Democrazia ed efficienza nell’Era digitale

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Il ruolo delle élites tra , populismo e crisi della rappresentanza è questo di cui proviamo ad occuparci in questo articolo. Sia nella brevità del testo esploreremo un paradosso del nostro tempo: mentre l’intelligenza artificiale (IA) e il capitalismo della sorveglianza promettono soluzioni rapide e personalizzate, la sembra arrancare, vittima di una crescente sfiducia nei confronti delle élites e del dilagare di fenomeni populisti che sfruttano la disintermediazione digitale per polarizzare l’opinione pubblica.

Introduzione
La democrazia è lenta, faticosa, imperfetta. L’efficienza è rapida, lineare, implacabile. Ma la velocità può essere democratica? E, soprattutto, una decisione rapida è sempre una buona decisione?.

In un’epoca dominata dalle tecnologie digitali e dall’intelligenza artificiale, la tensione tra democrazia ed efficienza non è più solo un dibattito teorico per politologi e filosofi. È una sfida concreta che riguarda la nostra vita quotidiana, le istituzioni che ci governano e il futuro stesso della sovranità popolare. Da un lato, assistiamo al trionfo di modelli decisionali basati su dati, algoritmi e automazione, capaci di analizzare e risolvere problemi con una velocità impensabile per le istituzioni democratiche tradizionali. Dall’altro, cresce la consapevolezza che la democrazia non può essere ridotta a una questione di mera efficienza: è un processo complesso, fatto di confronto, partecipazione e, talvolta, di sana lentezza.

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Partendo dalle riflessioni di e , pensatori contemporanei che hanno condiviso un dialogo critico sul destino della democrazia, e proseguendo con le analisi di sul “tradimento delle élites” e la crisi del populismo, fino ad arrivare alla critica radicale di sul capitalismo della sorveglianza, cercheremo di rispondere a tre domande fondamentali:
– È possibile conciliare l’efficienza delle tecnologie digitali con i principi della democrazia?
– Quale ruolo spetta alle élites nella difesa degli ordinamenti democratici in un mondo governato dagli algoritmi?
– In che modo i fenomeni populisti rappresentano una reazione, o forse una conseguenza, di questa nuova tensione tra efficienza e partecipazione?

In fondo, la posta in gioco non è solo la qualità del nostro sistema politico, ma la natura stessa della nostra libertà in un mondo sempre più interconnesso e controllato.

  1. Democrazia ed efficienza: Un conflitto storico?

Sin dalle origini del pensiero politico moderno, la democrazia è stata percepita come un sistema intrinsecamente lento e complesso. Norberto Bobbio, nel suo celebre Il futuro della democrazia, sottolineava come il processo decisionale democratico richieda tempo, confronto e mediazione, elementi spesso in contrasto con l’esigenza di efficienza che caratterizza le società contemporanee. Bobbio evidenziava il rischio che, di fronte alle crisi o alle emergenze, la tentazione di aggirare la lentezza democratica per favorire decisioni rapide possa erodere le fondamenta stesse della partecipazione e della rappresentanza.

Egli definisce la democrazia come «il regime del potere pubblico in pubblico», sottolineando l’importanza della trasparenza e della responsabilità come pilastri fondamentali. Questo principio entra in forte contrasto con l’opacità delle decisioni algoritmiche e con la governance predittiva basata sull’intelligenza artificiale, che rischiano di ridurre il controllo pubblico e democratico sui processi decisionali.
Inoltre, Bobbio distingue tra democrazia formale e democrazia sostanziale: la prima si concentra sulle regole procedurali, mentre la seconda mira a garantire l’effettiva uguaglianza e partecipazione. Nell’, questa distinzione diventa cruciale: un sistema può rispettare formalmente le regole democratiche, ma fallire sul piano sostanziale se la partecipazione è svuotata da meccanismi di controllo tecnologico e manipolazione dell’informazione.

Giovanni Sartori, anch’egli acuto osservatore delle dinamiche democratiche, dialoga implicitamente con Bobbio su questi temi, pur condividendo la stessa epoca e preoccupazioni. Sartori ci invita a non confondere la democrazia con la sua forma ideale. La democrazia reale, afferma, è un sistema imperfetto che deve costantemente bilanciare la partecipazione dei cittadini con l’efficienza governativa. Per Sartori, il vero problema non è la lentezza, ma la capacità del sistema di adattarsi alle trasformazioni sociali senza perdere di vista i suoi principi fondamentali.
Il concetto di efficienza, tuttavia, è ambiguo: ovviamente, vuole  indicare la capacità di raggiungere obiettivi nel modo più rapido e meno dispendioso possibile; ma, nella sfera politica, implica anche la qualità delle decisioni prese, la loro legittimità e il loro impatto sul tessuto sociale. In questo senso, un sistema può essere tecnicamente efficiente, ma politicamente disastroso se sacrifica la rappresentanza e il pluralismo.

