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Il summit di oggi a Londra dovrà dare un segnale ben preciso, “quello che in questa partita di ridefinizione dell’ordine mondiale l’Europa è in campo, presente, non passiva”.
È l’analisi dello storico, politologo e direttore del dipartimento di Scienze Politiche della Luiss, Giovanni Orsina, che ha rilasciato all’AGI un’intervista in occasione del vertice organizzato da Keir Starmer, in cui i leader di tutta l’Europa continentale, tra cui Francia, Germania e Italia, nonché Turchia, Nato e Unione Europea, si riuniranno per discutere della difesa europea e della sicurezza dell’Ucraina. “Sicuramente – commenta Orsina – si può discutere su come questo segnale debba esser dato, se con formati ristretti, in forma intergovernativa o in forma comunitaria – e in fondo il dibattito è stato questo anche rispetto alla riunione convocata da Macron a Parigi – ma tutti sono d’accordo sul fatto che in una situazione del genere l’Europa debba dare un forte segnale di presenza, un po’ perché lo chiede l’America e un po’ per rispondere all’aggressività dell’alleato”.
Dal 20 gennaio (giorno dell’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca) si parla dell’affermarsi di un nuovo ordine mondiale. “Certamente – sottolinea il professore – l’ordine precedente non regge più”. Ma questo non è causato esclusivamente dall’arrivo di Trump, “perché sono vari anni che quell’ordine mostrava di non funzionare”. La perdita di centralità dell’Occidente, la crescita della Cina e degli altri Paesi emergenti, così come la guerra in Ucraina, sono tante le cause. “Quello che oggi vediamo è un tentativo confuso e caotico (e oltremodo sgradevole) di ricostruire un altro ordine, ma al momento è molto difficile capire quale sarà il punto di caduto di questo sforzo”. A Londra, dopo quanto accaduto ieri tra Trump e Zelensky e gli incontri settimanali del presidente statunitense con Macron prima e Starmer poi, si tireranno le somme di questi colloqui e soprattutto si proverà a dialogare concretamente sul futuro della sicurezza nel Continente. “Dopodiché dobbiamo essere realisti – avverte Orsina. Il cammino verso l’autonomia strategica europea è lunghissimo. Quindi, prima di arrivare a essere autonomi dagli Usa – semmai potremo esserlo davvero – ci vorranno molti, molti anni”.
Tra i temi del summit di Londra, dunque, la difesa europea. “Se tutti quanti i tentativi più strutturati di far convergere l’Europa sulla difesa sono naufragati, a partire dalla Ced nel 1954 – analizza il professore –, è perché il baricentro della politica continentale non è mai riuscito a spostarsi dagli stati nazionali a un’entità comune. Non si è trovata la risposta alla domanda cruciale, insomma: quella difesa, gli interessi di chi dovrebbe difendere? Per avere un esercito europeo devi avere una politica estera europea, per avere una politica estera europea devi avere una comunità politica europea. L’Europa invece è rimasta a metà strada tra la costruzione di una struttura federale e una confederazione tra entità statali”.
Negli ultimi giorni si parla di un riavvicinamento tra il Regno Unito e l’Europa, dopo la Brexit del 2016: “E’ sicuramente uno degli effetti della politica trumpiana. Però, attenzione. Perché un conto è il rapporto del Regno Unito con i paesi continentali sul tema della difesa e un conto è l’appartenenza del Regno Unito all’Unione Europea – mette in guardia il politologo e storico.” L’uscita del Regno Unito dalla Ue fu un distacco strutturale, mentre “la situazione di oggi non elimina o inverte la Brexit” – chiarisce – specificando che si tratta di due livelli diversi: uno è il livello comunitario e l’altro è il livello della cooperazione intergovernativa. “Questo è un classico caso di cooperazione intergovernativa, perché la collaborazione non è tanto con l’Ue, ma con l’Europa, o per essere più precisi, con i singoli stati europei”. Dopo quanto accaduto ieri il mondo guarda il presidente degli Stati Uniti come una scheggia impazzita. “In questo momento è difficile capire fino a dove arriverà Trump – prosegue il direttore del dipartimento di Scienze Politiche della Luiss. “Tutti siamo rimasti sorpresi da questa accelerazione, anche coloro che avevano previsto una presidenza dura. Ma è anche vero che sinora la rivoluzione è stata soprattutto simbolica”. “Nulla è deciso. A partire dall’Ucraina. E ancora è difficile capire quale sarà il punto di caduta di tutto questo: se alla rivoluzione simbolica ne seguirà anche una reale”, continua Orsina. Momenti di difficoltà che tuttavia non sono una novità nelle relazioni transatlantiche.
