Sono state adattate le normative esistenti alle specifiche esigenze delle professioni legate all’economia digitale
I creatori di contenuti digitali (DCC), un settore in rapida evoluzione che coinvolge soprattutto i giovani. L’inps ha pubblicato una circolare che fornisce linee guida chiare e pratiche per facilitare la gestione degli obblighi fiscali e contributivi legati a queste nuove professioni.
L’obiettivo principale della circolare è quello di adattare le normative esistenti alle specifiche esigenze delle professioni legate all’economia digitale, che spesso sfuggono a schemi consolidati. Essa descrive le caratteristiche distintive dell’attività di creazione di contenuti, le diverse modalità di svolgimento e remunerazione, e i vari rapporti di lavoro che possono sorgere tra i DCC, le aziende e le agenzie intermediarie.
Particolare attenzione è riservata alla figura del creator, comprendente influencer, youtuber, streamer, podcaster e pro gamer, con l’intento di fornire un quadro flessibile e comprensibile che possa evolvere con il settore. La circolare non intende creare un elenco rigido di figure professionali, ma piuttosto stabilire principi comuni per inquadrare le diverse attività.
“La circolare INPS sull’inquadramento previdenziale di creator digitali ed influencer è un segno concreto dell’attenzione dell’Istituto ai giovani e alle nuove professioni sui temi previdenziali e al contempo risulta coerente con l’obiettivo di promuovere lavoro in regola in un mercato, quello dei lavori digitali, dove c’è grande rischio di speculazione. Questa iniziativa, che ha trovato la valutazione positiva del Ministero del Lavoro, rientra nel più ampio progetto di promozione della cultura previdenziale che caratterizzerà i prossimi anni e punta a portare a bordo il maggior numero di giovani”, afferma il presidente INPS, Gabriele Fava.
La parte centrale del documento si concentra sulla disciplina previdenziale applicabile, affrontando l’inquadramento giuridico di queste professioni in mancanza di normative specifiche. L’INPS utilizza criteri già esistenti per definire il regime previdenziale appropriato, esaminando variabili chiave come le modalità di attività e l’organizzazione del lavoro.
Inoltre, la circolare è stata elaborata con il coinvolgimento del mondo associativo di settore, garantendo che le osservazioni e le indicazioni dei professionisti siano state integrate nel testo.
Ecco cosa prevede
1. I tratti distintivi dell’attività di creazione di contenuti digitali
Ai fini della presente circolare, per attività di creazione di contenuti digitali si fa riferimento all’elaborazione di contenuti scritti, immagini, registrazioni video, audio o contenuti prodotti in diretta che sono resi disponibili attraverso piattaforme digitali di connessione sociale. La stessa, quindi, si caratterizza principalmente per la presenza di un’attività creativa e di produzione di contenuti mediatici “virtuali” e della successiva messa a disposizione del pubblico di tali contenuti attraverso piattaforme digitali.
Gli operatori che si dedicano all’attività di creazione di contenuti (c.d. content creator) possono svolgere tale attività in forma amatoriale (produzione dei contenuti per hobby), o con l’obiettivo di trarne una fonte di reddito (principale o secondaria).
In linea generale, si tratta di soggetti riconducibili alla più ampia platea dei lavoratori delle piattaforme digitali. Tuttavia, i content creator non svolgono necessariamente la propria attività a fronte di specifiche richieste di prestazione di servizi, associate al pagamento di un compenso, ma possono valorizzare sul piano economico le proprie opere in modo indipendente, attraverso forme di pagamento diretto, o facendo ricorso a meccanismi quali, a titolo esemplificativo, l’inserimento di contenuti pubblicitari, il ricorso a sponsorizzazioni, la creazione di articoli di merchandise commercializzabili online.
