Spesso, quando si parla di sport si pensa immediatamente alla competizione agonistica, alla propria squadra del cuore o alla atleta preferita. Oppure si pensa alla partitina con gli amici, alla palestra, all’allentamento in casa, all’oretta di jogging al parco. L’aspetto formativo e sociale dello sport lo si dà per scontato, lo si dimentica quasi, anche se in realtà è uno degli asset principali per lo sviluppo personale. Lo sa bene Antonio Tintori, professore e analista del CNR, il Consiglio nazionale delle ricerche, che insieme ad altri quattro colleghi ha svolto una ricerca dal titolo Lo sport di tutti. Valori e didattica dell’integrazione sociale. Ne abbiamo parlato proprio con lui per analizzare la situazione attuale e capire qual è il valore dello sport, soprattutto di quello insegnato a scuola.
Professore, lei con il Cnr ha svolto una ricerca importante. Cosa ha avete appurato?
Oggi come oggi viviamo in un mondo che diventa sempre più razzista, esclusivo, violento e spesso misogino e purtroppo anche tra i ragazzi vediamo che certi sentimenti serpeggiano ancora e ampiamente. Il nostro lavoro di ricerca ha puntato a dimostrare quanto lo sport sia uno strumento molto importante per imparare a relazionarsi con gli altri e a capire il valore del sentimento sportivo. La domanda che ci siamo posti è: cosa si trasmette davvero quando si insegna uno sport? Abbiamo visto che, malauguratamente, spesso gli allenatori insegnano lo sport fine a sé stesso, promuovendo il valore della competizione e non della cooperazione. Sappiamo tutti che lo sport è importante per sviluppare il fisico, le capacità psicomotorie e neuro-motorio ed è fondamentale.
Il punto è, però, che lo sport, in particolare quello praticato all’interno delle scuole, per direttiva ministeriale deve promuovere l’accoglimento di valori socialmente positivi tra cui, naturalmente, ci sono quelli dell’inclusione sociale, del rispetto interpersonale, della cooperazione e della solidarietà, ma anche dell’assunzione di responsabilità e dell’impegno per il bene comune. Ora, se, però, il rispetto passa solamente attraverso l’osservare delle regole, pena l’essere esclusi da quello sport senza tutto il resto, probabilmente il messaggio più importante non è stato interiorizzato in modo giusto. Ovvero che lo sport serve innanzitutto per star bene con gli altri e costruire una società migliore.
Senza entrare nel dettaglio della ricerca, cosa le è saltato di più all’occhio dall’analisi dei risultati?
Abbiamo visto quanto insegnamenti sbagliati e input negativi possano trasformare lo sport in un incubatore di stereotipi, violenza ed esclusione sociale. Una esclusione che spesso riguarda le donne, dal momento che in certi sport le donne sono escluse o comunque sono caratterizzati dalla predominanza di atleti uomini. Di certo non aiuta l’esempio che ci danno le istituzioni del calcio nazionale ed internazionale le cui gerarchie sono prevalentemente maschili. Anche nelle gerarchie di potere delle scuole sportive, per esempio, c’è una maggioranza di uomini e questo sicuramente non favorisce, tra i ragazzi, lo sviluppo di un concetto di superamento delle differenze di genere. Questo ci fa sottolineare il fatto che gli insegnati e le insegnanti, le allenatrici e gli allenatori, hanno un ruolo di grande importanza, perché possono influenzare non solo le opinioni delle ragazze e dei ragazzi, ma la anche la loro forma mentis, il loro comportamento e lo sviluppo della loro identità sociale.
Quanto pensa che conti lo sport nella fase di crescita degli adolescenti?
Tantissimo. Penso che si debba soprattutto dare una straordinaria importanza a un certo tipo di educazione, perché è stato dimostrato quanto lo sport sia il più potente aggregatore sociale, quell’elemento, quell’attività se vogliamo, in grado di espandere le reti ed è proprio di questo che oggi i ragazzi hanno più bisogno. In uno studio che abbiamo pubblicato sulla rivista Scientific Reports di Nature, abbiamo dimostrato che i ragazzi, attualmente, molto più che in passato, hanno la necessità di recuperare un certo tipo di socialità fisica, reale, per scongiurare una serie di atteggiamenti negativi, tra cui proprio quello del ritiro sociale. Si parla spesso del fenomeno degli hikikomori, cioè coloro che decidono di annullare i propri contatti con il resto del mondo e preferiscono stare chiusi nella loro stanza.
Ci sono, poi, altri elementi di disagio giovanile, come l’ansia, la depressione, l’incapacità di gestire le emozioni, ma anche autolesionismo, problemi alimentari, ideazioni suicidarie. Ecco, tutti questi problemi possono trovare nello sport non dico una soluzione, perché si tratta di problemi sociali connessi ai nostri mutamenti comportamentali e comunicativi dai quali scaturisco i disagi psicologici, ma sicuramente un luogo di protezione, anche di sfogo se vogliamo, una medicina o un antidoto. Sotto questo aspetto quello che diventa di fondamentale importanza è lo sport extra-scolastico, che allarga la possibilità di avere reti di supporto, rinsalda la fiducia in sé stessi ma anche il rapporto con l’insegnante, l’allenatrice e quindi, per estensione, con il mondo degli adulti. Quello del rapporto tra giovani e adulti è un altro dei meccanismi che è completamente saltato, in particolare dalla pandemia in poi. Diversi nostri studi hanno infatti dimostrato quanto sia ormai scarsa la fiducia e la stima verso le figure adulte, che comprendono i genitori, ma ancor prima i docenti scolastici.
Come si può intervenire?
Il deficit principale c’è in due ambiti sociali, che sono quelli da sempre più importanti e preposti, formalmente e informalmente, all’educazione: il primo è quello della socializzazione primaria che si chiama famiglia: i genitori. Il secondo ambito è quello della scuola che, dal canto suo, è oppressa da tanti problemi e quindi, spesso, si limita a una didattica fine a sé stessa. Destinata, però, a sparire dal momento che con l’IA ci si può far interrogare, ci si può far sintetizzare una lezione o spiegare una regola che non si è capiti. Né più né meno di come fa anche un professore o una brava professoressa che si limita a seguire un libro, senza metterci empatia. Non è più quello il ruolo della scuola che ora deve adeguarsi ai tempi e qui ritorniamo al discorso sullo sport.
La scuola dev’essere strumento di socializzazione secondaria, deve favorire il benessere e lo può fare attraverso lo sport. Attraverso lo sport, durante i corsi pomeridiani, si incontrano gli altri, si parla, si stringono relazioni e si possono affrontare le patologie sociali che stanno esplodendo. Le nostre ricerche hanno dimostrato che gli adolescenti e le adolescenti non sanno più gestire le cosiddette emozioni primarie negative, cioè rabbia, paura, tristezza. Lo sport insegna a capire queste emozioni, a gestirle individualmente e in gruppo. Ecco perché è importante avere insegnanti preparati, che capiscano il valore dell’insegnamento, che orientino la didattica sportiva in modo esplicito verso valori socialmente positivi e di rispetto interpersonale. Perché, lo voglio ribadire, lo sport ha una sua natura ambivalente: a seconda di come lo si insegna può creare benefici, o anche danni sociali.
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