economici derivanti dalla violazione.

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Un cenno al quadro normativo nazionale attuale

Il greenwashing, come pratica commerciale ingannevole, è considerato lesivo sia dei consumatori sia delle imprese che realmente si impegnano a migliorare la sostenibilità ambientale dei loro prodotti e ha ripercussioni negative sulla transizione ecologica dei processi produttivi e sulla finanza sostenibile.

In Italia, il fenomeno del greenwashing è stato affrontato innanzitutto dall’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (Iap), che nel 2014 ha introdotto nel proprio Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale l’articolo 12 dal titolo “Tutela dell’ambiente naturale”, a modifica di una norma precedente più generica, con l’intento di imporre “standard precisi di correttezza, affinché gli slogan ‘ecologici’ non diventino frasi di mero uso comune, prive di concreto significato ai fini della caratterizzazione e della differenziazione dei prodotti e delle aziende”, ed è stato altresì oggetto di numerose pronunce da parte degli organi di autodisciplina (Giurì e Comitato di Controllo), anche prima dell’introduzione della normativa in commento.

Già nel 1989 il Giurì si pronunciava sul valore da attribuire al termine ecologico, censurando il claim “gas ecologico che rispetta la natura” per contraddistinguere gli spray pubblicizzati (in cui il Cfc era utilizzato in misura minore rispetto ai prodotti concorrenti: non come propellente ma come additivo). Il Giurì aveva ritenuto decettiva l’attribuzione del connotato di ecologico a un gas che, sia pure in modica quantità, conteneva Cfc (clorofluorocarburi) e che pertanto aveva effetti nocivi sull’atmosfera e l’ambiente (Pronuncia n. 58/198).

In Italia non c’è una norma

Tuttavia, in Italia non esiste ancora una normativa primaria specifica in materia di greenwashing ma vi sono indirizzi giurisprudenziali e provvedimenti sanzionatori che hanno qualificato alcuni green claim come pratica commerciale scorretta o ingannevole secondo il Codice del consumo o come ipotesi di concorrenza sleale sanzionata dal Codice civile.

Per esempio, il Tribunale di Gorizia ha accolto nel 2021 il ricorso d’urgenza presentato da un’impresa nei confronti di un competitor, ordinando a quest’ultimo di cessare la campagna pubblicitaria avviata per il lancio di un prodotto, poiché lesiva del principio di leale concorrenza, in quanto contenente claim ambientali generici e fuorvianti. Il testo dell’ordinanza è stato pubblicato per 60 giorni sulla home page del sito dell’azienda condannata e la notizia ha avuto grande risonanza, con conseguente danno anche reputazionale.

Il caso di una compagnia petrolifera

Un caso esemplare ha indotto l’Autorità garante della concorrenza e del Mercato a censurare i claim ambientali di una compagnia petrolifera che enfatizzava i pregi in termini di risparmi e consumi di una nuova tipologia di diesel, rilevando che le dichiarazioni ambientali “devono riportare i vantaggi ambientali del prodotto in modo puntuale e non ambiguo, essere scientificamente verificabili e, infine, devono essere comunicati in modo corretto”, e che “un corretto claim ambientale dovrebbe veicolare informazioni adeguatamente documentate, scientificamente ‘verificabili’ e circoscritte a specifici aspetti verificabili in chiave comparativa rispetto a prodotti omogenei” (provvedimento numero 28060 del 20 dicembre 2019).

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L’accertamento della scorrettezza della pratica commerciale avviene attraverso un procedimento amministrativo che può essere avviato d’ufficio dall’Agcm o su segnalazione di un consumatore, di un concorrente o di qualunque altro soggetto interessato. Possono essere attribuite sanzioni amministrative pecuniarie fino a 10 milioni di euro, tenuto conto della gravità e della durata della violazione.

