maxi operazione antimafia a Palermo. Oltre 180 ordinanze cautelari

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Maxi retata a Palermo con 183 ordinanze eseguite dai carabinieri del Nucleo operativo del comando provinciale. Il blitz ha colpito al cuore la mafia che cerca di ricompattarsi senza troppo clamore, mantenendo il controllo ferreo della città. In manette vecchi e nuovi boss.

Torna in carcere il boss di Porta Nuova, Tommaso Lo Presti, scarcerato per fine pena. Aveva celebrato le nozze d’argento a San Domenico, dove c’è la tomba di Falcone (nella foto sotto). In carcere anche Francolino Spadaro. L’operazione è stata coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia.

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Tommaso Lo Presti con la moglie nella Chiesa di San Domenico a Palermo per le nozze d’argento (Tgr)

La mafia ieri e oggi, il vecchio sogno di ricostruire una Cupola. Il procuratore di Palermo Maurizio de Lucia fa il punto sul blitz

“Cosa nostra – ha detto – continua a esercitare il suo fascino in certi ambienti come le borgate in cui i giovani hanno alternative di vita limitate e si identificano in rappresentazioni di potenza di cui ancora gode la mafia. Nell’indagine di oggi sono coinvolti moltissimi giovani e su questi dobbiamo essere particolarmente attenti. Come siamo attenti ai vecchi capi che tornano, dobbiamo stare attenti a chi viene reclutato oggi, cioè al futuro della mafia“. 

E resta vivo il vecchio sogno: “Cosa nostra vorrebbe tornare alla commissione provinciale, ma non riesce a ricostituirla. I boss palermitani non hanno accantonato il vecchio sogno, dunque. Cosa nostra è lungi dall’avere abbandonato le pretese di ricostruire il tessuto di relazioni e di solidarietà, non solo interne, che per decenni ne ha giustificato la posizione di dominio, in gran parte del territorio italiano”.

E precisa che da Cosa nostra non si esce: “Soggetti che sono stati in carcere, una volta usciti dal carcere tornano a ‘mafiare’, sulla scorta degli elementi che abbiamo acquisito. Da Cosa nostra si esce in due modi: o collaborando con la giustizia o con il fine vita. Altrimenti in Cosa nostra si rimane. Anche le vicende che sono rappresentate in queste inchieste lo dimostrano”. 

“Cosa nostra sembra in fase di sommersione – ha aggiunto – ma, in base ai molteplici provvedimenti, dimostra che è particolarmente attiva e presente e dialoga con canali innovativi rispetto al passato. L’evoluzione tecnologica riguarda non soltanto i cittadini ma anche le organizzazioni mafiose, che sono ricche e in grado di acquisire know how e strumenti che le consentono di aggirare le azioni investigative dello Stato”. 

E, a margine, denuncia che la “presenza di telefoni che circolano liberamente all’interno delle carceri non è una novità, purtroppo è un dato ricorrente denunciato da altri colleghi in tutta Italia. Se ci sono i telefonini, ovviamente c’è la possibilità di comunicare”.

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L’inchiesta, le intercettazioni, il blitz

Colpiti in particolare i mandamenti mafiosi di Tommaso Natale, Porta Nuova, Noce, Pagliarelli, Carini e Bagheria. 

In una delle cinque indagini confluite nella maxi operazione antimafia di questa notte a Palermo, gli investigatori dei carabinieri del comando provinciale hanno scoperto il nuovo sistema con il quale i boss si riunivano per riorganizzare la nuova commissione provinciale, azzerata già una volta con gli arresti di dicembre 2018. I capimafia in carcere e quelli ancora liberi utilizzavano telefonini di ultima generazione con particolari software criptati per i summit fra mandamenti. Applicazioni di comunicazione con sistemi di crittografia avanzatissimi e difficilmente intercettabili.

Alcuni boss erano talmente sicuri di non poter essere intercettati da non prendere alcuna precauzione nelle riunioni online per decidere le strategie di riorganizzazione della commissione provinciale. A tal punto da svelare i nomi dei capi dei diversi mandamenti e i nuovi organigrammi. Non sospettavano che dall’altra parte i carabinieri del reparto operativo e del nucleo investigativo guidati dal colonello Ivan Boracchia e dal tenente colonnello Domenico La Padula stessero ascoltando ogni parola dopo essere riusciti a bucare la crittografia dei loro telefoni.

Gli arrestati di oggi sono ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione per delinquere di stampo mafioso, tentato omicidio, estorsioni (consumate o tentate) aggravate dal metodo mafioso, associazione finalizzata al traffico di droga, favoreggiamento personale, reati in materia di armi ma anche contro il patrimonio e la persona, esercizio abusivo del gioco d’azzardo.