La remunerazione dell’attività, infatti, può avvenire con diverse modalità. Ad esempio, direttamente dalla piattaforma, attraverso il riconoscimento di una percentuale del guadagno pubblicitario in proporzione al seguito degli utenti o mediante il riconoscimento di somme individuate sulla base di accordi individuali. L’attività può essere, inoltre, remunerata con il pagamento da parte dei propri sostenitori, tramite l’intermediazione della piattaforma. Infine, i content creator possono monetizzare la propria attività attraverso sponsorizzazioni o vendita diretta di prodotti, senza alcuna intermediazione della piattaforma di distribuzione dei contenuti, con introiti che possono derivare sia dai compensi riconosciuti per avere dato visibilità a un particolare marchio o prodotto sia dalla commercializzazione di prodotti commercializzati direttamente dal creatore anche attraverso piattaforme diverse da quelle di distribuzione dei contenuti[1].
Pertanto, l’ulteriore elemento caratterizzante l’attività dei content creator è rinvenibile nella compresenza di un rapporto che può vedere, da un lato, il soggetto creatore dei contenuti e l’azienda commerciale (di seguito, anche brand) e, dall’altro, la relazione del content creator con la piattaforma.
In tale scenario può realizzarsi la partecipazione di soggetti che assumono la veste di agenzie intermediarie, le quali svolgono la funzione di coadiuvare il brand nella scelta del content creator più adatto a pubblicizzare il proprio prodotto (c.d. media agency) o di assistere il talent nella gestione dei propri affari (c.d. talent agency).
Pertanto, il rapporto può essere trilaterale o persino quadrilaterale, laddove tutti i soggetti indicati partecipino al singolo affare: brand, media agency, talent agency, content creator.
Il rapporto tra il brand, il content creator e l’agenzia di intermediazione, nell’ambito dell’autonomia contrattuale di cui all’articolo 1322 del codice civile, può assumere diverse configurazioni.
Al riguardo, si rileva il caso delle agenzie che si occupano unicamente di reperire il nominativo del content creator. In tale ipotesi, che attiene sostanzialmente ai grandi brand,le agenzie svolgono, pertanto, una pura attività di mediazione, mentre è l’azienda committente che provvede a stipulare autonomamente il contratto con il content creator, determinandone anche il compenso che, quindi, viene erogato direttamente dal brand.
Si rileva altresì che, molto più frequentemente, è l’agenzia che si occupa di reperire il content creator e di conferirgli l’incarico allo svolgimento dell’attività promozionale. In questo caso il ruolo di intermediario che riveste l’agenzia non si risolve nella mera attività di “messa in contatto” tra le parti (ossia brand e content creator), ma assume connotati più ampi. E infatti, in funzione di tale ruolo, generalmente, l’agenzia cura l’intero processo di una campagna di “influencer marketing”, identificando i content creator che meglio si adattano al marchio e agli obiettivi del brand, anche secondo le modalità eventualmente individuate, in termini di tempo, spazi, visibilità e pubblico di riferimento, con gli stessi content creator e il brand.
In queste ipotesi, sostanzialmente, è l’agenzia che gestisce ogni rapporto con il brand, pattuisce il compenso per la campagna e riscuote il pagamento. I pagamenti dei brandsono quindi generalmente incassati dalla medesima agenzia, che successivamente procede alla corresponsione al content creator della quota concordata o spettante.
Oltre alle ipotesi precedenti, è rinvenibile anche il caso in cui l’agenzia di comunicazione assuma direttamente i content creator come propri collaboratori/lavoratori dipendenti.
In questa ipotesi, si osserva che la prestazione del content creator è, di regola, riconducibile nell’alveo del lavoro autonomo. Tuttavia, nel caso in cui la prestazione lavorativa venga svolta in via continuativa e con attività prevalentemente personale, secondo modalità esecutive definite dalla medesima piattaforma digitale, trova applicazione la disciplina della collaborazione eterorganizzata di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81.
2. La figura del content creator
Nell’ambito dell’attività di creazione di contenuti digitali, come delineata nel precedente paragrafo, il termine content creator assurge alla “macro categoria” che definisce in concreto quella medesima azione da cui prende il nome e che ricomprende una serie complessa di attività oggetto della presente circolare.
All’interno della suddetta categoria di attività si annovera quella peculiare dell’influencer, ossia colui che in ragione della sua popolarità e del credito maturato nell’ambito della comunità degli utenti delle piattaforme è particolarmente idoneo a orientare opinioni e gusti del pubblico di riferimento. Lo sfruttamento commerciale della propria immagine e del seguito maturato si sostanzia prevalentemente nell’attività di promozione di beni o servizi, a fronte di denaro o altre utilità[2].
