Peste suina: la guardia resta alta, ancora piccoli segnali in Liguria e in Piemonte

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Non si può certo cantare vittoria. Con l’inverno in corso, pur se attenuata, la diffusione della peste suina africana (Psa) fa registrare ancora qualche segnale.

I dati più aggiornati (26 gennaio) diffusi dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Piemonte e Liguria riferiscono una circolazione limitata, ma costante tra i cinghiali delle due Regioni, per un totale di casi giunto a quota 1.734.

Buone notizie dalla Sardegna

A fine estate era stata salutata con favore la notizia che dopo 54 anni la Sardegna fosse finalmente libera dalla peste suina africana.

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L’ufficialità era arrivata il 20 settembre dagli Stati membri dell’Unione europea, che hanno votato all’unanimità la proposta della Commissione europea di riconoscere l’eradicazione della malattia nell’isola. Nello stesso giorno erano state annullate le restrizioni anche in alcune zone del Piemonte, della Liguria e della Calabria che pure combattevano da tempo contro la diffusione del virus.

I successivi bollettini diramati dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Piemonte e Liguria avevano confermato tra l’altro un rallentamento (che perdura). In Lombardia la situazione sembra più sotto controllo. Però la presenza di diversi focolai nella regione concentrati ancora e soprattutto nella provincia di Pavia non fa rientrare l’allarme e, sebbene, sia stato concesso qualche allentamento delle misure di sicurezza, l’eradicazione della malattia non sembra ancora vicina.

Il piano d’azione dell’Unione europea

Infatti, nel recente documento presentato al comitato Paff (Standing committee on plants, animals, food and feed) dell’Unione europea è emerso un piano d’azione messo a punto solo per la Lombardia e per l’Emilia Romagna che prevede una missione di esperti veterinari europei (Euvet) nonché la definizione di una strategia di caccia, controllo e gestione dei cinghiali sia nelle aree riservate che in quelle non infette.

Ed è proprio in questa strategia che risiede la “rivoluzione” adottata dalla nuova struttura commissariale perché, in controtendenza col passato: adesso è assolutamente vietata la caccia al cinghiale nelle zone infette e nelle varie zone di restrizione, così come, del resto, impone da anni la normativa europea.

Attenzione, però, ciò non significa che l’abbattimento dei cinghiali selvatici non rientri comunque nel piano d’azione in vigore dallo scorso agosto, né che il suino selvatico non sia più considerato il veicolo principale di diffusione del virus. Deroghe al divieto sono comunque previste ma sono possibili solo nelle zone di Controllo dell’Espansione Virale (Cev), individuate a ridosso delle barriere di contenimento e che non possono estendersi per più di 10 chilometri) e solo previo consenso e coordinamento del commissario straordinario e per il tramite dei Gruppi Operativi Territoriali.

Al contrario, nelle zone indenni dalla malattia il Piano straordinario di catture, abbattimento e smaltimento dei cinghiali”, ribattezzato da animalisti e non Piano Caccia, è valido ed operativo. Tanto che, da quando il virus ha varcato i confini del Piemonte, in Lombardia si sono contati poco meno di cinquemila cinghiali, tra quelli abbattuti e quelli ritrovati in carcasse, sottoposti a controllo di infezione.

Ma è davvero certo che l’unica causa di diffusione della peste venga principalmente dagli animali selvatici?

Il pericolo degli allevamenti abusivi

Un’ordinanza commissariale del 2 ottobre scorso prevedeva l’inserimento nella Banca dati nazionale, non solo degli allevamenti registrati che sono tenuti a indicare il numero di suini domestici e selvatici detenuti (compresi quelli morti), ma anche di quelli non registrati che detengono “temporaneamente e/o a qualsiasi titolo, cinghiali o suini, anche se non destinati alla produzione di alimenti”. Ci si riferisce cioè agli allevamenti abusivi. Ma come si fa a scovarli?

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A questo ci pensano i carabinieri dei Nas, della Forestale e anche i vari servizi veterinari territoriali: la “caccia” all’illegalità spetta a loro. In Sardegna, negli ultimi anni, tra le misure straordinarie emanate per l’eradicazione della peste, un decreto dell’assessore alla Salute aveva dato mandato alla Direzione generale del Corpo Forestale e di Vigilanza ambientale di effettuare controlli specifici su tutto il territorio per l’individuazione dei suini allo stato brado e degli allevamenti non autorizzati e ne erano emersi un bel po’ soprattutto nella provincia di Cagliari.

