Puglia, negli ospedali mancano 3.200 lavoratori: «Investimenti solo in macchinari»

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Dopo il Covid, in Italia sono stati investiti 15 miliardi per le infrastrutture sanitarie (macchinari, edifici) ma la spesa sul personale è rimasta sostanzialmente invariata: a lanciare l’accusa il presidente dell’Ordine dei medici, Filippo Anelli, e il presidente della fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta, ieri a Bari durante il loro intervento al convegno “Investire nei professionisti sanitari per garantire la salute della persona”. Non si investe nel personale sanitario, secondo i due tecnici, e a guardare i dati l’impressione è che abbiano ragione: in Puglia mancano all’appello almeno 963 medici, 738 infermieri e, nel complesso, 3.205 dipendenti.

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Numeri che permetterebbero alle Asl e agli ospedali di essere alla pari con il fabbisogno calcolato per il 2023, nel frattempo rivisto e incrementato. Dando uno sguardo ai dati delle singole Asl, a Bari ci sono 222 medici in meno nelle piante organiche, ma il record spetta a Foggia con 241 camici bianchi meno; seguono Taranto (-133), Policlinico di Bari (-123), Asl Bat (-97), Lecce (-77), Irccs De Bellis (-29), Irccs Giovanni Paolo II (-24), e l’Asl di Brindisi (-17). In totale, sono in servizio 7.414 medici contro un fabbisogno di 8.377. Fabbisogno che è stato nel 2025 persino rivisto al rialzo. Per quanto riguarda gli infermieri, la maggiore emorragia riguarda l’Asl di Foggia dove ce ne sono in servizio 1.484 ma dovrebbero essere 1.806, situazione simile a Taranto (sono 2.483 ma dovrebbero essere 2.703), mentre nelle altre aziende sanitarie la situazione è tutto sommato in equilibrio. In Puglia, nel complesso, ci sono 4,61 infermieri ogni mille abitanti contro una media nazionale di 5,06 e uno scarto enorme con il Nord: in Emilia Romagna, ad esempio, ce ne sono in servizio 6,68 ogni mille residenti.

Per avere una visione completa del problema, però, bisogna considerare anche altri settori, come quello dei medici di medicina generale e le notizie non sono buone: entro la fine di quest’anno l’Italia perderà 3.452 medici di famiglia rispetto al 2021, di conseguenza migliaia di cittadini rischiano di restare, tra qualche mese, senza il primo riferimento per salute. E a pagare il maggiore dazio sarà il Sud, si conta infatti che il Lazio avrà 584 camici bianchi in meno, la Sicilia 542, la Campania 398 e la Puglia 383, queste le prime quattro regioni.

«Dopo il Covid i governi hanno investito nel servizio sanitario nazionale 15 miliardi in strutture e infrastrutture. Abbiamo cambiato le Tac, abbiamo ristrutturato gli ospedali, ma gli investimenti in chi fa realmente la sanità, negli operatori sanitari, dove sono? Gli investimenti fatti dal governo hanno recuperato gli arretrati sui contratti, ma non ci sono stati nuovi investimenti, capaci di bloccare la fuga dei medici dalla sanità pubblica», ha detto il presidente dell’Ordine dei medici di Bari e della Federazione nazionale degli Omceo, Filippo Anelli, in apertura del convegno. «Oggi viviamo in un mercato europeo. Esercitare fuori dall’Italia per un giovane medico – ha aggiunto Anelli – vuol dire avere più considerazione e una retribuzione migliore». La preoccupazione è «che si vada sempre più verso il privato», ha rilevato, e «chiediamo al governo di non tradire lo spirito del 1978 che ha animato una parte importante della società civile e del mondo medico. Il servizio sanitario nazionale rappresenta il modo migliore per esercitare la nostra professione e non vogliamo perderlo».

«I tagli al servizio sanitario nazionale e il sottofinanziamento cronico hanno drasticamente ridotto gli investimenti sul personale sanitario, sia dipendente che convenzionato. Il blocco delle assunzioni, i mancati rinnovi contrattuali e il numero insufficiente di borse di studio per specialisti e medici di famiglia hanno aggravato una crisi che si trascina da anni», ha rincarato la dose Cartabellotta. Dai dati illustrati nell’incontro è emerso che la spesa sanitaria pubblica italiana nel 2023 era al 6,2% del Pil, ben al di sotto della media Ocse del 6,9%. Nel 2023 l’Italia ha speso 176 miliardi per la sanità, con un 23% di spesa privata, ben al di sopra del 15% indicato dall’Oms come soglia oltre la quale viene compromessa l’accessibilità ai servizi sanitari. «L’assenza di una programmazione adeguata ha alimentato la carenza di professionisti sanitari, mentre – ha aggiunto Cartabellotta – la pandemia ha slatentizzato una crisi motivazionale già in atto. Sempre più giovani disertano l’iscrizione a corsi di laurea come scienze infermieristiche e a specializzazioni mediche meno attrattive, come emergenza-urgenza, e molti medici e infermieri abbandonano il servizio sanitario nazionale per il privato o per l’estero». «Le conseguenze di questa emorragia di personale sono sotto gli occhi di tutti: liste d’attesa interminabili, pronto soccorso al collasso, cittadini senza medico di medicina generale. È urgente – ha concluso – rilanciare le politiche sul capitale umano, rendendo nuovamente attrattiva la carriera nella sanità pubblica, migliorando le condizioni di lavoro e riformando i percorsi formativi. Senza un intervento deciso, il servizio sanitario non sarà in grado di garantire universalmente il diritto alla tutela della salute».

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Presente anche l’assessore regionale alla Sanità, Raffaele Piemontese, che ha rimarcato i progressi fatti dalla Puglia:«Siamo una regione – ha evidenziato – che nel corso degli ultimi 10 anni è passata dall’essere ultima nei Lea ad essere una delle prime regioni del Sud per il rispetto dei Livelli essenziali di assistenza. Nonostante questo – ha sottolineato – la questione del piano di rientro rimane. Sono piani di rientro che non hanno raggiunto gli obiettivi per cui erano nati: non puoi tenere una regione per 10 anni con il blocco delle assunzioni e tutta una serie di limitazioni, altrimenti non è più il paziente al centro ma la burocrazia». «La permanenza o meno di una regione in piano di rientro – ha concluso – deve prendere in considerazione segnali come il miglioramento nel rispetto dei Lea».

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