Jan-Werner Müller, nel suo lavoro sul populismo e la crisi della democrazia liberale, evidenzia come le crisi della rappresentanza e la sfiducia nelle élites siano esiti di queste tensioni irrisolte. I fenomeni populisti, sostiene Müller, emergono proprio là dove l’efficienza decisionale si trasforma in un’arma per escludere il confronto democratico. In questo senso, la riflessione di Bobbio sulla necessità di garantire spazi pubblici di discussione e quella di Sartori sulla resilienza delle istituzioni democratiche si completano, offrendo chiavi di lettura per comprendere le dinamiche contemporanee.

  1. La sfida dell’era digitale: IA, algoritmi e democrazia

L’avvento delle tecnologie digitali e, in particolare, dell’intelligenza artificiale ha radicalmente trasformato la nostra idea di efficienza. Oggi, algoritmi sofisticati analizzano enormi quantità di dati, prendendo decisioni in frazioni di secondo. Questa capacità di elaborazione supera di gran lunga quella delle istituzioni democratiche tradizionali, sollevando interrogativi fondamentali:
Chi decide? Su quali basi vengono prese le decisioni? È possibile controllare il “cervello” invisibile che governa processi cruciali per la nostra società?
L’IA promette una “governance predittiva”, capace di anticipare bisogni e risolvere problemi prima ancora che emergano. Tuttavia, questa efficienza ha un costo: riduce lo spazio per il dibattito pubblico e per la deliberazione democratica.
Le decisioni automatizzate, se non opportunamente regolate, rischiano di diventare opache e incontestabili.

Le istituzioni democratiche si trovano così di fronte a una doppia sfida:
– Integrare l’IA nei processi decisionali senza perdere il controllo politico e democratico.
– Garantire che gli algoritmi rispettino i principi fondamentali della democrazia, come la trasparenza, l’equità e la responsabilità.

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Il dilemma è evidente: come conciliare la rapidità delle macchine con la lentezza necessaria del dibattito democratico? La risposta, probabilmente, non sta nel rifiutare la tecnologia, ma nel costruire meccanismi di accountability algoritmica. In questo senso, le recenti iniziative normative, come il Digital Services Act e il Digital Markets Act dell’Unione Europea, rappresentano tentativi di riaffermare la sovranità democratica nell’ambito digitale.

  1. Il Capitalismo della sorveglianza: efficienza senza democrazia?

Nel suo libro Il capitalismo della sorveglianza, Shoshana Zubov descrive un nuovo modello economico basato sull’estrazione e l’analisi dei dati personali con l’obiettivo di prevedere e influenzare i comportamenti umani. Questo sistema, che poggia su piattaforme digitali come Google, Facebook e Amazon, non mira semplicemente a soddisfare i bisogni esistenti, ma a plasmarli in funzione di logiche di profitto.
Come scrive la Zubov “Il capitalismo della sorveglianza non è il futuro che volevamo, ma il futuro che ci è stato imposto da coloro che hanno il potere di decidere cosa conta come futuro.”
Il capitalismo della sorveglianza rappresenta la forma estrema di un’efficienza disancorata da qualsiasi vincolo democratico. L’algoritmo decide cosa vediamo, cosa compriamo, persino cosa pensiamo di desiderare.
Questo potere predittivo, apparentemente neutrale, ha un impatto devastante sulla democrazia:
– Riduce l’autonomia individuale, trasformando le persone in meri “oggetti” di calcolo.
– Concentra il potere nelle mani di poche corporation tecnologiche, al di fuori di qualsiasi controllo democratico.
– Alimenta la disinformazione e la polarizzazione, sfruttando la logica della viralità per massimizzare l’engagement.
Bobbio parlava della necessità di «trasparenza delle decisioni pubbliche» come fondamento della democrazia. Oggi, paradossalmente, la trasparenza si è invertita: i cittadini sono costantemente sorvegliati, mentre i meccanismi decisionali delle piattaforme restano opachi e inaccessibili.

  1. Populismo e disintermediazione: figli dell’efficienza digitale

Il populismo contemporaneo si nutre proprio di questo nuovo ecosistema informativo.  Leader carismatici utilizzano i social media per eludere le istituzioni tradizionali, stabilendo un rapporto diretto e non mediato con il “popolo”. Questa dinamica, che Jan-Werner Müller definisce «disintermediazione populista», sfrutta la velocità e l’emotività delle piattaforme digitali per costruire narrazioni semplificate e polarizzanti.
Gli algoritmi, ottimizzati per massimizzare l’engagement, favoriscono contenuti che suscitano emozioni forti, come rabbia, indignazione e paura. Questo meccanismo crea una spirale di radicalizzazione che mina la qualità del dibattito pubblico e rafforza la logica amico/nemico tipica del discorso populista.

