Al primo posto troviamo la capra Sarda, poi la Saanen e la Camosciata delle Alpi.
Sono queste le razze caprine più diffuse, come si desume dai dati dell’Anagrafe Zootecnica Italiana.
Il successo di queste razze è legato alle buone performance produttive e alla loro adattabilità.
Ma ben più numeroso è il numero delle razze italiane sparse lungo tutto lo Stivale, un patrimonio genetico di grande importanza, che rischia di essere disperso.
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Scorrendo l’elenco dell’Anagrafe Zootecnica, dalla Alpina alla Verzaschese, si contano quasi settanta diverse razze di capre.
Per alcune di esse i numeri sono quanto mai modesti e il rischio di una loro estinzione si fa sempre più forte.
Fra queste la Fulva degli Alburni, la Grigionese, la Mantellata Superiore, e molte altre la cui consistenza si conta sulle dita delle mani.
Patrimonio genetico
Frutto di un lungo percorso di adattamento ai loro ambienti di origine, queste razze possono racchiudere geni preziosi per futuri programmi di selezione indirizzati non solo sui parametri produttivi, ma anche su quelli di rusticità, che si traducono in adattamento a pascoli siccitosi e poveri, resistenza a cambiamenti climatici.
Risorse che si rischiano di perdere nel dedalo di continui incroci fra genetiche diverse senza finalità se non quelle di un vigore ibrido che promette, ma non sempre mantiene, migliori prestazioni produttive.
Non a caso, la popolazione di capre a maggiore diffusione è proprio quella meticcia.
Evitare l’estinzione
Conservare le razze è il primo obiettivo di qualunque progetto che miri a valorizzarne la genetica.
Ma non si può chiedere agli allevatori di mantenere in stalla animali che in termini di redditività sono meno competitivi di altri.
Per questo Bruxelles ha previsto nell’ambito dell’attuale Pac, Politica Agricola Comune, la possibilità di un finanziamento a fondo perduto per l’allevamento di animali appartenenti a una o più razze locali riconosciute a rischio di estinzione.
L’intervento è identificato con il nome SRA14 ACA14, nel quale si precisa che per accedere a queste risorse le razze dovranno essere iscritte all’Anagrafe Nazionale della Biodiversità, definita a livello regionale, così come gli aiuti destinati a questa finalità.
Valorizzazione genetica
Dopo la conservazione della razza, il secondo obiettivo è quello di indagare la loro struttura genetica nel tentativo di isolare i caratteri che si ritengono più interessanti, dalla resistenza alle patologie, alla rusticità alimentare.
Compito che chiama in causa la ricerca scientifica e le più recenti acquisizioni nello studio del genoma.
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Incontriamo così gli SNP, acronimo di polimorfismi a singolo nucleotide, che in medicina umana sono utilizzati per localizzare i geni associati ad alcune malattie.
Nel nostro caso gli SNP sono un aiuto all’individuazione di quella parte del corredo genetico associato a caratteristiche di interesse ai fini della selezione.
Le ricerche in corso
I risultati che si possono ottenere ricorrendo agli SNP sono stati illustrati in una recente ricerca condotta da Marika Di Civita (Università del Molise) e collaboratori, pubblicata sulla rivista scientifica Italian Journal of Animal Science.
La ricerca ha preso in esame quattro popolazioni di capre autoctone allevate nel Lazio: Bianca Monticellana, Capestrina, Grigia Ciociara e Fulva.
Quest’ultima è priva del Libro Genealogico, a differenza delle altre tre elencate.
Tutte hanno una scarsa diffusione e il numero di esemplari è ridotto.
Per loro c’è interesse alla conservazione, ma ancor più nel caso sia evidenziato un corredo genetico unico e con accentuate caratteristiche adattative.
Razze da conservare
La ricerca, condotta con il ricorso a metodologie molto complesse, dettagliate nel resoconto scientifico, ha rilevato nuove sottostrutture di interesse genetico nelle razze Bianca Monticellana e Fulva.
Questi risultati suggeriscono che queste razze offrano un più alto punteggio di contributo genetico, grazie alla presenza di genotipi ancestrali che meritano attenzione per la loro conservazione.
Per la razze Capestrina e Bianca Monticellana è emerso un elevato livello di omozigosi, che potrebbe essere evitato con adeguati programmi di allevamento.
I geni che ci servono
La ricerca conferma che i soli tratti morfologici, oggi riferimento principe per la selezione genetica, non offrono un’adeguata rappresentazione del genoma.
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In compenso sono stati evidenziati alcuni geni, che pure condizionano il fenotipo, associati alle capacità di adattamento a condizioni ambientali difficili, come la siccità o l’elevata altitudine.
Di forte interesse inoltre l’evidenza di alcuni geni connessi alla resistenza alle malattie e alla tolleranza allo stress termico.
Le priorità
Si attendono ora altri risultati che completino queste prime evidenze. Si conferma intanto l’importanza di un impegno costante per la conservazione delle razze meno diffuse e in particolare di quelle in pericolo di estinzione.
Nel loro patrimonio genetico potrebbero essere conservati i “segreti” per trasmettere alla progenie preziose caratteristiche.
Tanto più importanti se si tiene conto delle opportunità che l’allevamento della capra offre per il recupero di aree marginali altrimenti destinate all’abbandono e condannate al degrado.
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