Sotto un diverso profilo, le attività dei content creator possono articolarsi in una moltitudine di professionalità flessibili, mutevoli e contraddistinte dal mezzo di diffusione utilizzato o dal tipo di contenuto realizzato, quali, a mero titolo esemplificativo, youtuber[3], streamer[4], podcaster, instagrammer, tiktoker, blogger, vlogger, ecc. Tali figure, laddove ricorrano altresì le caratteristiche sopra illustrate, possono essere ricondotte alla categoria dell’influencer.
Si fa presente che, a fare data dal 1° gennaio 2025, è stato istituito il nuovo codice ATECO 73.11.03, attività di influencer marketing.
Infine, per la peculiarità dell’attività, si menziona la figura dei pro gamer o cyber atletiimpegnati professionalmente nelle discipline degli eSport, ossia degli sport elettronici, intendendosi come tali le competizioni svolte anche sotto forma di leghe e tornei, in cui giocatori singoli o squadre si sfidano su titoli videoludici, con la partecipazione di un pubblico di altri utenti, al fine di ottenere premi e/o per puro intrattenimento.
Con riferimento a tali ultime figure, sul piano dei rapporti di lavoro, può sussistere un ulteriore livello di intermediazione delle attività, rappresentato dalle squadre alle quali possono appartenere i singoli giocatori e che possono regolare i propri rapporti con i giocatori stessi con contratti che possono definire eventuali compensi e ulteriori obblighi tra le parti. Si rileva in proposito che, al ricorrere dei presupposti previsti dalla normativa di settore, tali rapporti possono essere riconducibili alla disciplina, anche previdenziale[5], del lavoro sportivo, sempre che la singola disciplina sia stata riconosciuta dal Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI) e inserita nel Registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche del Dipartimento per lo Sport della Presidenza del Consiglio dei Ministri ai sensi del decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 36, e nel Registro del CONI.
3. La disciplina previdenziale applicabile
In relazione alle figure sinora considerate, in assenza di specifiche disposizioni normative che le definiscano, si pone la questione dell’inquadramento e della qualificazione giuridica da ricondurre all’interno di un sistema di regole giuridiche costituito da principi e criteri lavoristici, fiscali e previdenziali, che attualmente non le contempla, ma che, tuttavia, allo stato attuale, rappresenta il parametro di riferimento per individuare, di volta in volta, la disciplina previdenziale applicabile a seconda delle concrete modalità con cui le rispettive attività sono realizzate e il relativo reddito prodotto.
A normativa vigente, infatti, la gestione previdenziale di riferimento per le figure professionali in argomento viene individuata all’esito dell’esame di alcune variabili chiave, quali le concrete modalità in cui si estrinseca l’attività, il contenuto della prestazione medesima, il modello organizzativo adottato e le modalità di erogazione/percezione dei corrispettivi.
3.1 Applicabilità del regime previdenziale dei lavoratori autonomi
Qualora l’attività di un professionista del settore in argomento sia la risultante di più attività, nelle quali gli elementi organizzativi prevalgano su quelli personali, cioè si abbia l’utilizzo prevalente dei mezzi di produzione rispetto agli elementi personali, così come, ad esempio, la vendita di video o la gestione di banner pubblicitari, allora si tratta di un’attività economica che rientra nel settore commerciale/terziario, con obbligo di svolgimento in forma di impresa e conseguente iscrizione alla Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura (CCIAA) con attribuzione del corrispondente codice ATECO da cui deriva l’obbligo di iscrizione alla gestione speciale autonoma degli esercenti attività commerciali.