Il paradosso è evidente: mentre le tecnologie digitali promettono di ampliare la partecipazione democratica, finiscono per favorire una forma di partecipazione tossica, basata sulla reattività immediata piuttosto che sulla riflessione critica.

  1. Efficienza versus democrazia: il caso Italia

Particolarmente importanti appaiono queste riflessioni nel confronto politico e sociale che l’Italia e l’Europa si trovano ad attraversare.  Da molte parti, non solo politiche, ma anche imprenditoriali, si addebita infatti proprio alla “lentezza della democrazia” una buona parte dei problemi del Paese, e si propone (o forse, per meglio dire, si ripropone…) l’idea dell’uomo o della donna soli al comando.
Analogamente accade per quanto riguarda il giudizio sul valore di quelle istituzioni sovranazionali, dall’ONU  alla Corte Penale Internazionale – definite come “figlie di un’altra epoca” – e ormai dipinte come “continue produttrici di inutili ostacoli” al dispiegarsi di una politica che appare sempre più tornare a basarsi sulla forza e che vede in ogni organismo di controllo e finanche in ogni organismo di tutela – da quella sanitaria a quella umanitaria, per non parlare di quella climatica – un avversario da ridurre al silenzio. Magari affidando tale compito proprio a chi ha costruito la propria fortuna sul mito populistico della «possibilità di ciascuno di connettersi con il mondo intero, gratuitamente, nel modo e con lo strumento tecnologico più semplici».
Ma dove si è più operato per far crescere nell’opinione pubblica, l’idea dell’inaccettabilità del contrasto tra lentezza della democrazia e necessità dell’efficienza, appare essere, in questi anni, il tema dell’integrazione europea. Non c’è stata, infatti, solo la Brexit, A fianco ad essa e con gli stessi obiettivi (quando addirittura non anche con gli stessi slogan), è stata fatta crescere, in modo scientifico, la convinzione che Bruxelles, la Commissione e l’intera Unione Europea costituiscano un’inutile soma anziché un patrimonio costruito sulle tragedie di due guerre mondiali e di una Cortina di ferro che ha tagliato in due, per decenni, Paesi e città con storia, lingua e tradizioni comuni, ha diviso parenti da parenti, ha reso nemici i propri vicini di casa ed ha riportato nel cuore dell’Europa, il fragore delle bombe e il sangue dei massacri.
L’erosione del consenso intorno all’idea di un’Europa forte perché unita e la rinascita dell’idea che “ci si possa salvare da soli” è figlia dello stesso contrasto che in questo articolo stiamo esaminando e si nutre delle stesse modalità per crescere e rafforzarsi: mascheramento delle vere cause delle crisi – da quella climatica a quella migratoria, riproposizione, via via più edulcorata se non addirittura giustificatoria , di un orribile passato fatto di bandiere nere e saluti romani, fino alla crescita di un moderno “populismo di Stato”.  Allora, discutere come questo articolo cerca di fare, vuole contribuire a mantenere ferma l’idea che la democrazia non sia un ostacolo all’efficienza, ma un modo per rendere le decisioni più robuste, giuste e legittime.
La sfida è trasformare la lentezza democratica in una risorsa, non in un difetto, e costruire istituzioni capaci di affrontare la complessità senza rinunciare ai principi di partecipazione, trasparenza e giustizia sociale.

Nell’Italia contemporanea, tra coloro che più hanno riflettuto su questi argomenti, vanno citati, da un lato , dall’altro il gruppo di intellettuali raccoltosi nell’Associazione Libertà e Giustizia, tra i quali , Sandra Bonsanti, Nadia Urbinati e Gustavo Zagrebelsky.