Da canto suo Cosa nostra era riuscita ad avere una serie di informazioni riservate su indagini in corso. Il capomafia Antonino Gagliardo, tramite fra il mandamento di Bagheria e quello di Brancaccio, il 7 novembre 2023 informò un altro mafioso di aver appreso di tre imminenti operazioni di polizia (“tre zampate, tre camurrie”) previste per “fine anno”, circostanza per cui si era già provveduto a fare “sparire” alcune cose, mentre taluni affiliati di Brancaccio (“quelli più pesanti”) si erano già “buttati latitanti”.

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Anche il 12 gennaio 2024 si è assistito all’ennesima rivelazione di informazioni riservate sugli arresti da compiere, come comunicato, a un capomafia messo al corrente di imminenti operazioni di polizia. “Giochi di fuoco dal ventuno al ventitré”, dicono i mafiosi intercettati. “Poi un’altra cosa dice che dal ventuno al ventitré c’è…ci sono i giochi di fuoco, però questa, ‘sta notizia arriva dal Villaggio di Santa Rosalia”, spiegano.

L’ultima rivelazione è del 4 settembre scorso quando Paolo Lo Iacono racconta al  suo interlocutore dell’imminente esecuzione di un imponente provvedimento cautelare (una “bomba”) che avrebbe riguardato sia lui che numerosi altri affiliati “Per adesso c’è una bomba che sta scoppiando! Può essere oggi, può essere domani, può essere dopodomani..si portano a tutti, hai capito? Per adesso ci sono cose molto più importanti, hai capito?… perché qua si discute di carcere! Andare a prendere vent’anni, capito?! (..) Chi siamo, chi sono? Boh. non lo sappiamo, capito? Già siamo tutti pronti, capito? Hanno duecentottanta fotografie”.

 

Erano pronti a darsi alla latitanza alcuni dei mafiosi arrestati oggi dai carabinieri. Il cognato del boss Nunzio Serio, ad esempio, dopo avere ritrovato le microspie sulla Smart della moglie e temendo di essere presto raggiunto da un provvedimento giudiziale, si è allontanato da Palermo per scappare al Nord. “Siamo tutti bombardati”, diceva.

Anche un altro capomafia, dopo essere sfuggito all’inseguimento di una pattuglia della Finanza, aveva programmato, con la propria famiglia, di rifugiarsi all’estero e di mettere al riparo il patrimonio, accumulato con i giochi online. “Me ne devo andare da qua – diceva – devo cambiare la residenza me ne vado, a me quello che mi potrebbe colpire sono la mia famiglia, ma se io ce li ho accanto posso essere sperduto in un pizzo di montagna, sono a posto. Io me ne vado..! L’Italia per noi è diventata scomoda, io me ne devo andare perché non intendo assolutamente perdere quello che ho creato fino ad oggi. Cominciate a farvi i passaporti”.

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I parenti degli arrestati davanti alla caserma

Una folla di familiari di alcuni degli arrestati nell’operazione antimafia di Palermo si è radunata davanti alla caserma ‘Giacinto Carini’ di piazza Verdi, sede del Comando provinciale dei carabinieri, dove sono stati condotti gli indagati.

Melillo, regime alta sicurezza in mano a criminalità 

Da questa straordinaria indagine della Procura di Palermo viene fuori un dato allarmante: l’estrema debolezza del circuito penitenziario di alta sicurezza che dovrebbe contenere la pericolosità dei mafiosi che non sono al 41 bis. L’inchiesta di Palermo mostra chiaramente, confermando quanto emerso in altri contesti investigativi, che il sistema di alta sicurezza è assoggettato al dominio della criminalità”.Lo ha detto il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo durante la conferenza stampa sul blitz antimafia che ha portato in cella 181 persone. “È un tema delicato che deve aprire una riflessione profonda”, ha aggiunto.

Giorgia Meloni: “Colpo durissimo a Cosa nostra, lo Stato c’è e non arretra”

“Un’operazione straordinaria dei Carabinieri del Comando Provinciale di Palermo ha portato oggi all’arresto di oltre 180 persone, tra cui diversi boss, infliggendo un colpo durissimo a Cosa Nostra. Un risultato che conferma l’impegno incessante dello Stato nella lotta alla criminalità organizzata”. Così commenta su X la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni.

“Le intercettazioni lo dicono chiaramente: ‘L’Italia per noi è diventata scomoda, io me ne devo andare’, ammetteva uno degli arrestati. Un segnale chiaro: la criminalità organizzata è alle strette, la lotta alla mafia non si ferma e non si fermerà”, rimarca la premier e leader di Fdi, rivolgendo un ringraziamento “ai Carabinieri del Nucleo Investigativo e a tutte le Forze dell’Ordine che ogni giorno difendono la legalità e la sicurezza dei cittadini. La mafia – conclude Meloni – va sconfitta con determinazione e senza alcun compromesso. Lo Stato c’è e non arretra”.

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