Il regime di impresa, sia in forma individuale che societaria, come determinato ai fini della natura dei compensi percepiti ai sensi dell’articolo 55 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), generato anche tramite il caricamento di contenuti sulle piattaforme digitali (ad esempio, come nel caso di youtuber, twitcher, ecc.), determina l’obbligo contributivo presso la gestione speciale autonoma degli esercenti attività commerciali, mentre gli ulteriori redditi possono essere eventualmente ricondotti nei regimi previdenziali indicati per il lavoro autonomo di seguito illustrati, in base ai medesimi canoni ivi esplicitati. Parimenti, rientrano nella Gestione speciale autonoma degli esercenti attività commerciali le attività produttive di cui al codice ATECO n. 73.11.02 denominate “Conduzione di campagne di marketing e altri servizi pubblicitari”, sempre se organizzate in forma di impresa.
All’interno del TUIR non si rinviene una specifica categoria di reddito o una specifica individuazione delle attività esercitate dai content creator che consenta di definire il trattamento fiscale da applicare ai redditi prodotti a seguito dell’esercizio di tali attività. Pertanto, si può stabilire che i compensi percepiti dalla figura in esame, nelle sue molteplici professionalità, devono rientrare, tranne se l’esercizio dell’attività svolta sia posta in essere e organizzata in forma di impresa, nella categoria dei redditi di lavoro autonomo così come disciplinato dall’articolo 53, comma 1, del TUIR se attività esercitata abitualmente, comprese le attività che generano reddito sfruttando l’immagine del professionista.
Al riguardo, si richiama la sentenza n. 219/2023 della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Piemonte, secondo la quale l’attività di influencer, intesa come gestione della propria immagine in modo abituale e professionale, in linea generale non può essere qualificata come una cessione del diritto di sfruttamento economico dell’immagine o come obbligo di concedere a terzi il diritto di sfruttamento di contenuti multimediali, in quanto l’attività esercitata contiene i requisiti previsti dal citato comma 1 dell’articolo 53 del TUIR, con particolare riguardo “all’esercizio per professione abituale di attività di lavoro autonomo”.Pertanto, la determinazione del reddito è data dalla differenza tra i componenti positivi e quelli negativi nel caso di professionista con reddito ordinario o che usufruisce del regime forfettario nel caso ne ricorrano i requisiti indicati dalla normativa fiscale.
Inoltre, il reddito da lavoro autonomo può essere prodotto a seguito di un’attività esercitata occasionalmente, in assenza di ogni reiterazione della stessa.
Sotto il profilo previdenziale, quindi, laddove l’attività posta in essere assuma le caratteristiche della prestazione di servizi attraverso un lavoro senza vincoli di subordinazione o parasubordinazione, con prevalenza di attività personale e intellettuale, e al di fuori dell’esercizio di un’attività di impresa, e pertanto sia qualificabile come prestazione libero-professionale, resta fermo l’obbligo di iscrizione alla Gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335.
In merito alle modalità di svolgimento autonomo delle attività sopra descritte, si ricorda che l’obbligo di iscrizione alla Gestione separata sussiste quando il professionista esercita la stessa sotto le seguenti forme:
1) lavoro autonomo, di cui al comma 1 dell’articolo 53 del TUIR, esercitato in modo abituale, anche se non esclusivo, così come disciplinato dall’articolo 2, comma 26, della legge n. 335/1995;
2) lavoro autonomo svolto in forma occasionale da cui derivi un reddito pari o superiore a 5.000,00 euro (cfr. l’art. 44, comma 2, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326).
Per l’attività abituale di cui al punto 1) occorre valutare la presenza di elementi quali, ad esempio, la partita IVA, con attribuzione di un codice ATECO riconducibile all’attività di content creator, il reddito denunciato in modo abituale tramite i modelli fiscali, la fatturazione di compensi e pagamento per costi sostenuti per lo svolgimento dell’attività professionale o l’iscrizione ad associazioni che rappresentano le categorie interessate.
3.2 Applicabilità del regime previdenziale dei lavoratori dello spettacolo
Qualora l’attività svolta dai soggetti in trattazione presenti caratteristiche riconducibili a prestazioni artistiche, culturali e di intrattenimento, al verificarsi dei presupposti previsti dalla legge, sorge l’obbligo assicurativo al Fondo Pensioni per i Lavoratori dello Spettacolo (FPLS); ciò anche nel caso in cui la suddetta attività sia posta in essere per la realizzazione di finalità commerciali, promozionali o informative.