L’Associazione Libertà e Giustizia, in particolare, è stata fondata appunto con l’obiettivo di difendere i principi costituzionali e promuovere la cultura della legalità. Le riflessioni ed i documenti prodotti dall’Associazione offrono un contributo prezioso al dibattito sulla tensione tra democrazia ed efficienza, non limitandosi a una visione critica ma proponendo anche visioni costruttive per rafforzare e garantire il futuro della democrazia.
Le campagne e i manifesti promossi dall’Associazione si sono spesso concentrati sulla difesa della Costituzione, sulla trasparenza delle istituzioni e sulla necessità di una cittadinanza attiva e consapevole, argine alla possibilità che la democrazia venga svuotata della sua  linfa vitale.
Proprio la cittadinanza attiva, oltre che esercitare una funzione di permanente controllo sull’operato dei governanti, può infatti trasferire alle Istituzioni –  anche attraverso strumenti quali le proposte di referendum propositivo e le leggi di iniziativa popolare – quelle istanze che finirebbero invariabilmente  per essere ignorate da un sistema che vede pochi, ma potentissimi  gruppi finanziari e tecnologici che,  grazie alla proprietà di grandi network mediatici e attraverso l’uso pervasivo dei social, impongono la propria visione del mondo e “delle sue esigenze” all’opinione pubblica .
Montanari, in particolare, sottolinea l’importanza della cultura e della memoria storica come strumenti di resistenza alla riduzione della politica a gestione tecnica. Per lui, l’educazione civica, la difesa del patrimonio culturale e la partecipazione dal basso sono fondamentali per mantenere viva la democrazia. La sua visione costruttiva si concentra sulla necessità di rafforzare la cittadinanza attiva, promuovendo spazi di discussione e deliberazione pubblica come antidoto alla logica dell’efficienza cieca.
Attraverso l’Associazione Libertà e Giustizia, Montanari ha sostenuto iniziative contro la deriva autoritaria e per la tutela dei beni comuni, ribadendo il ruolo centrale della cultura nella formazione del pensiero critico.
Bonsanti ha promosso battaglie per la libertà di stampa e la trasparenza, mentre Urbinati ha approfondito il tema del populismo come rischio per la democrazia rappresentativa, ponendo l’accento sulla necessità di un rinnovato impegno civico.
Il grande costituzionalista Zagrebelsky, infine, insiste sull’idea di “diritto mite”, ovvero un diritto che non si impone con la forza, ma che persuade attraverso la ragione e la giustizia.
La democrazia efficiente – ci ha più volte ricordato –  non è quella che decide più in fretta, ma quella che garantisce decisioni giuste e condivise, rispettando la pluralità delle opinioni e dei valori. Propone quindi un modello di democrazia “lenta”, che valorizza il processo deliberativo come momento di crescita collettiva. Con Libertà e Giustizia, Zagrebelsky ha partecipato a manifesti e campagne per la difesa della Costituzione e contro le riforme che rischiano di indebolire la separazione dei poteri.

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Da ultimo mi piace ricordare il contributo di analisi, ma soprattutto di stimolo alla più larga opinione pubblica, rappresentato dagli articoli di Ezio Mauro, l’ex Direttore del quotidiano la Repubblica. Proprio sui rischi del populismo, che in Italia si nutrono di una tradizione particolarmente pericolosa, e sul “tradimento delle élites”, di quella struttura sempre incombente ma sovente irresponsabile.

«Un vero establishment avrebbe la coscienza di ciò che si perde in questa trasformazione, e diventerebbe classe generale nel senso moderno del termine proprio tutelando quei valori e quelle regole nelle quali ha costruito il suo successo, e il Paese ha prosperato: dimostrando di custodire in sé il seme della democrazia come bene comune. Ma in realtà la classe dirigente è condizionata perché avverte la propria delegittimazione costante a opera del populismo antipolitico che fa precipitare tutti i membri dell’élite dentro un atto d’accusa generale non per come hanno esercitato il potere, ma per averlo fatto». […].

«La scommessa è rompere il nesso tra Stato e democrazia, fonte della civiltà occidentale per tutti gli ottant’anni del dopoguerra. Quindi sterilizzare il concetto di democrazia liberandola dai vincoli con le procedure liberal-democratiche, dalle eredità storiche come l’antifascismo, dall’equilibrio e dalla separazione dei poteri […] Ora, com’è possibile che questa prospettiva non generi un rifiuto, una ribellione o almeno un’obiezione universale? Con la fine dell’opinione pubblica, spezzettata in tante opinioni private spese a vuoto sui social dove non fanno “causa”, noi consumiamo il progetto trumpiano di democrazia autoritaria in singoli episodi che riducono in pillole il disegno reazionario, impediscono di leggerne la portata, e anzi sfilando a turno sullo schermo spettacolarizzano l’eversione, trasformando ogni frase e qualsiasi gesto in un numero isolato da circo, mentre invece sono la realtà».

Mi sembra che all’analisi ci sia poco da aggiungere, ma allora tutto è perduto?
«Se l’algoritmo sa già cosa voteremo, che senso ha ancora la democrazia?».
La risposta è semplice: la democrazia ha senso perché ci ricorda che non siamo dati da prevedere, ma cittadini da ascoltare.

