Da gravi irregolarità alla decadenza di Todde: ciò che accade in Sardegna per me è una questione di genere

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di Enza Plotino

Una domanda mi frulla nella testa quando penso alla vicenda della richiesta di decadenza della presidente della Regione Sardegna. Di certo le ragazze di oggi, di cui Alessandra Todde fa parte a pieno titolo, sentono di misurarsi con pari dignità e senza discriminanti apparenti in questo sistema sociale che si dice fuori dal patriarcato, retaggio dei secoli passati! Ma io faccio parte di tutte quelle donne nate nella prima metà del ‘900 e che le dinamiche di esclusione, di emarginazione, le hanno vissute direttamente, sulla propria pelle e le riconoscono laddove ancora si annidano.

Che una contestazione per “gravi irregolarità” nel rendiconto delle spese elettorali faccia un rocambolesco upgrade, diventando un’ordinanza-ingiunzione di decadenza, con una votazione a maggioranza (il Collegio è formato per una parte di magistrati e per l’altra di professori universitari), difficilmente sarebbe successo ad un politico maschio. Infatti non è mai successo, e non perché di gravi irregolarità non ce ne siano mai state! Fatta questa utile premessa, non voglio né mi permetto di entrare nel merito delle contestazioni che il Collegio regionale di garanzia elettorale ha sollevato nei confronti della presidente della Regione Sardegna, restando un punto fermo il pronunciamento del Tribunale di Cagliari del prossimo 20 marzo, così come il ricorso alla Consulta per conflitto di attribuzione tra enti, approvato pochi giorni fa in Consiglio regionale “al fine di ripristinare la legalità violata”, come ha dichiarato il primo firmatario della mozione, il capogruppo del Pd Roberto Deriu.

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Si chiederà alla Corte Costituzionale “una pronuncia a tutela della posizione e delle prerogative costituzionali degli organi regionali di direzione politica”. La tesi è che lo Stato, e quindi il Collegio elettorale che ha emesso l’ordinanza di ingiunzione, non sarebbe competente a esprimersi sulla decadenza della Presidente. La competenza del Collegio elettorale, come è scritto nella mozione, “è circoscritta alle cause di decadenza che colpiscono i consiglieri elettivi, mentre la presidente è consigliera di diritto”. C’è un “vuoto normativo da colmare a tutela degli elettori”, come dichiara il presidente del Consiglio Regionale Piero Comandini. Ma come ho detto, non voglio soffermarmi sui procedimenti giudiziari.

Vorrei invece approfondire l’assurdità, ai miei occhi di profana, di una imputazione che non vuole sanare un gap nelle procedure di rendicontazione della campagna elettorale, ma vuole sovvertire il risultato elettorale, mandare all’aria una presidente e una maggioranza legittimamente eletti. Emerge una tale sproporzione tra l’atto denunciato e la pena richiesta che sembra una costruzione ad arte per “azzoppare” una Giunta, una donna – il che è più facile – per sollevare un polverone che oscuri i danni enormi che la destra ci ha lasciato e che piano piano stanno venendo tutti fuori. “Sono qui, determinata a portare avanti il mio lavoro quotidiano con dedizione, sempre ed esclusivamente al servizio dei sardi e dei loro interessi”, dice Todde.

Non voglio aggiungere nient’altro su una vicenda che una cosa l’ha già sancita: non si può permettere ad una donna di prendere le redini di un governo, di voler agire, ma la si vuole a tutti i costi ricondurre nel retrobottega della politica, in quella zona di mezzo affollata di donne, zona di cui gli uomini, i politici maschi, non sanno l’esistenza. L’unica donna che è arrivata al vertice, la presidente del Consiglio Meloni, si è dovuta cambiare i connotati per farsi accettare! Essere donne e voler ambire al centro del mondo politico e istituzionale è parecchio faticoso anche in questo secolo.

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