Si ricorda che, in linea generale, l’obbligo contributivo presso la gestione ex ENPALS è configurabile quando lo svolgimento della prestazione è riconducibile a quello proprio delle categorie professionali da assicurare al FPLS ai sensi del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 16 luglio 1947, n. 708 (come adeguate dal decreto del Ministro del Lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle finanza, 15 marzo 2005, quali, ad esempio, attori di audiovisivi, registi di audiovisivi, fotomodelli, ecc.)[6], e vi sia l’esistenza di un committente/datore di lavoro, a prescindere dal settore di attività in cui opera il medesimo.
Pertanto, in tale prospettiva, anche i content creator, quando non si limitino a caricare sulle piattaforme in rete contenuti video, ancorché negli stessi siano presenti inserimenti di prodotti a scopo promozionale, ma, sulla base di impegni assunti contrattualmente con un committente ( brand o agenzia di intermediazione), svolgano attività remunerate volte alla realizzazione di prodotti audiovisivi con specifica destinazione pubblicitaria, allorché venga in rilievo lo svolgimento di un’attività riconducibile a quelle proprie delle categorie tabellate (ad esempio, attore di audiovisivi, regista di audiovisivo, indossatori, fotomodelli) sono da considerare come lavoratori dello spettacolo e, di conseguenza, devono essere obbligatoriamente assicurati al FPLS, a prescindere dalla forma contrattuale del rapporto di lavoro e dal grado di autonomia insito nella prestazione, con conseguente versamento della contribuzione previdenziale e assistenziale dovuta da parte del datore di lavoro/committente.
Pertanto, in linea con la disciplina generale in materia di assicurazione previdenziale dello spettacolo, nel caso in cui lo schema contrattuale adottato comporti il coinvolgimento di ulteriori soggetti, come ad esempio i media agency/talent agency (cfr. il par. 1 della presente circolare), il soggetto tenuto a ottemperare agli adempimenti contributivi e informativi rimane sempre quello che effettivamente contrattualizza il rapporto di lavoro[7].
Si ricorda che per i soli lavoratori dello spettacolo appartenenti alle categorie artistiche e tecniche (di cui all’art. 3, primo comma, numeri da 1 a 14, del decreto legislativo del C.P.S. n. 708/1947) è prevista una modalità di determinazione della base imponibile previdenziale di favore nel caso di compensi corrisposti per la cessione dello sfruttamento economico dei diritti d’autore e d’immagine. In particolare, i suddetti compensi, ai sensi dell’articolo 43, comma 3, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, sono esclusi dall’imponibile contributivo entro il limite del 40% dell’importo complessivo percepito per le prestazioni riconducibili alla medesima attività lavorativa, sempreché ricorrano i presupposti illustrati nell’ambito della circolare ENPALS n. 1 del 15 gennaio 2004 e nell’allegato A del messaggio n. 19435 del 28 novembre 2013[8](formalizzazione della volontà delle parti di prevedere un compenso per la cessione dei diritti, connessione con prestazioni riconducibili alle specifiche qualifiche professionali artistiche individuate dal legislatore, ecc.).
Restano fermi gli adempimenti previsti in relazione alla generalità degli iscritti al FPLS in materia di certificato di agibilità, di comunicazioni obbligatorie di instaurazione del rapporto di lavoro, di trasmissione dei flussi Uniemens, ecc., per i quali si rinvia alle circolari e messaggi pubblicati in materia dall’Istituto[9].
3.2.1 Attività di Digital marketing. Assoggettabilità al Fondo Pensioni dei Lavoratori dello Spettacolo (FPLS)
Nel quadro fin qui delineato assume particolare rilevanza la specifica attività di digital marketing, che si concreta nella diffusione su blog, vlog e social network di foto, video e commenti da parte di blogger e influencer (ovvero di personaggi di riferimento del mondo online, con un numero elevato di follower), che mostrano sostegno o approvazione per determinati brand, generando un effetto pubblicitario.