Conclusioni: difendere la democrazia senza rallentare il progresso

In un mondo dove la tecnologia promette efficienza assoluta, la democrazia può sembrare obsoleta. Ma è proprio in questa apparente debolezza che risiede la sua forza. La democrazia non è il sistema più veloce né il più semplice, ma è l’unico che garantisce la libertà e la dignità di ogni individuo.
Di fronte a queste sfide, la domanda cruciale è: come difendere la democrazia senza sacrificare i benefici dell’innovazione tecnologica? La risposta richiede un ripensamento profondo del rapporto tra tecnologia e politica:
– Riconoscere il valore della lentezza democratica: La democrazia non deve competere con la velocità degli algoritmi, ma riaffermare l’importanza della deliberazione e del confronto.
– Regolare il potere delle piattaforme: Le democrazie devono dotarsi di strumenti normativi efficaci per garantire la trasparenza degli algoritmi e la protezione dei diritti fondamentali.
– Promuovere una cittadinanza digitale consapevole: L’educazione civica deve includere la comprensione dei meccanismi digitali che influenzano le opinioni e le scelte politiche.

Naturale, allora, sembra essere concludere l’articolo con un richiamo al Manifesto di Ventotene: «la lotta per la democrazia oggi non è contro regimi autoritari visibili, ma contro forme più sottili di controllo e manipolazione. La democrazia non è solo un sistema di regole, ma un’idea di libertà che va difesa e rinnovata continuamente».

Mauro Sarrecchia

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Breve bibliografia
Democrazia ed efficienza: un conflitto storico?
Carlo Galli – Il disagio della democraziaEinaudi. Torino. 2011. Mentre sembra l’unica forma politica legittima, la democrazia conosce molti gravi problemi che la sfidano dall’esterno e dall’interno, e che possono sfociare in una crisi complessiva della democrazia. Se la democrazia non è un destino, tuttavia, rivisitata senza dogmatismi e senza trionfalismi, custodisce in sé la fragile speranza in un’umanità capace di dare legge a se stessa, nella dignità e nella libertà di tutti.
Norberto Bobbio – La democrazia realistica di Giovanni Sartori – 17/12/1987 – Fondazione Feltrinelli
. In questo intervento, Bobbio analizzò il pensiero di Giovanni Sartori, evidenziando la sua visione pragmatica della democrazia. Sartori, secondo Bobbio, proponeva una concezione della democrazia che riconosceva le sue imperfezioni e limitazioni, ma che, pur mantenendo un impegno verso i valori democratici, si adattava alle realtà politiche e sociali concrete. Bobbio sottolineò come Sartori fosse consapevole delle sfide e delle contraddizioni intrinseche al sistema democratico, promuovendo un approccio che bilanciasse idealismo e realismo politico. L’intervento è stato successivamente pubblicato nel 1988 nel numero 1 della rivista “Teoria Politica”, con il titolo “La democrazia realistica di Giovanni Sartori”.
Gustavo Zagrebelsky – Il diritto mite. Leggi, diritti, giustizia – Einaudi. Prima edizione 1992. – Nuova edizione 2024, corredata da un’Introduzione dove si cerca di rispondere alle critiche suscitate dalla novità controcorrente della tesi sostenuta nel volume: chi maneggia il diritto sa che ciò che è davvero fondamentale sta non nella Babele dei codici, delle leggi, dei regolamenti, ma nelle concezioni della giustizia, in cui il diritto è immerso. I giuristi consapevoli della funzione sociale del diritto non possono ignorare queste radici complicate della loro professione. Il «diritto mite» è una proposta di apertura culturale indirizzata a loro.
Gustavo ZagrebelskyLa democrazia e i suoi limiti – Einaudi, 2019. Un’analisi critica delle tensioni interne alla democrazia e delle sfide che il populismo pone all’ordine costituzionale.
Gustavo Zagrebelsky Democrazia senza popolo – Laterza, 2015. Insieme a Luciano Canfora e Massimo Cacciari, riflette sul paradosso di una democrazia formale priva di un reale coinvolgimento popolare.
Gustavo Zagrebelsky – Il crucifige e la democrazia – Einaudi, 2017. Un saggio che affronta la fragilità della democrazia in tempi di crisi, analizzando la dinamica tra istinti autoritari e valori costituzionali.
Gustavo ZagrebelskyFondata sulla cultura – Einaudi, 2014. Discute il legame tra cultura e democrazia, evidenziando come il populismo possa prosperare in contesti di impoverimento culturale.

