Tra Sergej Belov e Sandro Gamba, Ralph Klein scrisse un capitolo della Memoria

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(di FRANCESCO RIVANO). La memoria, forse la più grande ricchezza di cui può disporre l’uomo.  La capacità psichica e neurale di assimilare e assorbire informazioni che possono permettere di rispondere con certezza quale causa genererà un determinato evento, quale risposta seguirà a una data domanda, quale reazione provocherà un ben preciso comportamento. Insomma, la memoria è il data base più capiente e più sfruttato dall’uomo per conservare nozioni, immagini, emozioni, sensazioni e conoscenza. Eppure a volte sembra che tutta questa mole di informazioni di cui disponiamo venga spazzata via come se il nostro cervello venisse formattato. E il problema non deriva da un “guasto tecnico” (salvo i casi in cui la memoria viene intaccata da patologie cliniche), ma deriva dalla necessità dell’essere umano di anteporre quello che sul momento può sembrare un proprio interesse personale alle conseguenze che quella precisa azione può generare al resto del mondo che lo circonda. Ad esempio, utilizzare nella preparazione di cibi ingredienti scadenti: la memoria storica dovrebbe suggerire quanti e quali problemi provoca alla salute umana l’assunzione di alimenti scadenti; eppure alcuni produttori “dimenticano” queste informazioni per gonfiare le proprie tasche. Un altro esempio è la guida in stato di ebbrezza: la memoria è pronta a ricordare al bevitore la percentuale di rischio del mettersi al volante in condizioni di scarsa lucidità; eppure la smania di passare una notte di baldoria ha la meglio sulla sicurezza del resto degli automobilisti con cui si condivide la carreggiata. È il caso che vi faccia anche l’esempio dei conflitti bellici? Credo proprio che non ce ne sia bisogno. Eppure si continua a sbagliare. Addirittura a volte si tende a voler negare un evento al quale la memoria globale dovrebbe dedicare un posto di primaria importanza senza che l’umanità intera senta la necessità di dovergli dedicare un giorno speciale: il Giorno della Memoria.

1977, Coppa dei Campioni, Virton Belgio. Il CSKA di Sergej Belov ha l’opportunità di raggiungere la MobilGirgi di Varese, detentrice del titolo, nella finale di Belgrado. A mettere i bastoni  tra le ruote a “l’Orso russo…” ci pensa il Maccabi Tel Aviv e l’urlo di Tal Brody, guardia statunitense con passaporto israeliano, rende noto al mondo che Tel Aviv è “on the map” del Basket. La vittoria del Maccabi contro il CSKA è simile all’impresa di Davide contro Golia con la differenza che Davide dopo Golia non ha dovuto affrontare anche Godzilla mentre il Maccabi si. A Belgrado la notte del 7 Aprile 1977 scendono in campo nei Balcani la cenerentola israeliana contro i campioni uscenti, pronti a affrontare l’ottava finale consecutiva della Coppa più prestigiosa del vecchio continente. Figurarsi se Morse, Ossola, Meneghin e Sandro Gamba possono farsi sfuggire l’occasione di fregiarsi del terzo titolo consecutivo di campioni d’Europa. E invece Cenerentola diventa Principessa e il Maccabi firma il primo titolo continentale della sua storia sotto la guida di un nativo tedesco, ebreo, nato nel 1931 successivamente naturalizzato israeliano.