Si evidenzia in proposito che, in tale ambito, benché le modalità utilizzate dai talentnell’ambito dei social network possano fare apparire il contenuto come un racconto privato, la pubblicità deve essere chiaramente identificata come tale, affinché per l’utente non sorga alcun dubbio circa l’esistenza di uno scopo pubblicitario. I content creator, infatti, sono tenuti a rispettare le norme in tema di comunicazioni commerciali, televendite, sponsorizzazioni e inserimento di prodotti di cui agli articoli 43 e seguenti del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 208, e il divieto di pubblicità occulta[10].
Vengono a tale fine utilizzati degli hashtag o delle indicazioni (partnership retribuita, pubblicità, ecc.), in modo da comunicare ai follower (coloro che lo seguono sui social), sin da subito, la natura promozionale del prodotto mostrato, in modo che il pubblico venga informato di una eventuale partnership tra brand e content creator.
Alla luce di quanto sopra rappresentato, è possibile affermare che i contenuti prodotti (reel, post, ecc.) sono pacificamente assimilabili, sotto ogni aspetto, a prodotti con finalità pubblicitarie che vengono offerti al pubblico su svariate piattaforme (TV, cinema, radio, ecc.).
Al riguardo, si evidenzia che coloro che svolgono attività lavorativa nell’ambito di spot o programmi pubblicitari (riconosciuta come “attività artistica” a tutti gli effetti) rientrano tra i “lavoratori dello spettacolo” e, pertanto, hanno diritto al versamento dei contributi previdenziali al FPLS. La pubblicità, infatti, indipendentemente dalla forma in cui viene proposta, viene creata di sovente secondo un modello in cui vi è totale aggregazione tra promozione pubblicitaria e performance artistica. La novità, nel campo della comunicazione digitale, è la piattaforma o il dispositivo tecnologico attraverso il quale i prodotti pubblicitari vengono resi fruibili, che si aggiungono a quelli già consolidati. Conseguentemente, le figure a essa collegate sono in realtà figure già esistenti, e sottoposte all’obbligo contributivo al FPLS.
Si rammenta in proposito che, ove si tratti di manifestazione artistica, la presenza fisica del pubblico non è necessaria, purché la fruizione della prestazione sia destinata a un numero indeterminato di persone[11].
In definitiva, se i content creator creano contenuti pubblicitari o promozionali, percependo dei compensi da un committente (brand o agenzia di intermediazione), quest’ultimo è tenuto al versamento dei contributi previdenziali al FPLS, indipendentemente dalla tipologia di rapporto di lavoro instaurata (dipendente, autonomo, collaborazione coordinata e continuativa), qualora nei fatti il content creator assurga al ruolo di attore pubblicitario, indossatore, fotomodello, sceneggiatore, regista ecc., ossia che l’attività posta in essere e le mansioni esercitate siano riconducibili a quelle tabellate ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo C.P.S. n. 708/1947 (come aggiornate dal D.M. 15 marzo 2005).
Diversamente, non tutti i contenuti creati dai content creator sono riconducibili a mansioni da assoggettare a contribuzione previdenziale al FPLS, ad esempio, nell’ipotesi in cui il content creator, al fine esclusivo di ampliare la propria visibilità sui social, crei contenuti online senza alcuna finalità pubblicitaria o promozionale, postando foto o video personali sui propri profili social, o, laddove si limitino a realizzare attività di carattere accessorio e strumentale a quella di digital marketing senza che perciò si configuri alcuna delle attività riconducibili a quelle tabellate.
Inoltre, restano escluse dalla disciplina dell’obbligo previdenziale al FPLS le attività riconducibili a quelle di endorsement, nelle quali venga in rilievo il semplice abbinamento tra la notorietà del content creator e il prodotto e/o servizio, ossia il semplice uso dei prodotti, o i casi in cui nell’ambito dei contenuti personali dei propri profili social vengano introdotte mere inserzioni pubblicitarie, senza perciò porre in essere alcuna attività da parte dell’artista. In tali casi resta fermo l’obbligo di iscrizione alla Gestione separata ove ricorrano, al riguardo, i requisiti illustrati al precedente paragrafo 3.1.