Tornando indietro di vent’anni, Orsina ricorda i momenti della ‘guerra al terrore’ di George W. Bush, che spezzarono momentaneamente “il rapporto tra Stati Uniti ed Europa, ma anche all’interno dell’Europa stessa con Italia e Regno Unito da una parte e Francia e Germania dall’altra”. Orsina chiede cautela anche perché “il legame con l’Europa è nell’interesse nazionale americano”.
Gli Usa insomma non possono più di tanto abbandonare l’Europa “perché a loro non conviene”, perché l’integrazione fra le due sponde è così profonda che non possono lasciare che l’Europa vada altrove”. “Quindi – prosegue Orsina – dobbiamo cercare di non esasperare per catastrofismo i segnali che provengono dall’amministrazione Trump, benché siano senza alcun dubbio sconcertanti, e aspettare di capire in quale modo sarà infine declinato l’interesse nazionale americano. Contribuendo a tenere l’Atlantico unito, non ad allontanarne le sponde”.
Orsina, tuttavia, fa poi notare che una situazione di profonda frattura oggi “è reale, presente” e al contempo “innegabile”. Ciò che bisognerà capire al più presto è se questo caos “è finale o strumentale”, se quindi il caos “è l’obiettivo” oppure “lo strumento per poi ottenere dei punti di caduta”.Il politologo si sofferma poi sulla strategia della presidente del Consiglio Giorgia Meloni. “Il ragionamento della premier è che è inutile precostituire delle soluzioni e anticipare dei conflitti che ancora non ci sono”. “Meloni – prosegue Orsina – è una politica del giorno dopo, non del giorno prima: non anticipa mai i temi, risponde alle sollecitazioni. È un limite, questo, e un pregio allo stesso tempo. La sua speranza è che il caos sia solo strumentale e che quindi alla fine non ci sia bisogno di scegliere perché le due parti dell’Atlantico alla fine troveranno una convergenza”. C’è il rischio che questo significhi stare fuori dai giochi, ma siccome anche l’opposizione “è in grande imbarazzo, per ora Meloni può permettersi farlo”. Nel frattempo, l’Europa va sempre più a destra, paradossalmente proprio nel momento in cui si richiede una maggiore decisione dell’Ue. Orsina, nella sua analisi politologica spiega che “la richiesta proveniente dagli elettori è una richiesta di comunità, una richiesta di protezione da parte di una entità politica collettiva, una ‘polis’. “In un mondo come questo, sempre più allarmante, i cittadini chiedono che la loro comunità politica li protegga”. E la prima comunità politica alla quale guardano non è l’Unione europea, “ma lo stato nazionale”, ammette Orsina, specificando poi che l’inadeguatezza dell’Europa non è dovuta alla presenza dei sovranisti: bisogna pur chiedersi perché liberali, socialisti e popolari, egemoni per decenni, non abbiano saputo preparare l’Europa a un momento come questo. “L’Ue ha fallito nello sforzo di diventare un’entità politica – conclude Orsina – e adesso sono guai. Questa è la grande trappola europea. Oggi avremmo bisogno di più Europa, perché non si può competere con la Cina, gli USA o l’India come Italia o come Francia. Ma questo ragionamento, astrattamente giusto, non riesce a diventare concreto perché la concretezza, per gli elettori, è espressa dagli Stati nazionali, con le loro tradizioni storiche e culturali. Questo ha generato il sovranismo, che non è quindi causa della crisi, ma ne è un effetto”. (AGI)
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