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Tedeschi, Ebrei, prima età del ‘900, la memoria vi suggerisce qualcosa? A 13 anni Ralph viene nascosto in Ungheria da una della magie più incantevoli di metà ventunesimo secolo messa in opera dal diplomatico svedese Raoul Wallenberg, capace di salvare la vita a più di 20mila ebrei. Il padre e la sorella di Ralph invece vengono deportati a Auschwitz dove il primo incontrerà la morte e la seconda ne uscirà assieme a pochi altri superstiti. Quando Hitler si suicida e il nazismo cade, Ralph è libero e tra le macerie di Budapest si appassiona allo sport. L’Ungheria è una potenza del calcio mondiale, Ferenc Puskas muove i primi passi nel calcio che conta e il padre adorava quella palla a scacchi esagonali. Ma Ralph trova nel basket il suo passatempo preferito e quando nel 1951 emigra in Israele il Maccabi Tel Aviv gli offre un posto in squadra. Dopo aver messo a referto 2.160 punti con la maglia del Maccabi, vinto 8 titoli nazionali e sei coppe di Israele, si siede in panchina alla guida contemporanea dello stesso Maccabi e della Nazionale Israeliana. Ciò che accadde sotto i canestri al di là dell’oceano non gli è indifferente e lo stile su cui basa il suo concetto di gioco gli frutta successi a ripetizione fino alla magnifica vittoria del 1977 inflitta a Sandro Gamba. Nel 1979 arriva anche l’argento agli Europei di Torino per la nazionale israeliana che si arrende in finale contro quell’Unione Sovietica che non riconosceva Israele come stato autonomo impedendo agli ebrei russi di emigrare.

Tutte le ferite causate da un’ infanzia difficile sembrano essere lenite dai successi sul parquet, ma lenire un dolore non significa eliminarlo. Per provare a suturare definitivamente quelle ferite Ralph prova a tornare all’origine, al punto di partenza. Il suo pensiero è contorto ma comprensibile: provare a fare qualcosa di buono per quella nazione che ha provocato tanto male a lui, alla sua famiglia, alla sua gente. Nel 1983 Ralph diventa coach della Germania dell’Ovest e il contributo che fornisce allo sviluppo del basket tedesco è incommensurabile. “Il fatto che la Germania mi abbia chiesto di allenare la sua Nazionale è per me una vittoria sul nazismo” e probabilmente è stata la vittoria più importante di tutta la sua carriera. Raplh è morto a 77 anni; il giro della vita gli ha concesso ben oltre 60 anni in più rispetto a quello che è stato concesso ai suoi coetanei ebrei. La sua memoria ha immagazzinato in questi anni una mole di informazioni, conoscenze, emozioni ed esperienze tali da renderlo una persona unica, difficilmente imitabile; gli eventi che hanno indirizzato il suo percorso di vita lo hanno portato a fare delle scelte difficili. Sarebbe stato umano scegliere di rifiutare la panchina tedesca, sarebbe stato umano rivalersi contro una nazione così ostile nei suoi confronti, sarebbe stato umano decidere di non mettere a disposizione le sue competenze per i giovani di un paese che lo ha costretto alla fuga. Eppure Ralph ha scelto di non appagare il suo ego, ma di insegnare a vivere lo sport che amava ai suoi più temibili rivali e a mettersi a loro disposizione.

La memoria, forse la più grande ricchezza del genere umano, deve servire a non dimenticare né i fatti né  i personaggi rilevanti che hanno influenzato la storia del mondo. Non dovrebbe servire di dedicare un giorno specifico per far ciò, servirebbe solo utilizzare ogni giorno il data base più capiente di cui disponiamo. Ma siccome sembra che non tutti siamo in grado di farlo allora spero che almeno questa volta i film, le interviste, i filmati e le testimonianze a cui abbiamo assistito nella settimana appena trascorsa possano aver suscitato emozioni e sensazioni tali da influenzare per il meglio le nostre scelte future e che non siano solo pillole di retorica da somministrare al prossimo Giorno della Memoria.

Per non dimenticare Ralph Klein: 29/06/1931 – 07/08/2008.

—– Francesco Rivano nasce nel 1980 nel profondo Sud Sardegna e cresce a Carloforte, unico centro abitato dell’Isola di San Pietro. Laureato in Economia e Commercio presso l’Università degli Studi di Cagliari, fa ritorno nell’amata isola dove vive, lavora e coltiva la grande passione per la scrittura. Circondato dal mare e affascinato dallo sport è stato travolto improvvisamente dall’amore per il basket. Ha collaborato come redattore con alcune riviste on line che si occupano principalmente di basket NBA, esperienza che lo ha portato a maturare le competenze per redigere e pubblicare la sua prima opera: “Ricordi al canestro” legato alla storia del Basket. Nel 2024 ha pubblicato la sua seconda, dal titolo “La via di fuga” Link per l’acquisto del libro.





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