L’AI e noi, spiegato da chi la conosce a chi la teme
Luciano Floridi La quarta rivoluzione: Come l’infosfera sta trasformando il mondo – Raffaello Cortina Editore 2017. Chi siamo e che tipo di relazioni stabiliamo gli uni con gli altri? Gli sviluppi nel campo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione stiano modificando le risposte a domande così fondamentali. I confini tra la vita online e quella offline tendono a sparire e siamo ormai connessi gli uni con gli altri senza soluzione di continuità, diventando progressivamente parte integrante di un’”infosfera” globale. Dovremmo sviluppare un approccio in grado di rendere conto sia delle realtà naturali sia di quelle artificiali, in modo da affrontare con successo le sfide poste dalle tecnologie correnti e dalle attuali società dell’informazione.
Luciano Floridi Etica dell’intelligenza artificiale. Sviluppi, opportunità, sfide. Raffaello Cortina Editore, 2022. Istruzione, commercio, industria, viaggi, divertimento, sanità, politica, relazioni sociali, in breve la vita stessa sta diventando inconcepibile senza le tecnologie, i servizi, i prodotti digitali. Questa trasformazione epocale implica dubbi e preoccupazioni, ma anche straordinarie opportunità. Proprio perché la rivoluzione digitale è iniziata da poco abbiamo la possibilità di modellarla in senso positivo, a vantaggio dell’umanità e del pianeta. Ma a condizione di capire meglio di che cosa stiamo parlando. È cruciale comprendere le trasformazioni tecnologiche in atto per disegnarle e gestirle nel modo migliore.

Populismo e disintermediazione: figli dell’efficienza digitale
Jan-Werner Müller – Che cosa dicono i populistiestratto dal libro Che cos’è il populismo – 2017 – Pandorarivista.it. Müller offre un’analisi incisiva sui populisti, esplorando le loro narrazioni politiche e le loro implicazioni sulla democrazia. L’autore sostiene che i populisti non solo sfidano l’ordine democratico, ma ne mettono in discussione i principi fondamentali, riducendo il dibattito politico a un conflitto binario tra “il popolo puro” e “l’élite corrotta”, indebolendo così le istituzioni democratiche.
Alessandro Visalli – recensione del libro di Jan-Werner Müller – L’enigma democrazia. tempofertile.blogspot.com. 2013 – Visalli offre una panoramica approfondita sul lavoro di Müller, sottolineando come l’autore metta in luce il rischio che le forze populiste rappresentano per la democrazia, insistendo su come queste possano distorcere le istituzioni e il concetto stesso di legittimazione popolare.
Domenico Palano – Lo spettro del populismo e il vuoto della politica – Maesltrom. 2017. Nella sua recensione a J.W. Müller, Cos’è il populismo? Università Bocconi Editore, 2017, Palano esplora come il populismo rappresenti una risposta alla crisi della politica tradizionale, dove il vuoto lasciato dall’assenza di soluzioni ai problemi concreti della società venga colmato da retoriche polarizzanti. La sua analisi pone l’accento sul pericolo che il populismo possa alimentare forme autoritarie.
Nadia UrbinatiDemocrazia in diretta. Le nuove sfide alla rappresentanza – Feltrinelli, 2013. Analizza come il populismo e le nuove forme di partecipazione diretta minaccino il ruolo della democrazia rappresentativa.
Nadia UrbinatiIl populismo – Il Mulino, 2019. Un saggio fondamentale che esplora la natura del populismo, le sue radici storiche e le implicazioni per la democrazia liberale.
Nadia Urbinati – La democrazia del sorteggio (con Luciano Vandelli) – Laterza, 2018. Riflette sulle forme alternative di partecipazione democratica, come il sorteggio, e il loro rapporto con il populismo.
Nadia UrbinatiDemocracy Disfigured: Opinion, Truth, and the People – Harvard University Press, 2014. Urbinati esamina come le nozioni di opinione pubblica e verità influenzano la salute delle democrazie moderne.

