Più le donne sono escluse e limitate, più quel Paese è fragile e instabile (e povero)

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Esiste una correlazione tra la discriminazione di genere e l’instabilità di un Paese. Lo dimostrano i dati: se si classificano le nazioni di tutto il mondo su una scala da 0 a 16 in base al livello di misoginia e si confrontano questi punteggi con quelli relativi alla fragilità dello Stato (economica, politica, sociale), emerge lo schema. I Paesi mediamente ricchi e democratici come Australia, Svizzera e Svezia ottengono infatti punteggi bassissimi in termini di sessismo e contemporaneamente godono di stabilità politica ed economica. Al contrario, nazioni come Iraq, Nigeria, Yemen e Pakistan registrano un livello di sessismo pari a 15, tra i più alti al mondo, e risultano anche tra gli Stati più fragili. 


“Cose che non voglio più sentirmi dire” in quanto donna musulmana che indossa l’hijab

L’instabilità, o la stabilità, di un Paese è strettamente legata al modo in cui tratta le donne: il trattamento discriminatorio delle donne istituzionalizzato dalla legge, pratiche culturali come quella dei matrimoni precoci e in generale la violenza di genere sistemica rendono le società più vulnerabili, meno produttive e soggette a conflitti. Al contrario, le nazioni che hanno investito nell’emancipazione femminile (credendoci davvero) tendono a essere più stabili: dove le donne hanno il controllo delle proprie risorse e la libertà di prendere decisioni, la società nel suo complesso prospera.

L’economia delle donne e il Paese che si impoverisce

Un’enorme quantità di dati raccolti dal 2000 in poi dimostra che l’esclusione economica delle donne è un problema globale. Secondo il saggio The Double X Economy, una reale uguaglianza di genere nel mercato del lavoro potrebbe risolvere molte delle sfide di fronte alle quali ci troviamo come umanità. Ma la resistenza strutturale e istituzionale all’inclusione femminile è ancora troppo forte. Tanto è vero che anche nei Paesi in cui la legge garantisce uguaglianza gli ostacoli culturali – quindi che diventano economici – rimangono profondamente radicati nel quotidiano di ciascuna.

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Il sistema economico mondiale è infatti caratterizzato da una disuguaglianza sistemica che non riesce a emanciparsi da una storia di discriminazione secolare e giustificata da teorie pseudo-scientifiche inventate e sostenute per mantenere le donne in una posizione subordinata. Le argomentazioni, basate su presunte differenze cerebrali tra uomini e donne o sul parallelo tra la società umana e quella delle scimmie (considerata patriarcale) si sono intrecciate con la cultura della subordinazione e no, non stiamo parlando dell’Iran. 

Il mito secondo cui le donne sarebbero meno adatte a ruoli di leadership o a posizioni di potere è stato demolito da una immensità di studi che al contrario, dimostrano come la presenza femminile nelle aziende e nelle istituzioni migliori la governance e la performance economica. Secondo la Banca Mondiale (il paper si chiama “Gender and Economic Growth”), esattamente come le aziende, anche i Paesi che promuovono l’inclusione delle donne da un punto di vista economico registrano crescite più sostenute e una maggiore stabilità politica e sociale. 

matrimoni precoci ed esclusione (anche in Italia)

Alcune pratiche discriminatorie come la cultura “patrilineare”, in cui la discendenza familiare si basa esclusivamente sulla linea maschile stanno globalmente diminuendo insieme a fenomeni come l’aborto selettivo dei feti con organi genitali femminili, i matrimoni combinati e quelli forzati, ma non sono state del tutto eliminate. E occorre anche ragionare su cosa significa, nel nostro secolo e nel nostro Paese, “matrimonio forzato“.

Ma un valido esempio di persistenza è il fenomeno delle spose bambine. Secondo l’UNICEF nel mondo ci sono attualmente 650 milioni di donne che sono state date in sposa da bambine. Circa la metà di questi matrimoni precoci si sono verificati in Bangladesh, Brasile, Etiopia, India e Nigeria. E per quanto possa sembrare un problema lontano dall’Occidente, questa realtà esiste anche in Italia sebbene sia ancora poco monitorata e spesso ignorata fino a quando non emerge da sconcertanti casi di cronaca.

Dal 2019 al 2021, con l’introduzione del “Codice Rosso”, la normativa contro la violenza di genere che ha introdotto il reato di costrizione o induzione al matrimonio, sono stati rilevati 35 casi di matrimoni forzati in Italia.

L’emancipazione femminile non è solo una questione di diritti umani, ma anche una necessità per lo sviluppo economico e sociale dei Paesi e, perché no, per la stabilità globale. Forse mettendola così…



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