Illy, perché i re del caffè ora rilanciano sul tè (raddoppiando la produzione a Parigi)

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di
Alessandra Puato

Il nuovo stabilimento della francese Dammann Frères sarà operativo entro fine anno. I piani del Polo del Gusto che cresce del 10%. «Aperti a un socio di minoranza»

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Salgono i ricavi del Polo del Gusto, che completa quest’anno gli investimenti previsti per 50 milioni negli stabilimenti e prepara con le nuove fabbriche — la produzione rafforzata — lo scudo anticrisi. Il gruppo presieduto da Riccardo Illy, che raduna i marchi extra caffè di alta gamma dell’alimentare, rilancia sul tè con Dammann Frères, il cui nuovo stabilimento da 36 milioni a Dreux, vicino a Parigi, dovrebbe essere consegnato a fine agosto e diventare operativo entro fine anno per raddoppiare la produzione. In Dammann Frères il Polo del Gusto ha come soci di minoranza i fondi Idia Capital (24,2%) e Val de France Expansion (0,80%) del Crédit Agricole. «Il fatturato è salito del 7% e quest’anno pensiamo di superare i 50 milioni, dai 44 del 2023 — dice Illy —. L’utile è cresciuto del 40%. L’investimento sul nuovo stabilimento francese sta dando risultati». Nel 2024 l’azienda del tè ha aperto boutique a Torino, Osaka, Digione e ha chiuso un accordo commerciale con la Tour Eiffel: il tè servito in esclusiva è Dammann e c’è una collezione dedicata.

E gli altri marchi? Il Polo del Gusto ha ricapitalizzato Domori, cioccolato, per affrontare i rincari del cacao. E festeggia la crescita del 40% dei ricavi di Pintaudi, pasticceria, che nel nuovo impianto di Trieste ha traslocato lo scorso agosto e deve anche a questo l’aumento di produzione. In questo quadro, Riccardo Illy si dice sempre aperto «all’ingresso, nel gruppo o nelle singole società, di un socio, ma soltanto in minoranza: purtroppo ultimamente i fondi vogliono la maggioranza». Mentre scagliona le iniziative per affrontare il 2025 con razionalità.




















































I dazi e le banche

L’imprenditore, che controlla il Polo al 95% attraverso Exgi (il resto è in pari quota della famiglia Illy e della famiglia Ponti), frena, infatti, sulle acquisizioni, in attesa di una congiuntura migliore. E per lo stesso motivo rimanda, per ora, le aperture di nuovi negozi. Perché il 2024, con una produzione industriale in calo del 3,5%, non è stato facile per nessuno. Chi è cresciuto lo ha potuto fare grazie agli investimenti e alla gestione dei conti.
«I dazi americani sono una spada di Damocle — dice Illy, che esporta Domori e Dammann Frères negli Usa —. Anche il 2025 sarà un anno d’incertezza. Temo che sarà ancora negativo per l’industria italiana, mentre le banche hanno spesso, in generale, ancora difficoltà a concedere finanziamenti».

I conti e l’uscita dai gelati

Secondo le stime interne, il Polo del Gusto ha chiuso lo scorso bilancio con ricavi aggregati in aumento del 10% a circa 126 milioni, dai 114,5 milioni del 2023, con un margine operativo lordo dichiarato intorno al 10%. La gran parte del giro d’affari viene dal tè di Dammann Frères, 47,5 milioni. Delle altre controllate, Domori segna un giro d’affari di 30 milioni; Prestat (praline) di 8,6 milioni; Achillea (marmellate) di 3,8 milioni e Pintaudi di 1,4 milioni. In più c’è la partecipata Agrimontana (succhi di frutta conservati), di cui il Polo ha il 40% a fianco della famiglia Bardini. Non c’è più, invece, nel perimetro diretto la Fgel Bonetti delle gelaterie: il gruppo ha gradualmente venduto il proprio 23,5% (l’ultimo 2,3% a fine 2024) a Rrem, società di gestione e consulenza sul retail della quale, però, lo stesso Polo ha il 20%. «Costituiremo una newco entro l’anno con Rrem, dove noi avremo il 60%, per sviluppare le catene dei negozi», dice Riccardo Illy, che conta sempre sul retail per lo sviluppo dei marchi, anche attraverso l’insegna Incantalia.

Il costo del cacao

«Il risultato di bilancio del 2024 è soddisfacente — dice l’imprenditore —. Dammann Frères, Pintaudi e Achillea sono andate molto bene. La criticità c’è stata su Domori per il prezzo del cacao quintuplicato in un anno e mezzo, ma prevediamo che dopo una perdita nel 2024 la società chiuda in pareggio». Il terzo stabilimento di Domori, costato 11 milioni, a None (Torino), è stato quasi completato, ma l’azienda piemontese, dice Illy, «si prepara a traslocare nel 2028». Il trasferimento era previsto per il 2026: slitta per l’«impegno finanziario rilevante» sostenuto per compensare il rincaro del cacao e la mancanza di materia prima, dovuta a due malattie che hanno colpito le piantagioni in Costa d’Avorio e Ghana. L’«impegno» è la ricapitalizzazione da 4,9 milioni, avvenuta nel 2024 da parte del socio Illy. «Di fronte a una crisi congiunturale abbiamo investito perché crediamo nella società», dice Illy. Il Polo controlla al 97,5% Domori, i cui ricavi nel 2024 sono comunque dati in crescita dell’11% per il parziale trasferimento dei rincari sui prezzi finali.

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