Da ultimo, si rammenta la disciplina di cui alla lettera b) del comma 2-bis dell’articolo 2 del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 182, applicabile nell’ambito delle attività promozionali svolte mediante piattaforma digitale, in forza della quale si configura l’obbligo di versamento al FPLS nei casi di svolgimento di “attività remunerate di carattere promozionale di spettacoli dal vivo, cinematografici, televisivi o del settore audiovisivo, nonché di altri eventi organizzati o promossi da soggetti pubblici o privati che non hanno come scopo istituzionale o sociale l’organizzazione e la diffusione di spettacoli o di attività educative collegate allo spettacolo”poste in essere da soggetti già iscritti al FPLS, senza che abbia rilevanza lo svolgimento in concreto delle attività/mansioni di contenuto artistico/tecnico proprie della categoria professionale di appartenenza (cfr. la circolare n. 155 del 20 ottobre 2021).
Il Direttore generale vicario
Antonio Pone
[1] A livello istituzionale i profili identitari e di tutela di tale attività sono già stati al centro di un’indagine conoscitiva avviata nell’aprile 2021 da parte della Commissione lavoro pubblico e privato della Camera dei deputati, i cui esiti sono contenuti nel Documento conclusivo elaborato e approvato dalla Commissione XI lavoro pubblico e privato nella seduta del 9 marzo 2022.
[2] Cfr., da ultimo, la delibera 7/24/CONS dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM).
[3] Per youtuber si intende un lavoratore che svolge attività di realizzazione e condivisione di video non live, replicabili e permanenti sul portale Youtube dalla cui visualizzazione trae un ricavo o che realizza incassi dalle subscriptions del proprio canale.
[4] Per streamer si intende chi trasmette online un contenuto attraverso un live stream, che può sostanziarsi sia in una trasmissione in diretta, sia in un video preregistrato. L’attività degli streamer presenta punti di contatto con quella di altri operatori che offrono le proprie creazioni online, partendo dalla realizzazione di opere creative nell’ambito delle piattaforme di microtasking, fino alla creazione di testi, alla produzione di contenuti diversi, come le foto, messe sul mercato su specifiche piattaforme.
[5] Cfr. la circolare n. 88 del 31 ottobre 2023.
[6] Si precisa che lo svolgimento di una delle attività elencate nel D.M. 15 marzo 2005 comporta sempre l’obbligo di contribuzione al FPLS anche nel caso in cui le stesse siano effettuate da un soggetto già iscritto al Fondo Pensioni dei Lavoratori Sportivi.
[7] Il medesimo principio si applica anche nel caso in cui la prestazione artistica, in virtù di un rapporto di lavoro subordinato o autonomo, ad esempio con una società di capitali, sia resa da un soggetto che contemporaneamente rivesta la qualità di socio nella medesima società, fatte salve le ipotesi di incompatibilità.
[8] Cfr. anche l’Interpello del Ministero del Lavoro e delle politiche sociale – Direzione Generale per l’attività ispettiva n. 30 del 20 marzo 2009.
[9] Cfr. la circolare n. 154 del 3 dicembre 2014, la circolare dell’ENPALS n. 15 dell’8 agosto 2008, il messaggio n. 1612 del 19 aprile 2019 e il messaggio dell’ENPALS n. 3 del 25 giugno 2009.
[10] I content creator sono altresì tenuti a rispettare “le disposizioni attuative adottate dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni con apposito regolamento, riconoscendo altresì le norme esplicitate nel Regolamento Digital Chart sulla riconoscibilità della comunicazione commerciale diffusa attraverso Internet promosso dall’Istituto di Autodisciplina pubblicitaria” (cfr. le linee guida AGCOM della delibera n. 7/24/CONS).
[11] A oggi, l’obbligo contributivo al FPLS sorge in tutti i casi in cui un soggetto appartenente alle categorie professionali indicate svolga attività di spettacolo. Al riguardo la giurisprudenza ha affermato che per spettacolo “deve intendersi qualsiasi rappresentazione o manifestazione che si svolge davanti ad un pubblico appositamente convenuto o che comunque venga appresa da un pubblico più ampio grazie agli strumenti della tecnica” (cfr. la sent. Cass. n. 16253/2018).
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