Vivere i borghi liguri da nomade digitale

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Andando per boschi (le foto sono mie).

Oggi lascio Pitelli, piccolo borgo antico sopra il Golfo dei Poeti, e torno a viaggiare.

In questo paesello ho vissuto con il mio compagno due mesi – prima un altro mese a San Terenzo – e ho trovato una dimensione adatta al periodo frenetico di chiusure editoriali: intimità, raccoglimento, concentrazione, pochi turisti, una splendida Rita, massaggiatrice a domicilio, il silenzio e una luce ogni giorno diversa che mi ha fatto compagnia dal balconcino affacciato sugli ulivi e sul mare.

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Una casa “volante” completa di tutto, accogliente e bene arredata, dove mi è bastato posare il mio zaino per sentirmi a casa. Da tempo ormai non sono più “le mie cose” e i libri sugli scaffali a fare casa, ma le atmosfere, gli incontri.

E Pitelli è un posto d’altri tempi. Emporio, tabacchi e circolo Arci sono tutta la socialità. Ma va bene così. Ci si incontra, si fanno due chiacchiere, si beve un bicchiere e non manca niente.

Felice di ritrovarti fra i Pensieri Nomadi. Il mio blog non fa pubblicità, si diffonde soltanto con il passaparola, condividilo con gli amici. Grazie🌹

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Qui ho scritto, letto, riflettuto, meditato. Lavorato tanto e camminato tanto, con sveglia alle 6 del mattino o turno serale per far spazio alle passeggiate e a ore di grande ristoro all’aria aperta. Abbiamo esplorato il territorio in lungo e in largo, sul mare e all’interno, partendo dallo zerbino della nostra abitazione. Senza mezzo privato, solo piedi e spostamenti in bus o treni.

Non avevo mai vissuto in Liguria d’inverno ed è stata una sorpresa. Il clima è davvero mite e il sole può essere caldo anche nei mesi più freddi – ieri ho finito in bellezza, in maglietta sugli scogli. Poca gente in giro e sentieri ben segnati dal Cai. Ce ne sono a decine e collegano boschi e paesi incantevoli.

I più famosi sono quelli delle vicine Cinque Terre. Con il treno da Spezia puoi raggiungerli tutti o visitarli camminando tra uno e l’altro. Da inizio novembre a metà marzo – tranne le vacanze di Natale – è bassa stagione e tutto è sostenibile, il biglietto del treno, il contributo per la manutenzione del Parco dell’Unesco, gli alloggi. Da aprile invece tutto diventa insostenibile: ogni tratto di ferrovia costa 10 euro, i percorsi costieri raggiungono i 30-35 euro al giorno e l’overtourism trasforma questo paradiso in un inferno, per giunta carissimo.

Bellissimo il primo tratto di circa 16 km Levanto-Monterosso-Vernazza (partendo da Levanto si evitano del tutto i pochi gruppi invernali, quasi tutti asiatici, che fanno tappa inversa, da Riomaggiore, ma non camminano, si fermano solo a fotografare), con pernotto nel borgo e cenetta di pesce fritto. Si riprende al mattino zaino in spalla in direzione Manarola, con variante in alto, a Volastra, e sosta a Corniglia – pure qui siamo intorno ai 16-18 km ma con un duro lavoro di gambe!

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Quasi nessuno intorno, albe e tramonti indimenticabili, sentierini tra orti, ulivi e viti, scogliere mozzafiato, saliscendi discreti e scale infinite per cui è bene un po’ di allenamento. Ma grande sarà la soddisfazione, visiva, fisica e spirituale.

Un’altra variante ancor più sostenibile, soprattutto se infrasettimanale, è Riomaggiore-Campiglia-Porto Venere, 18 km tra ampi boschi, chiese antiche e sentieri a picco sul mare. Fatto a novembre in maniche corte. O ancora: Framura-Bonassola-Levanto. Su per i monti o lungo la ciclopedonale, 7 km di intelligente recupero del tracciato ferroviario ottocentesco.

Se questi sono i più famosi, sopra il Golfo dei Poeti ce ne sono di ben più nascosti e veramente poetici. Ad esempio, Pitelli- Forte Canarbino-Monte Marcello-Lerici, 22 km di meraviglia, con passaggi nei borghi di Pugliola e La Serra e deviazioni per Arcola, Solaro e Tellaro.

Uno più bello dell’altro. Peccato che i borghi, in particolare quelli delle aree interne, siano spopolati, vuoti, solo case-vacanze che si rianimano a giugno e richiudono le imposte a settembre. A parte una manciata di coraggiosi abitanti e negozianti, che premio sempre con un piccolo acquisto, rimasti gli unici a presidiare e curare il territorio.

Quando ci cammini in mezzo sono piuttosto quinte di teatro, un connubio magistrale di natura e cultura, forma architettonica e paesaggio, che sembrano fatti l’una per l’altro. Quell’armonia speciale che è tutta italiana e piace al mondo. Nessun nazionalismo, ma è proprio così.

In tutti questi paesi si può alloggiare e, con un po’ di pazienza per la connessione ballerina, anche lavorare. Mi chiedo se i nomadi digitali e i lavoratori e le lavoratrici da remoto, provenienti dall’estero o dalle città italiane, non possano essere considerati una risorsa, una nuova e moderna possibilità del riabitare quei luoghi, benché temporanea, e una alternativa sostenibile al consumo turistico.

Se fossimo di più ad andarci, per qualche tempo, porteremmo un po’ di vita, di energia, di economia, qualche servizio e presidio di cura. Daremmo un contributo per portare nuova anima a tanta bellezza, esposta allo spopolamento, da un lato, e al logoramento del turismo mordi e fuggi, dall’altro.

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Certo, ci vorrebbe un piano. Amministrazioni lungimiranti interessate ad attrarre professionisti e non soltanto turismo, allo stesso modo in cui i grandi cantieri della zona attraggono operai immigrati dall’Asia, dall’Africa, dall’Europa dell’Est.

Per richiamare nei borghi i nomadi digitali, le amministrazioni dovrebbero mettere a disposizione abitazioni a prezzi calmierati, con contratti specifici di tre-sei mesi, un anno; infrastrutture per una rete funzionante e maggiori trasporti pubblici; un’area di coworking da ricavare in uno dei tanti spazi inutilizzati, e, perché no, guide turistiche e di cammino in grado di far conoscere il territorio ai nuovi arrivati.

Un sistema virtuoso che farebbe bene agli abitanti temporanei – spesso soli e socialmente sradicati – e alle asfittiche comunità locali, che potrebbero implementare servizi, offerte e relazioni interessanti.

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Come il nomadismo digitale possa contribuire allo sviluppo economico e sociale in Italia, a colmare il divario tra città e campagna, nord e sud, attraendo professionisti e talenti nei piccoli centri e nelle aree interne del nostro Paese: ecco il progetto dell’Associazione italiana nomadi digitali. Che vuole esplorare anche l’impatto positivo che il moderno nomadismo può avere sui territori. Puoi leggere qui proposte, idee, criticità e opportunità, oltre al report 2023:

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