Giorno del Ricordo 2025, il discorso della vice sindaca Michela Mussoni

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Buongiorno a tutte e a tutti e grazie di essere qui.

Quest’anno, per il Giorno del Ricordo, abbiamo organizzato due momenti di riflessione e raccoglimento: oltre alla commemorazione istituzionale di oggi, giovedì scorso in biblioteca lo storico Andrea Santangelo ci ha spiegato le origini remote dei conflitti che per secoli hanno agitato questa parte di mondo.

Quello che oggi chiamiamo “confine orientale italiano” non è stato sempre com’è ora. Nel tempo si sono susseguiti tanti imperi e altrettanti popoli, dai romani agli slavi, dai veneziani agli austriaci, fino alle due guerre mondiali che hanno portato una serie di frenetici passaggi di potere, discriminazioni e conflitti.

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Come ci ha spiegato molto bene Andrea Santangelo giovedì sera, questo dovrebbe aiutarci a capire che non è possibile comprendere la Storia guardando solo all’ultimo pezzetto, agli anni più recenti di una catena di eventi che vanno avanti da secoli.

Questa consapevolezza è fondamentale per tutti gli eventi di rilievo della nostra storia, ma vale in particolare per le vicende del confine orientale.
Non a caso, la legge italiana che nel 2004 ha istituito la ricorrenza del Giorno del Ricordo è nata per “conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani nell’esodo giuliano-dalmata, delle vittime delle foibe e delle vicende storiche del confine orientale”.

Una finalità molto articolata, che testimonia la complessità degli eventi di cui parliamo oggi: la data del 10 febbraio, tra l’altro, è stata scelta in quanto anniversario dei Trattati di Parigi, che nel 1947 disegnarono la nuova Europa all’indomani della seconda guerra mondiale.

E qui arriviamo a un punto determinante della questione, ovvero i confini: da sempre fonte di scontri e conflitti nella storia dell’umanità, nel quadrante di Europa situato a cavallo del mare Adriatico i confini sono stati oggetti di variazioni innumerevoli e spesso traumatiche, con tutto ciò che questo comporta.

Vorrei far notare come questo tema sia di estrema attualità, in un mondo dove ancora si combattono guerre sanguinose per cambiare i confini, conquistare territori e imporre antiquati principi nazionalistici.

È il caso dell’Ucraina, ma in una certa misura anche della guerra a Gaza: al di là dell’attuale cessate il fuoco, che speriamo duri il più a lungo possibile, quello tra Israele e Palestina è da sempre uno conflitto per la terra.
In questo senso, la recente dichiarazione del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che ha affermato di voler trasformare la Striscia di Gaza nella “riviera del Medio Oriente” non andrebbe derubricata a semplice provocazione, ma considerata per quello che è: l’espressione di una volontà inaccettabile.

Non possiamo accettare, in nessuna epoca e a nessuna latitudine, che la guerra diventi lo strumento per spazzare via una popolazione dal luogo in cui si trova, per poi fare di quelle terre quel che si vuole, con buona pace del diritto internazionale alla pace e all’autodeterminazione dei popoli.

Anche in questo si vede l’attualità del Giorno del Ricordo: solo per liberare la Striscia di Gaza dalle macerie, stimano le organizzazioni internazionali, potrebbero volerci anni, figuriamoci a ricostruire. 

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E allora il pensiero va ai tanti profughi e sfollati palestinesi che nessuno vuole, proprio come accadde settant’anni fa agli esuli istriani: 300 mila persone allontanate forzatamente dalla Jugoslavia, dove abitavano, per arrivare in un’Italia dove nessuno li voleva.

Le vicende drammatiche di queste persone, che hanno lasciato segni profondi tramandati all’interno delle famiglie per generazioni, sono ancora poco note, ed è nostro dovere dar loro voce e ascolto.
Si tratta di una parte della nostra storia che anche numericamente non si può né si deve considerare irrilevante, perché parliamo appunto di 300 mila persone che hanno pagato sulla propria pelle le conseguenze di quella catena di conflitti e discriminazioni che ho riassunto brevemente all’inizio.

Quale lezione possiamo apprendere dai fatti che siamo qui oggi a commemorare? Innanzitutto, di essere sempre vigili nei confronti delle discriminazioni che colpiscono una minoranza di persone, qualunque essa sia.

Creare artificialmente un “nemico”, in questo caso interno, era ed è ancora oggi una strategia fin troppo spesso utilizzata da chi cerca di far leva sulla paura delle persone per ottenere consensi, potere o controllo sociale, che noi dobbiamo contrastare se vogliamo prevenire le conseguenze peggiori che sono sempre dietro l’angolo, per quanto possano sembrare lontane.

E poi l’altra lezione, altrettanto importante, è non essere superficiali quando si guarda alla Storia: informarsi, studiare, documentarsi prima di trarre conclusioni affrettate, non limitarsi a quell’ultimo pezzetto ma risalire alle origini delle vicende, dei conflitti, di quelli passati come di quelli attuali.

Questo, credo, è il meglio che possiamo fare per rendere almeno in parte giustizia alle vittime che commemoriamo oggi.

Grazie.

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