Dal clima alla salute, dall’AI alla povertà diffusa, dagli squilibri demografici ai conflitti nel mondo. Il ruolo dell’Ue nel “nuovo nuovo” ordine mondiale

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di Andrea Fracasso, professore di politica economica, Scuola di Studi Internazionali e Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Trento

 

In queste ultime settimane l’Unione europea è stata fortemente impegnata su tre fronti che legano economia e sicurezza. Il primo fronte riguarda la formulazione di una nuova “bussola” per rilanciare la competitività e la crescita economica (Eu competitiveness compass) al cospetto delle crescenti tensioni geopolitiche internazionali e del ritardo industriale in alcuni settori strategici.

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Il secondo fronte è stato oggetto di analisi da parte di esponenti delle varie leadership europee in un meeting informale del Consiglio Europeo a Bruxelles il 3 febbraio. Il meeting si è focalizzato sulla difesa europea, con i suoi risvolti militari ed economici-industriali, in vista dell’adozione di un libro bianco (previsto per il 19 marzo). Il terzo fronte riguarda il lavoro in background fatto per preparare la difesa da eventuali dazi commerciali imposti dal presidente americano Trump sulle importazioni dall’Europa.

 

Sarebbe possibile e interessante affrontare questi fronti uno alla volta, illustrandoli e discutendone le implicazioni politiche ed economiche. Tuttavia non è su questo che vorrei concentrarmi in queste righe.

Vorrei piuttosto proporre una lettura, più preoccupata, di dove si stia spostando la frontiera del dibattito internazionale sul legame tra interdipendenza, sicurezza e crescita. E di dove si collochino delle sfide più profonde alla sicurezza, economica e non, in cui l’Ue potrebbe dare un contributo.

 

Le iniziative e le aree di lavoro che caratterizzano l’azione europea descritta in apertura si collocano (e si comprendono) dentro un quadro di grande cambiamento delle relazioni internazionali di cui si è discusso più volte, anche su questo blog. E’ opinione diffusa che durante l’ultimo decennio si sia registrata nel mondo una securitizzazione dell’economia dovuta principalmente a due fattori: i) una crescente percezione di rivalità economica tra Cina, Ue e Stati Uniti nel conseguire e mantenere la leadership industriale nei settori a più rapida crescita e di maggior importanza per la transizione digitale e verde; ii) una comprensione della elevata vulnerabilità dei paesi alle interruzioni (casuali o deliberate) degli approvvigionamenti internazionali di prodotti e tecnologie (evidenziate durante le restrizioni Covid 19 e a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina e delle conseguenti sanzioni).

 

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Questa tendenza interpretativa della globalizzazione e dell’interdipendenza politica/economica si è tradotta in politiche caratterizzate da più importanti interventi dello Stato (regolamentari, amministrativi e di spesa) in selezionati ambiti d’intervento, definiti come critici o strategici, quali quelli connessi alle tecnologie verdi e digitali e alla difesa.

 

Gli Stati Uniti hanno introdotto limitazioni all’export di alcuni prodotti tecnologici avanzati, l’Ue ha sviluppato un piano per limitare la dipendenza nell’approvvigionamento di un circoscritto numero di materie prime critiche necessarie per la produzione di beni utilizzati per la transizione digitale e verde. Infine, vari Paesi hanno introdotto limitazioni e controlli sugli investimenti diretti (in ingresso e in uscita) per motivi di sicurezza o di ordine pubblico. Questo approccio, pur molto interventista, rimane ancora compatibile con il sistema liberale che ha governato le relazioni economiche internazionali a partire dalla fine della seconda guerra mondiale grazie a due aspetti: la selettività degli interventi e il loro sostanziale rispetto del quadro normativo e istituzionale vigente.

 

Molti contributi sono stati scritti argomentando in favore o contro questo nuovo quadro delle relazioni economiche e politiche internazionali. E molte iniziative politiche, come quelle europee di cui ho detto in apertura, sono state intraprese.

 

La mia interpretazione è che le decisioni e le provocazioni della nuova amministrazione americana possano tuttavia rendere questo “nuovo” quadro sorpassato. E un “nuovo nuovo” ordine mondiale s’intravede all’orizzonte.

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In queste settimane l’amministrazione Trump ha dato chiari segnali di respingere un approccio interventista cauto, mirato e ancorato nello Stato di diritto. Gli Stati Uniti sembrano voler rigettare quegli aspetti del sistema di check and balances che stanno alla base dell’ordine economico e politico internazionale, almeno nella misura in cui essi vincolino l’autonomia decisionale americana.

 

L’adozione di dazi contro partner storici per imprecisate ragioni di sicurezza, la sospensione unilaterale delle iniziative di aiuto allo sviluppo nei paesi poveri e l’affossamento delle iniziative Osce per raggiungere una più equa tassazione mondiale delle imprese vanno letti insieme agli attacchi alla corte penale internazionale, all’uscita degli Usa da numerose organizzazioni internazionali, alle improbabili deportazioni di massa dei palestinesi e, credo, anche insieme alle forzature interne con cui sono stati allontanati dipendenti e dirigenti pubblici, depotenziate le agenzie indipendenti, indeboliti i centri di ricerca, ridotti i vincoli regolamentari sulle imprese, ecc. Probabilmente gli Stati Uniti dispongono di meccanismi nazionali di checks and balances per circoscrivere questo fenomeno interno. La comunità internazionale invece molto meno, anche per l’indebolimento (su più fronti) dei meccanismi multilaterali esistenti.

 

Non credo si stia soltanto assistendo, come sostengono alcuni, a una deregolamentazione spinta (in parte giustificabile da eccessi ideologici e giuridici nel recente passato) e all’inevitabile ritorno della “ragion di Stato” (in parte giustificabile dall’accresciuta complessità delle minacce interne ed esterne). La piattaforma politica, le nomine e i primi atti dell’Amministrazione americana mostrano il ritorno a una visione del mondo in cui la rivalità e il potere economico-militare hanno la preminenza sul diritto, sui diritti, sulla cooperazione e sui meccanismi di garanzia reciproca.

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L’acquiescenza delle iniziative altrui, anche le più audaci, può essere vista come una forma di cautela necessaria a mantenere vivo il confronto bilaterale e multilaterale. Ma l’osservazione passiva non può andare oltre un certo punto senza trasformarsi in vassallaggio. Alcuni principi e alcune istituzioni vanno difesi. L’Ue è pronta a farsi foriera di questa azione? La storia del 900 dimostra cosa può accadere quando questo non si verifica. Il punto non è rispondere ai dazi con altri dazi, alle restrizioni con altre restrizioni. Il punto è preservare le istituzioni e le regole comuni, modificandole ove necessario, e salvaguardare il senso di corresponsabilità nell’affrontare le sfide globali che osserviamo, dal clima alla salute, dall’AI alla povertà diffusa, dagli squilibri demografici ai conflitti nel mondo. Questo è un ruolo importante che l’Unione europea e ciascuno dei suoi stati, Italia inclusa, devono svolgere con maggior determinazione.





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