De Pascale e gli aumenti delle tasse in Emilia-Romagna: «Una manovra dolorosa ma salveremo la sanità, Bonaccini ha usato risorse straordinarie che sono finite»

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di
Daniela Corneo

Il presidente della Regione dopo l’annuncio del bilancio con incrementi per Irpef, Irap, ticket dei farmaci e bollo auto: «È stata una scelta politica, con questi finanziamenti non tiene un sistema pubblico per tutti»

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«Avevamo un’alternativa all’aumento delle tasse: tagliare sulla sanità. Confido che gli emiliano-romagnoli capiscano questa scelta». Il giorno dopo l’annuncio della manovra di bilancio di viale Aldo Moro, che porterà a un aumento di Irpef, Irap, bollo auto e ticket sanitari, il presidente Michele de Pascale difende la sua scelta. Impopolare ma necessaria, sostiene lui. «Va difesa la sanità».

Una delle mosse più contestate è l’aumento dell’Irpef per i redditi tra i 28 e i 50 mila euro che non si possono certo annoverare tra i redditi alti e forse (ormai) neppure tra quelli medi. Il costo della vita continua a crescere, gli stipendi sono fermi, il malcontento aumenta.
«Stiamo parlando, per redditi di 30 mila euro, di un incremento quasi impercettibile nel proprio reddito perché, vista la progressività della norma, l’incremento vale solo per la parte superiore ai 28 mila. Quindi uno che guadagna 30 mila euro non si accorge del cambio d’impostazione, perché gli incide su 2 mila euro, non su 30 mila: sui primi 28 mila non ha alcun incremento. Questa cosa non l’hanno potuta fare in questi anni i Comuni che sono stati costretti ad aumentare l’Irpef solo per chi era sotto i 28 mila euro, perché non avevano più margini di aumentare le aliquote sopra. La parte di Irpef, che rappresenta il 50% della manovra, è concentrata per il 50% sui redditi sopra i 50 mila euro e per il 50% sui redditi 28-50 mila, ma con una parte molto significativa sopra i 40 mila. Certo non è una cosa indolore, ne sono consapevole, ma avevamo solo due strade davanti».

Quali?

«Di fronte a un taglio di 68 milioni da parte del governo nel 2025, potevamo fare solo due cose: o produrre tagli per 250 milioni alla spesa sanitaria del 2024 e non incrementare risposte sulla non autosufficienza, oppure alzare le imposte. E qui mi rivolgo a quelle fasce di reddito che avranno un impatto fiscale da questa manovra attorno ai 50 euro all’anno: se, tagliando sulla sanità, si dovessero rivolgere al privato perché non trovano posto nel pubblico per una visita, l’impatto per loro sarebbe già più del doppio rispetto all’aumento della tassazione; se poi si ha un anziano non autosufficiente e non si trova una risposta domiciliare o in una casa di riposo, lì siamo sui 2-3 mila euro al mese come costo. Noi ci impoveriamo se spariscono alcuni servizi pubblici essenziali e si scaricano sulle fasce sociali medie e su quelle più deboli. Abbiamo fatto una scelta politica per salvaguardare la sanità e migliorare la risposta sulla non autosufficienza, settore in cui dobbiamo migliorare le condizioni contrattuali e di lavoro del personale».




















































Lei ha anche affacciato la possibilità di razionalizzare la spesa della Regione. Come?
«Sulla sanità, che rappresenta l’80% del bilancio della Regione, bisogna essere più appropriati. Spendere meglio, non meno. Bisogna incrementare la medicina territoriale e anche investire sul fondo di non autosufficienza porta a risparmiare sulla spesa sanitaria, perché se le persone vengono correttamente assistite sul territorio hanno bisogno di meno ricoveri. A volte abbiamo ospedali che non riescono a dimettere perché non ci sono strutture territoriali in grado di accogliere e questo significa sprecare soldi: quando tieni un paziente troppo tempo in ospedale, stai spendendo risorse. Poi c’è un tema di appropriatezza nelle visite specialistiche e nell’utilizzo dei farmaci su cui si deve fare meglio. Ci sono tanti elementi su cui si deve e si può risparmiare, ma poi dall’altra parte abbiamo liste d’attesa per gli interventi, farmaci oncologici che costano sempre di più, il tema di garantire presidi territoriali vicini alle persone, quindi settori in cui il bisogno è molto più alto di quello che stiamo soddisfacendo. Dobbiamo essere consapevoli che una sanità publica universalistica a prescindere dal reddito con questi finanziamenti non tiene».

Come ha fatto il suo predecessore, Bonaccini, a far quadrare i conti di una sanità così impattante e sottoposta a tagli netti?
«Bonaccini in tutto il suo secondo mandato ha messo risorse aggiuntive reperite da risorse straordinarie; di fatto la Regione ha usato tutte le riserve, cosa tra l’altro segnalata dalla Corte dei Conti. In questi anni la Regione ha sistematicamente speso più di quel che poteva usando risorse straordinarie che però son finite. Quindi adesso o si tagliava o si andava a coprire in maniera strutturale quelle risorse».

Lei si è trovato con il cerino in mano.

«Forse avrei fatto così anch’io finché avessi avuto risorse straordinarie da utilizzare, magari nella speranza che nel frattempo arrivassero finanziamenti dallo Stato. Non dico che è stato un errore, ma è la realtà. Poi magari negli anni scorsi avrei previsto una piccola compartecipazione alla spesa del farmaco, visto che siamo l’unica Regione in cui i redditi alti non pagano alcun ticket farmaceutico che è invece previsto sulla specialistica anche per i redditi più bassi: forse questo avrebbe reso la mia manovra meno d’impatto in una volta sola».

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