Sono passate da poco le 21 di ieri 7 febbraio quando la statua della «Madonna dell’acqua lurida» dello scultore padovano Federico Soffiato viene posta davanti all’entrata del tribunale di Vicenza (in foto), dove il giorno prima il processo per l’avvelenamento della falda del Veneto centrale era «ufficialmente entrato nella fase finale» con l’inizio della formulazione degli addebiti a carico della Miteni: la ditta di Trissino oggi fallita, finita nel mirino delle autorità nel 2014. Sono passati undici anni da quando l’allarme per lo sversamento nell’habitat dei «temutissimi derivati del fluoro noti come Pfas» fu indirizzato per la prima volta alla magistratura dall’Arpav e soprattutto dalla rete ecologista del Nordest. In oltre un decennio però «non si è giunti ancora ad una sentenza di primo grado»: ma soprattutto la bonifica del sito sottostante l’impianto della valle dell’Agno nell’Ovest vicentino «è ancora lontana anni luce non solo dal completamento, ma pure dal concepimento». Mentre rime ammantata «da un alone di ambigua omertà» la catena delle responsabilità dei soggetti pubblici che avrebbero dovuto impedire che si materializzasse uno dei casi ambientali più gravi della storia recente del Vecchio continente. Ed è «per gridare al mondo questa rabbia», nonché per elencare una dopo l’altra «le ragioni di una protesta che va avanti da due lustri», che la rete ecologista di mezz’Italia si è data appuntamento, con tanto di «bivacco notturno camperizzato», proprio davanti al palazzo di giustizia della città palladiana. Il tendone era stato piantato ieri mattina, stamane anche l’ultimo striscione era stato rimosso: «con la promessa di ritornare» (in basso la galleria con le immagini più salienti).
IL PROCEDIMENTO PENALE AGLI SGOCCIOLI E L’ACCUSA DI DOLO
Ad ogni buon conto, come riporta Matteo Mohorovichic in un servizio del Tg3 della Rai, con l’inizio della requisitoria, in tribunale a Vicenza, «dopo quasi quattro anni entra nelle fasi finali il processo Miteni per la contaminazione da Pfas». E così mentre il pubblico ministero Paolo Fietta, «chiarisce subito il perimetro entro cui si muove l’accusa», le parti sono in attesa della udienza di giovedì prossimo. Quando dovrebbe essere formulata la richiesta delle condanne per i quindici imputati, ex dirigenti e dipendenti dell’azienda di Trissino o top manager legati a quest’ultima.
Proprio dalla Miteni «sarebbe partito l’inquinamento che ha colpito le falde e il sangue di migliaia di residenti tra le province di Vicenza, Verona e Padova». Si stima che gli esposti, quantomeno a livello potenziale siano 350-400mila. Cifre «impressionanti» che in questi due giorni hanno richiamato a Borgo Berga televisioni straniere giunte dalla Francia e persino dal Quatar che spedito in terra veneta una troupe di Al Jazeera: ovviamente non sono mancate le Tv locali. Non è la prima volta comunque che i media internazionali si interessano all’affaire Miteni.
Di più, come riporta Rai tre peraltro avvelenamento delle acque e disastro in concorso, sono i due capi di imputazione che Fietta ha iniziato a prendere in esame. La contestazione è di dolo: quindi, il reato sarebbe maturato nella «consapevolezza» di avere «inquinato senza prendere contromisure». Il 13 marzo poi toccherà ad Hans Roderig Blattner, il secondo pubblico ministero che costituisce la squadra della pubblica accusa. Quest’ultimo si occuperà dell’inquinamento derivato dai composti di più recente produzione: nonché degli addebiti che riguardano «i reati fallimentari». E così tra gli attivisti non manca chi chiede «un verdetto esemplare per chi è finito sul banco degli imputati».
FRONTE MOLTO AMPIO
Ora però, al di là dello svolgimento processuale, a tenere banco era la composizione della piazza. C’erano i rappresentati di numerosissime amministrazioni locali di ogni colore politico a partire da Vicenza, presente con l’assessore all’ambiente Sara Baldinato. C’erano anche i Comuni di Arzignano e Lonigo, «tra i più colpiti dalla contaminazione» come hanno ricordato, rispettivamente, Alessia Bevilacqua e Pier Luigi Giacomello. C’erano i consiglieri regionali Andrea Zanoni e Renzo Masolo di Ev: con loro, sempre da palazzo Ferro Fini c’era chiara Luisetto del Pd. Mentre a seguire in diretta streaming una parte del lungo sit-in durato due giorni, da Strasburgo, c’era l’eurodepudata di Europa verde CristinaGuarda.
LA GALASSIA VARIEGATA E GLI INTERESSI «COLOSSALI»
Sulla cabina di comando delle operazioni però c’erano loro: decine e decine di attivisti di una variegatissima galassia di associazioni che da anni «chiede che i responsabili siano puniti»: un gruppo che ieri verso mezzodì aveva superato le duecento persone. A pochi passi, sempre con discrezione, c’erano le forze dell’ordine (Polizia di Stato, carabinieri e vigili urbani) che su input della questura avevano avuto l’incarico di vigilare sulla manifestazione. La quale dal primo all’ultimo istante non ha dato alcun problema per vero mentre diversi utenti del tribunale, ormai abituati alla presenza delle «Mamme no Pfas» si fermavano al presidio per fare quattro chiacchiere su quello che viene descritto come «un processo epocale che è destinato a fare scuola» per tutta una serie di implicazioni, più o meno celate.
Infatti gli interessi in gioco «sono colossali». I Pfas sono sostanze artificiali cruciali per una miriade di applicazioni: microprocessori e produzione bellica in primis. «Scalfire gli interessi del complesso militare industriale è una sfida di non poco conto»: ripetono da anni gli attivisti. Ed è pure in questo senso che va letto il sit-in di ieri. «Serve ricordare alla Corte che emetterà la sentenza» forse tra maggio e giugno, «che costoro sono chiamati a giudicare in ossequio alle prove ed alle leggi: sempre secondo giustizia».
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