Roma, 17 febbraio – Per il presidente degli industriali del farmaco italiani, Marcello Cattani (nella foto), la “minaccia” di Donald Trump, i presidente degli USA, di imporre dazi ai Paesi europei anche nel settore farmaceutico resta un’eventualità tutta da verificare. Come ha spiegato qualche giorno fa in un’intervista al quotidiano la Repubblica (eloquente il titolo: “I dazi? L’America non può fare a meno dei nostri medicinali”), “una guerra commerciale sui farmaci aumenterebbe a tappeto i costi e metterebbe in discussione l’accesso alle cure per tutti, a cominciare dai cittadini degli Stati Uniti che non sono autosufficienti nella produzione”.
Proprio questo, per il presidente della Farmindustria, è quello che dovrebbe essere ricordato agli USA e al suo presidente. Cattani non si sbilancia in previsioni sull’arrivo o meno delle gabelle americane, limitandosi a dire che “le aziende seguono la situazione con attenzione” e che di dazi sui farmaci si è parlato periodicamente, anche durante la prima presidenza Trump, “ma poi non sono mai arrivati. Ho fiducia che prevalga un sano realismo”.
“I dazi avrebbero conseguenze negative per tutti” argomenta al riguardo Cattani. “La massa di farmaci, principi attivi, vaccini scambiati tra Italia, Europa e Stati Uniti è davvero rilevante e in grande crescita. L’effetto sarebbe far aumentare i costi, ma anche potenzialmente creare una carenza in un Paese che non è autonomo dal punto di vista produttivo”.
E alla domanda se, per evitare i dazi, qualche azienda italiana consideri l’ipotesi di andare a produrre negli Usa, Cattani risponde che al momento non ci sono segnali che suffraghino scelte di questo tipo. “In ogni caso i tempi sarebbero molto lunghi” aggiunge il presidente di Farmindustria. “Parliamo di tecnologie industriali avanzate: per costruire, certificare e attivare uno stabilimento possono volerci dai due ai cinque anni”.
Il suggerimento di Cattani al nostro Governo e all’Europa è quello di avviare un piano di moral suasion in grado di tutelare “un settore strategico per crescita e sicurezza. Il fatto che gli Stati Uniti abbiano bisogno di noi è una leva politica molto forte per tenere il dialogo aperto, non cedere alla pressione, dire no ai dazi e anzi rilanciare la cooperazione su innovazione e ricerca. L’Italia può avere un ruolo guida”.
Ma se, alla fine, i dazi dovessero davvero arrivare, quale sarebbero le reazioni delle aziende? “Non credo ci siano margini per assorbirle” ammette Cattani “anche perché negli ultimi anni i costi di produzione sono aumentati in maniera rilevante. L’unica soluzione sarebbe riversare gli aumenti sul cliente finale. Cercheremmo poi di compensare investendo su altri mercati, per fortuna tante delle nostre aziende esportano su scala planetaria”.
Cattani poi commenta l’ipotesi, sostenuta da qualcuno, del possibile vantaggio che in realtà potrebbe arrivare alle imprese europee dai dazi americani, soprattutto se venissero applicati, in misura maggiore, anche nei confronti della Cina. “Potrebbe esserlo a livello tattico” è la valutazione al riguardo di Cattani “ma alla lunga creare delle distorsioni di costo lungo le filiere industriali provocherebbe danni per tutti, in primis per la salute dei cittadini, in un momento in cui la farmaceutica sta vivendo innovazioni radicali”.
Dazi a parte, il clima di incertezza rallenta gli investimenti delle aziende? “È presto per dirlo, ma l’incertezza non aiuta un’Europa in crisi e che perde competitività. La nostra assoluta priorità” conclude il presidente di Farmindustria “deve essere ridare impulso alle politiche industriali e all’innovazione, dove abbiamo perso terreno rispetto a Cina e Stati Uniti”.
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