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Il Quotidiano della Calabria, ha dedicato una lunghissima intervista il cetrarese Elio Orsara, uno dei più importanti imprenditori del Giappone e commentatore della Repubblica Italiana, impiantato ormai da tanti anni in terra nipponica. Orsara, che è ancora oggi legatissimo alla sua Cetraro e che sarà prossimamente anche ambasciatore dell’Expo di Osaka, si è raccontato ai microfoni del giornale calabrese.
Gli inizi a Cetraro
«Sono un figlio della Calabria, molto curioso e che nella vita non si è mai posto limiti. Sono cresciuto negli anni ‘80 durante il boom economico in Italia e in Europa e quindi anche in Calabria. Io vivevo a Cetraro e in quegli anni in Calabria nei mesi estivi i villeggianti venivano da ogni parte d’Italia, ma anche dall’America e soprattutto dal Canada, per cui sono cresciuto con il sogno americano e come tutti i giovani avevo voglia di viaggiare, perché avevo capito quanto era importante la conoscenza delle lingue straniere».
Le prime esperienze lontano dopo il diploma
«La mia prima meta è stata Milano. Mi ha affascinato perché era il tempo della Milano da bere, ho lavorato al Grand Hotel Brun, ma finito il contratto decido di trasferirmi in Inghilterra e qui mi sono innamorato di una ragazza spagnola, il padre aveva una caffetteria in Spagna che aveva difficoltà a decollare così decisi di trasferirmi in Spagna con la mia fidanzata dell’epoca. Avevo vent’anni. Ho preso in gestione una caffetteria a Murcia, città della Spagna e l’ho trasformata in un ristorante. Intanto la mia storia d’amore finì ed io avevo ancora il sogno americano, quando mi arrivò il visto per partire e mi trasferii negli Stati Uniti».
Il sogno americano
«Sono arrivato Los Angeles. Il mio sogno era diventato realtà, cercai lavoro e fui assunto su una nave da crociera: la Love Boat, quella della serie tv per capirci, ma non era come l’avevo vista in televisione, popolata da belle ragazze e vita spensierata, invece trovai un’infinità di signore anziane. È stato molto importante lavorare lì, perché c’è un’organizzazione perfetta. Per me è stata come una scuola formativa perché mi ha dato una professionalità che se avessi lavorato in un ristorante non l’avrei mai acquisita. Oggi mi rendo conto che non avrei potuto essere un imprenditore se non avessi lavorato sulla nave. I menù erano solo piatti tipicamente italiani. La tratta di navigazione era Los Angeles Acapulco. Ho fatto il massimo dei mesi che potevo stare perché avevo capito l’importanza di quel lavoro per me. Ho lavorato sia in cucina che in sala. Una volta sceso dalla nave non sono più risalito. Perché partiva per l’Alaska e io non ero interessato ad andare in quel posto così freddo. Sono sceso a Los Angeles, ma la città non mi piacque, così decisi di andare a New York, arrivato nella Grande Mela rimasi deluso così decisi di accettare un contratto al Golf Club Monticello che si trova a Fino Mornasco.
Dagli Stati Uniti al Giappone
«Al club conobbi un giapponese che all’epoca era l’uomo più ricco del mondo e si trovava in Italia perché aveva appena comprato il nome “Taverna Colleoni” a Bergamo e cercava un manager italiano che gli facesse l’apertura a Kobe in Giappone, ma a quel tempo per me il Giappone, la Corea o la Cina erano la stessa cosa, io conoscevo solo i samurai e avevo un’idea distorta di quel paese, per me era un posto con le lanterne rosse dove non c’era civiltà. Quando arrivai a Kobe trovai una realtà completamente diversa, per me fu uno shock culturale. Incontrai persone che conoscevano tutto dell’Italia, la lirica, i nostri stilisti, quindi trovai una situazione culturale molto più importante e più costruttiva dell’America. Io era andato solo per fare un’esperienza avevo un contratto di due mesi e mezzo e poi sarei ritornato in Italia. Rientrato a Cetraro il mio datore di lavoro giapponese mi cercò e venne in Calabria per parlare con i miei genitori per potermi riportare in Giappone e starci un anno. Tokyo è una città internazionale dove si parla molto in inglese, ma io prima di ritornare volevo imparare la lingua, così mi trasferisco in una località abitata interamente da giapponesi dove non c’erano gli stranieri, avevo capito che se volevo rendere utile la mia esperienza dovevo vivere in mezzo ai giapponesi. Non solo volevo imparare la loro lingua ma anche capire la loro cultura e abitudini quotidiane, il loro modo di divertirsi. A un primo impatto può sembrare che i giapponesi siano freddi, invece sono particolarmente amichevoli. Hanno una dignità come pochi altri popoli. Poi ho conosciuto una ragazza e mi sono innamorato e quindi ho incontrato la sua famiglia. E questo mi è molto piaciuto perché hanno il concetto di famiglia molto simile a noi calabresi. E lì mi si è aperto un altro mondo. Nel frattempo una nota marca di caffè italiano aveva aperto dei punti vendita in Giappone, un mio amico mi propose di prendere in mano la gestione di questa marca di caffè. Vidi questa opportunità come l’occasione per poter gestire io stesso un’azienda anche se in quel momento era un disastro».