La democrazia e il tradimento delle élites
Lorenzo Mesini – Élite e democrazia nel pensiero politico moderno – Pandora Rivista. 2020. Mesini esplora come il pensiero politico moderno ha trattato la relazione tra élite e democrazia, analizzando le riflessioni di autori come Weber e Schumpeter, e discutendo la tensione tra il governo delle élites e la partecipazione democratica.
Christopher Lasch – La rivolta delle élites e il tradimento della democrazia Feltrinelli 1995. Neri Pozza Editore, Nuova edizione, 2017 – Pubblicato per la prima volta nel 1995, un anno dopo la morte del suo autore, apparve subito come un libro fondamentale, capace di cogliere, più di qualsiasi testo di politologia, le ragioni profonde della crisi delle moderne democrazie liberali. Il libro ritrae per la prima volta, nei suoi tratti essenziali a noi oggi così familiari, quell’élite liberale e cosmopolita di tecnocrati, manager e agenti della comunicazione che determinano le sorti delle società contemporanee, ma la cui creatività è rivolta soltanto a «una serie di attività mentali astratte svolte in un ufficio, preferibilmente con l’aiuto di un computer, e non alla produzione di cibo, case o altri generi di prima necessità». Il solo rapporto che, nel liberalismo moderno, l’élite ha con il lavoro produttivo è, per Christopher Lasch, il consumo. Per il resto essa vive in una «iperrealtà», un mondo simulato di modelli computerizzati e dove l’ossessione fondamentale è il controllo, la «costruzione della realtà». Lasch non si sottrae alla questione di cosa opporre alla rottura del legame sociale prodotta dalla rivolta delle élite. Nel sindacalismo agrario e operaio americano dell’Ottocento, confluito poi nel People’s Party e nel Partito Democratico, vi è, secondo lui, la possibile risposta: l’esperienza di comunità fondate su valori come l’eguaglianza delle opportunità, la competenza, la mutua collaborazione, e per questo «capaci di autogoverno».
Salvatore Santangelo – Democrazia, mass media e tradimento dell’élite. Un dibattito di 90 anni fa – Huffington Post. 2016 – Nel recensire le tesi esposte da Lippmann, nel suo saggio del 1922 L’Opinione pubblica – La democrazia, gli interessi, l’informazione organizzata Santangelo pone in evidenza come Lippmann annunci  che la natura della democrazia forse è cambiata; la democrazia in senso “forte” – il governo del popolo, basato sulla sua piena partecipazione alle decisioni politiche – non sarebbe più praticabile: l’opinione pubblica – emotiva e irrazionale – non sarebbe qualificata a guidare i processi di decisione politica (policy making) e quindi sia necessaria una mutazione della democrazia in tecnocrazia: per governare efficientemente “il vasto e imprevedibile ambiente” del mondo contemporaneo sarebbero richieste la selezione, la coltivazione e l’educazione di un’élite di esperti e di tecnici che – in quanto detentori non di “opinioni”, ma di “una scienza obiettiva” – dovrebbero affiancare i politici nelle proprie scelte.
Lanzafame A.G.  Democrazia, accessibilità dei poteri, circolazione delle élites: dal principio alla realtà Dirittifondamentali.it – Fascicolo 2/2018. Lanzafame affronta il tema della circolazione delle élites e della necessità di garantire l’accessibilità dei poteri, argomentando che una democrazia sana deve assicurare che le élites non siano un gruppo chiuso e che la mobilità sociale sia possibile.
Ezio MauroLa democrazia e il tradimento delle élites – La Repubblica. 2025. Mauro esamina come le élites abbiano tradito la democrazia, allontanandosi dalle sue radici partecipative e mirando principalmente ai propri interessi. Il testo riflette sul pericolo di una democrazia svuotata, in cui le istituzioni sono sempre più distanti dai cittadini.
Ezio Mauro – Come rispondere alla tentazione autoritaria – La Repubblica. 2025. Mauro analizza la crescente attrazione per soluzioni autoritarie in molte democrazie moderne, suggerendo che l’incapacità delle istituzioni democratiche di rispondere alle sfide sociali ed economiche può spingere molti verso il populismo e il populismo autoritario come risposta al disagio.
Ezio MauroLa tecnodestra che avanza – La Repubblica. 2025. Mauro riflette sul crescente potere della “tecnodestra”, ovvero una destra che sfrutta le tecnologie e i media digitali per consolidare il proprio potere, spesso a scapito dei valori democratici. Il suo intervento esamina anche come l’uso della tecnologia possa alterare le dinamiche politiche.

