L’agenda di Mattarella: Ue, Usa e pacificazione

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Una festa? Una bicchierata con lo staff? Forse, chissà, magari una cosa veloce, però in realtà per Sergio Mattarella non c’è niente da festeggiare, vista la situazione politica, lo scontro tra i poteri dello Stato, una «camera piena di gas», così la raccontano, che può esplodere da un momento all’altro. E quindi certo, sul Colle si brinda al decennale del re della Repubblica e intanto si lavora di fino per aprire spiragli e ventilare la stanza.

Niente discorsi, nessuna invasione di campo. Silenzio e la forza tranquilla delle sue prerogative, queste sono le carte da giocare. «La persuasione è più efficace se non viene proclamata in pubblico», ecco la linea spesso vincente seguita dal primo giorno. Dieci anni, ma «lo sguardo è al futuro».

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E sì che dal 3 febbraio 2015 il «meccanico» del Quirinale con la sua «casetta degli attrezzi» ne ha viste e aggiustate di ogni tipo e colore. Sei governi, un campionario ampio e variamente modulato. Ce n’è per tutti i gusti, da Matteo Renzi a Giorgia Meloni, passando per Paolo Gentiloni, gli aggregati cromatici giallo-verde e giallo-rosso di Antonio Conte uno e due, e Super Mario Draghi: manca una maggioranza impossibile FdI-Pd, poi il quadro è completo. In certi casi solo l’abilità manovriera e diplomatica del presidente è riuscita nell’impresa di mettere d’accordo personaggi opposti e formare un esecutivo.

Poi, la pandemia, e qui e venuta fuori la «pedagogia dei gesti» che ha tenuto insieme in Paese. Le cerimonie solitarie nelle piazze vuote e livide, la forza dei simboli, il braccio da vaccinare, il taglio dei capelli nello studio, le immagini di una normalità alla quale l’Italia doveva tornare. Le guerre, con la barra dritta sulle scelte tradizionali di politica estera: Ue, Nato, Onu, sostegno all’Ucraina attaccata dai russi, amicizia con Israele, condanna del terrorismo di Hamas e impegno per la difesa dei civili palestinesi nella logica due popoli due Stati. La crisi economica. La rivoluzione tecnologica: opportunità e dubbi.

Questioni ancora aperte, a parte si spera il Covid, e che sono quindi nell’agenda del Quirinale. Che non si sarebbe trattato di un reincarico breve, come quello di Giorgio Napolitano, ma di un mandato pieno si era capito presto, subito dopo la conferma al termine di una lunga e infruttuosa trattativa tra i partiti e una serie di candidati bruciati in una notte. «Non posso sottrarmi». Adesso, fino al 2029, Mattarella proseguirà infatti nel suo programma quotidiano di ricucitura sociale, da arbitro imparziale, aiutato dalla stima bipartisan di cui gode in Parlamento e di una popolarità da rockstar.

Dieci anni dopo lo scenario è assai diverso, il mondo si è trasformato. L’Europa però è sempre in cima alla lista: mercoledì il presidente riceverà a Marsiglia una laurea honoris causa e pronuncerà un discorso sulle prospettive dell’Unione: servono decisioni più rapide e maggiori cessioni di sovranità, perché la Ue ha bisogno di una politica estera e di una difesa uniche. Cruciali pure i rapporti con gli Usa. C’è da scommettere che, nonostante le previsioni e le differenze culturali e antropologiche, Mattarella andrà d’accordo anche con Donald Trump. A preoccuparlo semmai è il peso crescente delle big tech. «Poteri economici sovranazionali tendono a imporsi, aggirando il processo democratico». Pace, uguaglianza, diritti umani sono priorità da non abbandonare.

Momenti difficili in arrivo pure in campo interno. L’economia, i giovani, la sanità. E in Parlamento alcune riforme, autonomia regionale e premierato, potrebbero cambiare la scena italiana e i poteri del Colle, nel frattempo accendono gli animi. Il capo dello Stato non interverrà in scelte che non gli competono, però insisterà nello sforzo di pacificazione nazionale. «La democrazia non si esaurisce nel voto», tanto più che ormai, osserva costernato, sempre meno gente si presenta alle urne perché non trova nei partiti ascolto ai propri problemi. Da qui proseguirà l’invito ai cittadini a partecipare. E altri appelli, pubblici e sotto traccia, li rivolgerà a quei pezzi delle istituzioni che si danno battaglia.

La separazione delle carriere dei magistrati e il caso del libico Almasri hanno riacceso il conflitto tra potere esecutivo e giudiziario. Se non stiamo attenti, se non si fa prevalere l’interesse generale su quello di parte, qui salta tutto.



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