Il primo ristorante e la svolta con Giorgio Armani
«Ho licenziato tutti, ho selezionato personalmente il nuovo personale e le cose hanno cominciato a funzionare, per tre anni e mezzo non ho preso un giorno di riposo. Dopo tornai in Italia. Quando seppi dell’arrivo del mio primo figlio a quel punto ho pensato che dovevo prendere una decisione e dare una stabilità alla mia famiglia, quindi con mia moglie ritornai in Giappone perché c’era la sua famiglia e con i soldi che avevo ho aperto un mio ristorante, la mia prima attività. Con moltissime difficoltà. Avevo speso tutti i miei soldi per ristrutturare il locale e i giapponesi non mi facevano credito, i primi tempi è stato davvero dura. Eravamo in sei a lavorare, della mia famiglia calabrese avevo solo Germano e Roberto miei cugini. Oggi, dopo 28 anni, siamo in 150 impiegati fissi a cui si aggiungono 200 stagionali. In questa prima locanda si cucinava italiano, quando avevo aperto da poco ho avuto un colpo di fortuna, Giorgio Armani era in Giappone per una sfilata e cercava un ristorante dove mangiare italiano, lo portarono alla mia locanda e venne per pranzo e cena per più giorni e preparai anche il buffet della fashion week, può immaginare la notizia, all’epoca non c’erano i social, ma c’erano fotografi, giornalisti e televisioni che lo seguivano e tutto lo staff intorno a lui. Io non avevo i soldi per fare la pubblicità. Quando un giorno lo accompagnai alla porta perché aveva finito di mangiare c’era uno stuolo di giornalisti che l’aspettava e mi chiese se potevo fare da interprete. Quando gli chiesero se amava il cibo giapponese lui rispose: “io amo mangiare solo dal mio amico Elio”. Da quel momento per 10 anni ho avuto sempre il pienone al ristorante perché ero considerato il ristorante preferito di Giorgio Armani».
La struttura delle aziende di Orsara ed il sogno di tornare in Calabria
«Mano mano mi sono ingrandito aprendo altri punti ristori, quando ho realizzato che spendevo troppi soldi per gli affitti, ho comprato un intero edificio di 5 piani per gli uffici. Nei miei locali si mangia solo prodotti calabresi, quindi possono trovare la soppressata, la salsiccia, i formaggi tipici nostri, vini di Calabria quindi tutto ciò che si può mangiare nei miei locali ha sempre una base calabrese. Ho fatto conoscere in Giappone la nostra cucina, io importo solo prodotti provenienti dalla Calabria. Oggi ho sei aziende che collaborano tra di loro, i vini sono tutti importati dalla Calabria, importiamo sei container all’anno solo di vini e un paio di container di olio e pomodori, quando ho scoperto che mio figlio a due anni, oggi ne ha 24, era allergico ai prodotti chimici ho iniziato a produrre prodotti biologici, perché in Giappone il biologico è più una moda che una scelta di vita, ho cominciato a produrre prima per il mio ristorante e la mia famiglia poi mi sono ingrandito, oggi ho otto negozi che vendono prodotti biologici, oltre i ristoranti, ho un salumificio, un caseificio, un panificio, una fattoria, tutti legati all’agricoltura sostenibile e usando sempre metodi della tradizione calabrese. Tornare in Calabria? Sì che ci penso, perciò ho investito anche in Italia, ma ho lasciato la Calabria quarant’anni fa, qui in Giappone ho costruito la mia vita lavorativa e familiare, il mio sogno è ritornare in Calabria quando andrò in pensione e costruire un ponte tra la Calabria e il Giappone».
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