Il capitalismo della sorveglianza: efficienza senza democrazia? Ma Rete e Social non sono la risposta
Shoshana ZubovIl capitalismo della sorveglianza – Luiss University Press. 2019. – Il capitalismo della sorveglianza è quello in cui le piattaforme e le società tecnologiche si appropriano gratuitamente dell’esperienza umana, usandola come materia prima da trasformare in dati sui comportamenti che, sottoposti a un processo di lavorazione avanzato, noto come “intelligenza artificiale”, sono trasformati in prodotti predittivi in grado – per l’appunto – di predire cosa faremo immediatamente, tra poco e tra molto tempo. Questi prodotti vengono scambiati a caro prezzo, in un nuovo tipo di mercato per le previsioni comportamentali.
David RuncimanHow Democracy Ends – Profile Books Ltd. 2018. -. Riflessione sul futuro della democrazia di fronte alle nuove tecnologie e ai cambiamenti politici globali: la democrazia è morta centinaia di volte, in tutto il mondo. Pensiamo di sapere come si presenta: scende il caos e arrivano i militari per ristabilire l’ordine, fino a quando non ci si può fidare che il popolo si occupi di nuovo dei propri affari. Tuttavia, c’è il rischio che questo quadro sia superato. Fino a poco tempo fa, la maggior parte dei cittadini delle democrazie occidentali avrebbe immaginato che la fine fosse molto lontana, e pochi avrebbero pensato che potesse accadere sotto i loro occhi con l’avvento di Trump, della Brexit e del populismo paranoico. David Runciman, uno dei più importanti professori di politica del Regno Unito, risponde a tutto questo e ad altro ancora, analizzando il panorama politico dell’Occidente, aiutandoci a individuare i nuovi segnali di un crollo della democrazia e consigliandoci su ciò che potrebbe accadere in futuro.
Evgeny MorozovThe Net Delusion: The Dark Side of Internet FreedomPublicAffairs, 2011. “La rivoluzione sarà su Twitter!” ha dichiarato il giornalista Andrew Sullivan dopo lo scoppio delle proteste in Iran. Evgeny Morozov, 15 anni prima del ciclone Musk, denuncia che  Internet è uno strumento che possono usare sia i rivoluzionari sia i governi autoritari. Per quanto si parli in Occidente del potere di Internet di democratizzare le società, i regimi in Iran e in Cina sono stabili e repressivi come sempre. I siti di social media sono stati utilizzati per rafforzare i dittatori e minacciare i dissidenti, rendendo più difficile – e non più facile – la promozione della democrazia. Con un’avvincente serie di casi di studio, The Net Delusion mostra perché la posizione cyber-utopica secondo cui Internet è intrinsecamente liberatorio è sbagliata e come iniziative ambiziose e apparentemente nobili come la promozione della “libertà di Internet” siano fuorvianti e, a volte, dannose.
Cass R. Sunstein#Republic: Divided Democracy in the Age of Social Media – Princeton University Press, 2017. Internet diventa sempre più sofisticato e crea nuove minacce alla democrazia. Le società di social media come Facebook sono in grado di suddividerci in modo sempre più efficiente in gruppi di persone che la pensano allo stesso modo, creando camere dell’eco che amplificano le nostre opinioni. Non è un caso che in alcune occasioni persone con opinioni politiche diverse non riescano nemmeno a capirsi. Non è nemmeno una sorpresa che i gruppi terroristici siano stati in grado di sfruttare i social media con effetti letali. Benvenuti nell’era della #Repubblica. In questo libro rivelatore, Cass Sunstein, autore di bestseller del New York Times, mostra come l’Internet di oggi stia portando alla frammentazione politica, alla polarizzazione e persino all’estremismo, e cosa si può fare al riguardo. Propone cambiamenti pratici e legali per rendere Internet più favorevole alla deliberazione democratica, dimostrando che #Repubblica non deve essere un termine ironico. Anzi, può essere un grido d’allarme per il tipo di democrazia di cui i cittadini di società diverse hanno più bisogno.
Zeynep TufekciTwitter and Tear Gas: The Power and Fragility of Networked Protest. 2017 – Il libro è disponibile gratuitamente con una licenza Creative Commons. – Un resoconto di prima mano e un’analisi incisiva della protesta moderna, che rivela i maggiori punti di forza e le frequenti sfide dei movimenti sociali alimentati da Internet. Per capire un colpo di stato turco sventato, un accampamento anti-Wall Street e una piazza Tahrir gremita, dobbiamo prima comprendere il potere e le debolezze dell’uso delle nuove tecnologie per mobilitare un gran numero di persone. Osservatrice incisiva, scrittrice e partecipante ai movimenti sociali di oggi, Zeynep Tufekci spiega in questo libro accessibile e avvincente le traiettorie sfumate delle proteste moderne: come si formano, come operano in modo diverso dalle proteste del passato e perché hanno difficoltà a persistere nelle loro ricerche di cambiamento a lungo termine. Tufekci parla per esperienza diretta, combinando interviste sul campo e analisi approfondite.
Manuel CastellsReti di indignazione e di speranza – Università Bocconi Editore, 2015. L’insuccesso della rivoluzione siriana e della primavera araba non significano di certo la fine dei nuovi movimenti. Dall’uscita della prima edizione di questo libro (2012), ne sono sorti altri: in Brasile (con il Movimiento Passe Livre che occupa l’Avenida Paulista, una protesta che andrà avanti per mesi); e poi Gezi Park a Istanbul, l’occupazione di Maidan Square a Kiev, la rivoluzione degli ombrelli a Honk Kong, le proteste in Messico, Podemos in Spagna, il Movimento 5 Stelle in Italia. C’è una cosa che, pur nella diversità, hanno in comune: sono tutti inestricabilmente legati alla creazione di reti di comunicazione autonome, supportate da Internet e da trasmissioni wireless. Castells è in grado di rispondere onestamente e criticamente alla domanda che molti osservatori ponevano a questi movimenti: “E allora, quali sono gli specifici esiti, quali i risultati tangibili sul piano sociale? Quale è stato, ammesso che ci sia stato, il loro impatto sui sistemi politici e sulla politica concreta?”. Ed è in grado di denunciare anche gli aspetti più ambigui di movimenti che utilizzano la Rete, quali ad esempio il Movimento 5 Stelle, una delle novità di questa edizione.

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