La rendicontazione di sostenibilità e i rischi di greenwashing

La normativa per contrastare il greenwashing si innesta, inoltre, in un progetto normativo europeo in materia di sostenibilità che persegue anch’esso obiettivi di trasparenza e uniformità, in parte già attuato e in vigore, e che costituisce un sistema di supporto alla prevenzione dei rischi sopra descritti.

Si tratta della normativa sulla rendicontazione societaria di sostenibilità di cui alla Corporate sustainability reporting directive (Csrd), già trasposta in Italia con il Decreto legislativo 125/2024, che prevede l’obbligo di rendicontare le informazioni relative a questioni di sostenibilità, ossia a fattori ambientali, sociali, relativi a diritti umani e di governance per un rilevante numero di imprese.

Come in parte specificato nell’articolo che precede, uno degli aspetti chiave della nuova normativa riguarda, infatti, l’estensione dell’obbligo di rendicontazione di sostenibilità, che ora è applicato non solo alle grandi imprese ma anche alle Pmi quotate (tranne le microimprese) e alle imprese extraeuropee che realizzano in ambito europeo una certa misura di ricavi.  Inoltre, metodo e informazioni da fornire sono definiti con dettaglio.

Gli standard europei

Infatti, il contenuto informativo è predefinito e strutturato nel rispetto di standard di rendicontazione armonizzati a livello europeo, i cosiddetti European Sustainability Reporting Standards (Esrs). Quanto alle modalità, si attribuisce grande importanza al principio di doppia materialità, dovendosi includere da un lato le informazioni necessarie alla comprensione dell’impatto della società/gruppo sulle questioni di sostenibilità e dall’altro quelle relative al modo in cui le questioni di sostenibilità influiscono sull’andamento della società/gruppo, sui suoi risultati e sulla sua situazione.

Un elemento significativo è la necessità di comunicare le informazioni in materia di sostenibilità relative alle attività dell’impresa così come quelle specifiche della catena del valore di cui l’impresa si avvale, comprese le informazioni concernenti prodotti e servizi, rapporti commerciali e la catena di fornitori. In mancanza di informazioni relative alla catena del valore, l’impresa obbligata deve comunque spiegare quali siano stati gli sforzi compiuti per ottenere tali informazioni, i motivi per cui non le ha ottenute ed il piano per ottenerle in futuro.

Ai sensi del decreto legislativo 125/2024, la rendicontazione di sostenibilità dovrà contenere una descrizione del modello e della strategia aziendale, degli obiettivi temporalmente definiti connessi alle questioni di sostenibilità, dei rischi e delle politiche, del ruolo degli organi di amministrazione e controllo, dei principali impatti negativi legati all’attività di impresa e alla catena del valore in merito a questioni di sostenibilità.

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Il documento finale di rendicontazione sarà parte della relazione sulla gestione, approvata con il bilancio di esercizio, e sarà soggetto a previa revisione da parte di un professionista abilitato che dovrà produrre un’attestazione di conformità della rendicontazione di sostenibilità alle norme del Dlgs 125/2024. Il decreto, oltre a disciplinare i criteri di redazione dell’attestazione di conformità, richiede che sia inclusa un’analisi delle dichiarazioni relative alla sostenibilità per garantire la verificabilità dei dati e il loro concreto rispetto nelle pratiche aziendali.

I report

La reportistica di sostenibilità dovrà essere pubblicata in un formato digitale elaborabile (Formato Elettronico Unico Europeo sotto forma di pagina web navigabile con marcatura xbrl (tag) con la finalità di potenziarne la fruibilità e connettere, in un prossimo futuro, le informazioni al Punto di Accesso Unico Europeo (Esap), in via di realizzazione. Inoltre, dovrà essere pubblicato sul sito internet aziendale. Lo sviluppo e la stesura della relazione sulla sostenibilità non sarà pertanto una mera rendicontazione d’indicatori ma un processo che parte dai valori aziendali e dalla strategia, passa per la governance e comunica in modo trasparente ciò che l’impresa sta realizzando, concretamente, in ambito Esg, valutandone gli impatti.

