Voto fuorisede unisce l’opposizione: «Lo vogliamo per i referendum»

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Sul voto fuorisede «è stato ottenuto poco e molto ancora c’è da ottenere». Lo dice senza giri di parole il senatore dem Marco Meloni, che ha organizzato, assieme alla collega di partito Marianna Madia, una conferenza stampa a Palazzo Madama per ribadire quanto l’astensionismo involontario di studenti e lavoratori che vivono lontani dal proprio Comune di residenza sia un’enorme emergenza democratica di cui però il Governo, forse intenzionalmente, sembra non rendersi conto. Si tratta di 5 milioni di esclusi, che rischiano di rimanere ancora una volta senza voce quando in primavera si voterà per i referendum abrogativi approvati dalla Consulta.

La battaglia per restituir loro il diritto di esprimersi unisce, ed è cosa rara, specie di questi tempi, l’opposizione tutta: nella sala “caduti di Nassirya” del Senato, oltre ai dem già citati anche Rachele Scarpa e Andrea Giorgis, c’era il M5S con Vittoria Baldino, Avs con Peppe De Cristofaro e Marco Grimaldi, e ancora Azione con Giulia Pastorella e +Europa con Riccardo Magi. Con loro, i comitati che da anni lottano per la causa, su tutti “Voto dove vivo” con Thomas Osborn e Alessandro De Nicola, e ancora la Cgil, Europa Radicale e Volt Europa. Uniti da un imperativo: bisogna fare in fretta.

Ed è proprio per rispondere ai tempi ristretti che Marco Meloni e Marianna Madia hanno presentato al Senato e alla Camera due proposte di legge “gemelle” che chiedono, in buona sostanza, la replica di quanto fu introdotto, novità assoluta, col decreto Elezioni in occasione delle Europee dello scorso anno. Quella sperimentazione, per quanto «contorta e macchinosa», dice Marco Meloni, fu comunque un risultato, nonostante il ministro dell’Interno Piantedosi, rispondendo a un’interrogazione di Magi, abbia sentenziato che l’esperimento «è andato male» e che ad oggi non c’è «copertura legislativa» per ottenere una legge entro le date dei referendum. «Quei 17mila che votarono grazie a quella novità non sono pochi, sono tantissimi. Ed è meglio replicare quel meccanismo piuttosto che non avere nessuna copertura», ragiona però Marco Meloni in aperta polemica col Viminale.

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In verità, un disegno di legge più ampio, che cioè permetterebbe ai fuorisede di votare a qualsiasi tipo di elezione, Politiche comprese, esiste. Ma è stato trasformato in legge delega dalla maggioranza – che ha dunque delegato il Governo – e giace immobile in un cassetto da mesi, bloccato al Senato. Per questo oggi in vista del referendum si cerca un compromesso, senza però dimenticare l’obiettivo ultimo, ovvero un intervento strutturale e permanente sul tema.

Le prossime mosse le riassume Giorgis del Pd: «Chiediamo che il disegno di legge per far votare in occasione dei referendum venga calendarizzato in commissione Affari Costituzionali in sede deliberante». In modo che, è il ragionamento, si accorcino i tempi evitando il passaggio in Aula. «Questo è un ddl molto semplice – sottolinea il dem – che riguarda solo i referendum, non ha problemi tecnici, non ci sono collegi (ne è previsto soltanto uno a livello nazionale, ndr)». Mentre Alessandro De Nicola del comitato “Voto dove vivo” evidenzia un’ulteriore necessità: che stavolta, al contrario delle Europee, il diritto non sia «irragionevolmente limitato ai soli studenti, ma esteso anche ai lavoratori».

Più provocatoria Pastorella di Azione, che si chiede: «Forse, vista la natura dei referendum, al Governo conviene rimandare? La legge delega troverà vita quando all’esecutivo interesserà di più che se ne discuta?». E mentre tali quesiti restano in sospeso, Baldino lancia una proposta: creare un documento unico da presentare a tappeto a consiglieri comunali e regionali per far sì che la battaglia per il voto fuorisede abbia dimensione sempre più capillare.

«L’Europa ride di noi», taglia corto invece Guido Silvestri di Volt Italia. Il segretario di +Europa Riccardo Magi, a quel punto, solleva una cartina dell’Ue in cui l’Italia è l’unica “macchia nera” ancora priva di una legge che permetta a chi risiede altrove di votare nella città in cui vive. «Una situazione ridicola se non fosse grave», dice Magi. Che aggiunge: «Parlo non solo da esponente delle opposizioni, ma anche da presidente del comitato promotore per il referendum sulla cittadinanza. Insieme a Landini della Cgil abbiamo scritto al Governo chiedendo un incontro, che ci sarà l’11 marzo, su alcune questioni di democrazia: la scelta di una data per i referendum, la garanzia di informazioni ai cittadini e il voto fuorisede». «Lì chiederemo che questa proposta sul voto ai referendum sia presa in considerazione e abbia una corsia preferenziale. Se il governo risponderà che non ci sono i modi e i tempi, chiederemo il decreto». Anche se, aggiunge Magi, «le resistenze dell’apparato del Viminale sul tema» restano evidenti. Il timore, tra gli altri, è che il governo stia tentando di non portare al quorum i referendum che, essendo abrogativi, necessitano per legge che almeno il 50%+1 degli aventi diritto si presenti alle urne.

Il segretario di +Europa si lascia poi andare a una riflessione più ampia: «In un momento come questo, nel quale si sente dire quotidianamente da più parti che la democrazia non serve, che non funziona, che non è efficiente, che non è in grado di garantire le libertà, battaglie come questa hanno un valore straordinario». «La partecipazione al voto per i referendum della prossima primavera – conclude Magi – fa vivere la democrazia. Ed è importantissimo, ora più che mai».

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