In Lombardia, così come anche in Liguria, Piemonte ed Emilia Romagna, non è stato mai emanato un decreto simile perché, come ribadisce lo stesso commissario Filippini, tali controlli rientrano nelle attività ordinarie delle autorità preposte. Eppure finora in Liguria sono emersi due casi di irregolarità, in Lombardia nessuno.

Al contrario, in Campania (altra regione interessata dal virus ma non ai livelli allarmanti della Lombardia) in sei mesi sono state scoperti e sequestrati due allevamenti abusivi, uno ad Arzano in provincia di Napoli e l’altro ad Ailano in provincia di Caserta dove sono stati trovati anche nove maialetti lattanti di circa due mesi appartenenti a una razza molto pregiata (suino dei Nebrodi).

Peste suina: individuare gli allevamenti abusivi non è semplice

Scovare un allevamento abusivo non è facile, nella maggior parte dei casi ci si riesce dietro segnalazione ma in Lombardia, per esempio, fonti vicine alla struttura commissariale affermano che ve ne siano mai state. Si dovrebbe dunque perlustrare l’intero territorio alla ricerca degli allevamenti sconosciuti all’anagrafe?

Fare questo non è semplice perché richiede un dispiegamento di uomini e mezzi non indifferente. Fonti investigative suggeriscono una dotazione di almeno tre elicotteri, 160 macchine e circa ottomila uomini.

Ecco perché ci si affida sempre alle segnalazioni che, nella maggior parte dei casi, arrivano da allevatori sottoposti ai controlli ufficiali. I dati sugli allevamenti abusivi sequestrati in Italia sono tenuti dal ministero della Salute a cui Animal Health ha chiesto conto (siamo in attesa di una risposta).

Ridimensionata la “colpa” dei cinghiali?

Tornando al veicolo principale, uno studio dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) individua nei cinghiali “i principali motori dell’epidemia”. Eppure i dati del Bollettino epidemiologico nazionale sembrano dire tutt’altro. A ottobre scorso, nella zona di restrizione II del Pavese, su 3.368 cinghiali (cacciati o ritrovati in carcassa) solo 167 sono risultati positivi alla Psa. Idem nella zona III: 79 su 673.

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Diverso invece il caso dei suini: su 3.877 maiali abbattuti sono solo 1.212 quelli che hanno contratto il virus. La stessa contraddizione emerge anche dai dati allegati alla relazione inviata dal ministero della Salute in Europa. Dal primo gennaio 2022 al 15 ottobre 2024, solo nel Lodigiano i cinghiali infetti sono stati pari a zero mentre i suini malati sono 10.619. Perfino nel Pavese il numero dei suini che ha contratto il virus è di 12.931 contro i 246 cinghiali accertati.

Sarà anche per questo motivo che le misure commissariali insistono molto sul rispetto delle regole di bio-sicurezza all’interno degli allevamenti e alla sorveglianza capillare disposta sulle relative verifiche. Qualora infatti negli stabilimenti situati nelle tre zone di restrizione venissero rilevate carenze strutturali o gestionali dei requisiti di bio-sicurezza non sanabili entro 15 giorni, gli allevamenti sono necessariamente bloccati e svuotati degli animali tramite macellazione o abbattimento e, indipendentemente, dalle condizioni di salute dei capi.

Inoltre, in caso di abbattimento degli animali, gli allevatori perdono anche il diritto all’indennizzo.

Come è evoluta la gestione dei casi sospetti

Questa è una delle poche misure inasprite dall’ordinanza del 2 ottobre, che impone anche l’aggiornamento in check list dei requisiti di bio-sicurezza verificati dalle autorità competenti locali durante i controlli effettuati nei vari stabilimenti e che consente, di conseguenza, la movimentazione di animali che, al contrario, era stata vietata dall’ordinanza emessa a fine agosto quando la situazione epidemiologica era molto più grave rispetto a oggi.

Il rispetto dei requisiti ha fatto allentare anche i divieti imposti in precedenza relativi alla possibilità di organizzare attività all’aperto che prevedono la partecipazione di oltre venti persone, come il trekking e la pesca. Ma anche le manifestazioni religiose ed associazionistiche, i pic-nic, la transumanza di animali e perfino il pascolo vagante purché non si sconfini dalle zone delimitate.

La novità principale, che segna anche un cambio culturale, è però la nuova concezione del cosiddetto caso sospetto. L’autorità competente locale definisce “sospetta” una carcassa di cinghiale selvatico o maiale domestico “solo in caso di aumento anomalo della mortalità o di lesioni, nonché di sintomi riferibili alla Psa”. E chissà se basterà questo per evitare la morte di animali sani e per contenere l’epidemia.

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