In generale, l’approccio alla trasparenza informativa redatta secondo standard di reporting di sostenibilità unificati, la dichiarazione esplicita di obiettivi e di iniziative strategiche con indicazione dei relativi impatti, l’attestazione e la pubblicazione possono considerarsi anche in questa fase e prima del completamento del quadro normativo un prezioso strumento, utile per contrastare anche i rischi derivanti dal greenwashing.

Gli impegni assunti dalle aziende dovranno essere infatti concreti, misurabili, efficaci e certificati: gli stessi principi che uniformano la comunicazione ai consumatori guidano la comunicazione agli operatori finanziari, clienti, soci e investitori istituzionali.

Il settore farmaceutico/life sciences è preparato a questo scenario normativo?

La complessità del quadro regolamentare e dei nuovi obblighi informativi, nonché la significativa estensione dei soggetti obbligati alla rendicontazione di sostenibilità, pongono senz’altro una serie di difficoltà operative importanti e rappresentano una sfida per tutte le imprese del settore, in particolare per quelle che dovranno fornire informazioni in materia di sostenibilità per la prima volta e per quelle che sono parte della catena del valore delle aziende obbligate, le quali dovranno avviare un percorso di collaborazione e di adeguamento anche ai requisiti richiesti dai propri clienti.

Per affrontare questa nuova sfida il settore pharma e healthcare potrebbe far leva su alcune caratteristiche tipiche dei propri processi produttivi e di controllo. Basti pensare alla gestione monitorata, documentata e tracciata delle interazioni tra le imprese del settore e gli stakeholder dell’area sociale, in quanto le attività di ricerca e sviluppo, commercializzazione e comunicazione del settore healthcare hanno sempre un impatto forte sulle persone, così come su enti, associazioni, operatori esterni all’azienda che, pur non essendo strettamente legati al processo commerciale o di sviluppo, di fatto lo influenzano o ne subiscono l’influenza.

A questo è strettamente legata la forte regolamentazione delle attività e dei controlli, interni ed esterni, che vanno dalla fase produttiva alla fase di commercializzazione, informazione, comunicazione e pubblicità. Si ricorda, a tale proposito, che anche in assenza di norme di legge, sono spesso presenti norme di indirizzo delle associazioni di categoria seguite dalla stragrande maggioranza delle imprese.

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Inoltre, la necessità di svolgere attività di due diligence sui fornitori di prodotti, di opere o di servizi per qualificarli come adeguati membri della propria catena di fornitura o di commercializzazione è spesso una necessità normativa, per le aziende del settore, che parte dalla necessità di garantire l’adeguatezza delle strutture e del processo produttivo alle Norme di buona fabbricazione (Gmp), fino a prevedere il rispetto di requisiti volontari relativi a certificazioni in materia ambientale, rispetto del codice etico e specifici protocolli di prevenzione dei rischi legali.

Il framework delle aziende healthcare

Il quadro in cui opera il settore healthcare potrebbe precostituire un elemento culturale di sostegno del cambiamento normativo in atto e, anche in attesa dell’entrata in vigore delle nuove norme, potrebbe supportare il lavoro da avviare per operare in maniera pienamente compliant e realizzare quell’approccio concreto alla sostenibilità necessario per la prevenzione di rischi di violazioni.

In questo contesto diventa indispensabile essere in grado di monitorare in modo prospettico gli sviluppi normativi, individuando gli impatti della nuova normativa sulla propria attività e sulla propria strategia, definire un’adeguata struttura organizzativa e risorse professionali dedicate, creare un sistema aziendale che assicuri una visione complessiva degli impegni cui far fronte. Non ultimo sarà indispensabile valutare nuovi progetti, innovazioni di business, di processo e di prodotto e le relazioni commerciali e con tutti gli stakeholder anche con la lente del complesso normativo in tema di sostenibilità che si sta delineando.

*Partner, Head of Life Sciences & Healthcare, Osborne Clarke
**Senior Associate, Osborne Clarke



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