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Si sta diffondendo l’idea che le bevande alcoliche debbano essere regolamentate come il tabacco. In Europa e nel mondo stanno emergendo proposte per limitarne il consumo, sostenendo che siano tra le principali cause delle malattie non trasmissibili (NCDs), a loro volta responsabili di elevati tassi di mortalità e costi sanitari.
Etichette allarmistiche come “nuoce gravemente alla salute” o “causa il cancro” su bottiglie e lattine, tasse specifiche, restrizioni severe e persino la vendita esclusiva in negozi autorizzati, come già avviene in Finlandia e Svezia (una chiara violazione delle regole del mercato unico europeo), sono tra le soluzioni proposte, secondo la classica logica dell’”one size fits all”.
Se adottate, queste misure avranno conseguenze gravi e indesiderate, limitando le libertà individuali e danneggiando economia, società e cultura. Si basano su un’idea semplicistica e infondata: che il vino e la birra siano dannosi di per sé. In realtà, il problema non è il loro consumo, ma l’abuso e le sue cause. Vino e birra, inseriti in una dieta equilibrata, possono avere effetti positivi sulla salute. Ma chi promuove queste restrizioni ignora la complessità della realtà sociale: l’abuso di alcol ha cause profonde, individuali e collettive, che non si risolvono con divieti e tasse come strumenti di prevenzione.
Questa visione paternalistica e illiberale pretende di sostituire la responsabilità individuale con l’imposizione dall’alto. Lo Stato vuole decidere cosa sia giusto per i cittadini, imponendo restrizioni invece di puntare su educazione e consapevolezza. Il risultato? Più controllo, meno libertà e nessun vero beneficio. Ma c’è di più: questa impostazione semplificata e dogmatica evita di affrontare le cause reali dell’abuso, scaricando la colpa su prodotti millenari anziché sulle condizioni sociali, economiche e culturali che favoriscono il consumo eccessivo.
Se il vino e la birra scomparissero dalle nostre tavole, non avremmo una società più sana, ma più povera sotto ogni punto di vista. Chi ne fa un uso moderato perderebbe un alimento con benefici per la salute fisica, mentale e sociale. Chi ne abusa lo sostituirebbe con altre sostanze, altrettanto o più dannose. L’economia subirebbe un colpo durissimo: il settore vinicolo e brassicolo è un pilastro per molte regioni, legato a geografia, tradizioni e cultura. Eliminare il vino e la birra significherebbe cancellare millenni di storia.
Vino e birra fanno parte della dieta dell’uomo da oltre 6.000 anni. I Romani raffinarono la viticoltura e ne esportarono la produzione in tutto l’Impero. Da allora, le aspettative di vita sono aumentate, non diminuite. Ippocrate, padre della medicina, raccomandava il vino per disinfettare le ferite e come parte di una dieta salutare. Diceva che “il vino è una bevanda utile sia per i sani che per i malati. Va bevuto al momento giusto, nel modo giusto e nelle giuste quantità, tenendo conto della costituzione di ciascun individuo”.
I dati smentiscono l’allarmismo, ma nessuno ne parla. Dal 2010, il consumo dannoso di alcol e la mortalità alcol-correlata sono diminuiti del 20% a livello globale. Nell’UE, il binge drinking è sceso del 6,4% tra il 2014 e il 2019. Tra i giovani (15-19 anni), il consumo episodico eccessivo è calato del 15%. Le morti attribuibili all’alcol in Europa sono diminuite del 16,8% tra il 2010 e il 2019. Numeri che smontano la narrativa emergenziale su cui si basano le nuove restrizioni.
Come per tutti gli alimenti, la chiave è la moderazione. Aristotele la considerava un principio fondamentale, ed è alla base della dieta mediterranea. Le linee guida del Ministero della Salute italiano raccomandano: un bicchiere al giorno per donne e over 65, due bicchieri al giorno per gli uomini. L’effetto dell’alcol varia da persona a persona, in base a dieta, metabolismo e stato di salute. Imporre regole rigide senza considerare questa complessità è un errore. Inoltre, la qualità conta: il danno non dipende solo dalla quantità, ma anche dalle caratteristiche del prodotto.
Contrastare l’approccio proibizionista non significa negare i problemi legati all’abuso di alcol, ma affrontarli con dati, scienza e buon senso. Non servono divieti né strategie preventive mascherate da informazione, come le etichette allarmistiche, ma conoscenza. Solo attraverso la consapevolezza si rafforza il vero fondamento della libertà individuale.
La soluzione è promuovere uno stile di vita equilibrato. L’equilibrio cambia da persona a persona e si ottiene con conoscenza e consapevolezza, non con divieti e imposizioni. Educare i cittadini alla moderazione è l’unica strada sensata che sperimentalmente produce risultati.
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