Lys Gomis, il portiere ex Lecce e Frosinone,racconta il declino dopo la morte del padre e poi nel periodo del Covid: «Mi disinteressavo della vita, di mia figlia. Nel mondo del calcio ringrazio Perin, Padelli e Samuele Longo»
Sopravvissuto ai propri demoni. Lys Gomis, ex portiere del Lecce che oggi ha 35 anni ed è fratello del più famoso estremo difensore Alfred (ex Torino come lui, oggi al Palermo in serie B). Si è raccontato nel podcast OCW Talk: «Io ho perso mio padre quando giocavo a Frosinone (2015-2016, e anche il padre, Charles, era un portiere, come gli altri due fratelli Maurice e David, ndr). Con lui parlavamo sempre di calcio e, una volta che è venuto a mancare, è come se si fosse spenta la scintilla. A Lecce ho fatto fatica e anche quando sono andato a Frosinone questa cosa mi pesava. A Teramo prima mi sono strappato e dopo sei mesi di stop, alla sesta partita da titolare, mi sono rotto il tendine rotuleo. Da lì ho detto basta», ha raccontato.
Dall’alcol alle droghe
Ma da quel momento è iniziato il periodo peggiore della sua vita: «Quando ho rotto il tendine rotuleo, complice anche il Covid, ho iniziato a bere», ha continuato Lys. Scendendo nei particolari: «A parte la mia cerchia di amici stretti non volevo parlare con nessuno dei miei problemi. Quella del bere era diventata una dipendenza, io mi svegliavo perché volevo bere. Ho fatto tre anni così, senza accorgermi che stavo uccidendo chi stava di fianco a me. Mi svegliavo perché stavo male, ma quando bevevo era come se mi passasse tutto, ma dopo poche ore stavo di nuovo male e avevo di nuovo bisogno di bere. Era come un circolo vizioso».
Dall’alcol alla droga il passo è stato breve: «Sono passato alle sostanze stupefacenti, in particolar modo la cocaina. Pensavo di poter reggere tutto. Una mattina, però, mi sono svegliato con attacchi di panico e lì ho pensato davvero che queste dipendenze fossero diventate un problema. Nel periodo in cui ero dipendente mi ero completamente disinteressato della vita: dentro casa chiuso da solo. Una volta ho bevuto talmente tanto che iniziai a prendere farmaci a caso e a tirare su. È stata la fine. Ho visto che non facevo male a nessuno, non avevo problemi economici e in più mi ero creata una cerchia di amici solo per paura di rimanere solo, io potevo ripagare i debiti, e condividevamo questa dipendenza».
Gomis si è isolato da tutto e tutti: «Ho litigato con i miei amici più stretti e con i miei familiari. A distanza di anni capisco anche il perché: loro volevano aiutarmi, ma di fronte trovavano un muro, io non volevo essere aiutato in nessun modo. Non sono mai arrivato alle mani, ma loro mi dicevano le cose e io non le accettavo, anche se la mia vita era diventata quasi una “menzogna”. Ho iniziato a capire che fosse diventato un problema durante una serata di Natale in famiglia. Vedevo mia figlia, che in quel momento aveva 6-7 anni, divertirsi, ero contento per lei, ma non riuscivo a esprimere le mie emozioni. Se i primi due anni con lei non sono stato presente perché giocavo, ho iniziato il mio declino quando lei ne aveva cinque».
Gli aiuti e la rinascita: «Sono andato da solo al Sert»
C’è stato un momento nel quale Gomis ha provato vergogna per se stesso: «In quel periodo avevo 30 anni. Ero diventato padre da due anni. I primi mesi la bambina stava con la madre e io giocavo, e quindi la vivevo poco, fino a quando non abbiamo iniziato a interagire. Quando giocavo a Lecce nel 2016-2017 la mia famiglia stava a Cuneo con la bambina: all’inizio mi concedevo qualche serata, ma dopo ho iniziato a isolarmi, anche perché avevo paura che mi riconoscessero. Molte volte mandavo qualche conoscente a prendermi le birre al bar o al supermercato. Intanto, mia madre sapeva tutto. Chi passava le notti con me poi lo andava a spifferare in giro. Stavo infangando il nome della mia famiglia».
Ci sono state persone che gli sono rimaste accanto: «Nel mondo del calcio devo ringraziare soprattutto Perin, Padelli e Samuele Longo». E a un certo punto Gomis ha ripreso in mano la sua vita: «Ho avuto la fortuna di capire da solo quando era diventato un problema. Quando sono andato volontariamente al Sert per parlare con dei professionisti, la dottoressa non mi ha dato alcun medicinale, altrimenti mi avrebbero aggravato la situazione. Questo mi ha fatto capire che ero ancora lucido mentalmente e sono andato subito al centro Narconon (per recupero tossicodipendenti, ndr), dove ho recuperato senza usare farmaci». E ora, continuando il suo percorso, collabora con Narconon Piemonte per la prevenzione.
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