I magistrati hanno appena scioperato, evento alquanto eccezionale trattandosi non di lavoratori dipendenti ma di un ordine dello Stato protetto dalla Costituzione, contro la separazione delle carriere tra pubblici ministeri e giudici requirenti. Cioè tra chi chiede gli arresti o le condanne e chi deve decidere se autorizzare le prime ed emettere le seconde. Uno degli slogan più usati nella protesta dei magistrati contro il disegno di legge costituzionale varato dal governo fa riferimento alla frase di un noto e grande avvocato, Franco Coppi, il quale ha detto: «Non ho mai perso un processo a causa della comune appartenenza di giudice e pm allo stesso ordine». Naturalmente non abbiamo gli strumenti intellettuali e le conoscenze giuridiche per contestare l’affermazione di un vero e proprio principe del foro, qual è l’avvocato Coppi. Anche se ci verrebbe da dire che uno come lui le cause non le perde mai, a prescindere, mentre magari avvocati meno bravi qualche problemino con l’appartenenza dei giudici allo stesso ordine del pm l’avranno avuto.
Ma ieri abbiamo letto sul Foglio il bilancio dei risarcimenti che lo Stato italiano ha sborsato dal 2018 al 2024 per indennizzare i cittadini vittime di ingiusta detenzione. Persone cioè arrestate o colpite da misure cautelari durante l’inchiesta che poi sono stati invece prosciolte o assolte dalle accuse. Ebbene lo Stato italiano ha dovuto versare la bellezza di 220 milioni di euro, come previsto dalla legge, nei confronti di coloro che le Corti di appello, dunque altri magistrati, hanno ritenuto vittime di ingiusta detenzione.
Attenzione: l’errore giudiziario è fisiologico anche in un sistema che funzioni bene. E anzi si potrebbe dire che una tale mole di sbagli individuati dallo stesso potere giudiziario appare come una garanzia della sua imparzialità. Ma il problema è un altro: questo dato ha infatti, anche più di altri, una relazione diretta con la questione della separazione delle carriere; nel senso che l’autorizzazione agli arresti, in carcere o ai domiciliari, e a tutte le altre misure coercitive viene per l’appunto data da un giudice alla richiesta del procuratore, e poi convalidata da un altro giudice nel Tribunale della libertà.
Se si commettono tanti errori, non sarà forse anche perché i magistrati che accusano e quelli che decidono, pur in posizioni teoricamente contrapposte nel nostro sistema processuale tanto da averci fatto scrivere in Costituzione che il giudice è «terzo e imparziale» tra accusa e difesa, sono in realtà colleghi nella stessa carriera, partecipano alla vita delle stesse correnti, condividono le stesse sorti mediatiche, e sono valutati ed eventualmente promossi o puniti dallo stesso organo, cioè il Csm? Coppi non avrà mai perso un processo a causa di ciò, ma forse anche a lui sarà capitato di aver vinto un processo per un imputato prima arrestato ingiustamente.
Queste osservazioni hanno un valore particolare a Napoli, dove il procuratore capo Gratteri nel giorno dell’inaugurazione dell’anno giudiziario evitò perfino di recarsi alla celebrazione ufficiale alla quale prese la parola il ministro di giustizia Nordio.
Qui a Napoli, insomma, la polemica è anche più forte che altrove. Ma, allo stesso tempo, anche i dati della relazione del ministero sulla custodia cautelare ci riportano a Napoli. Perché di quei 220 milioni esborsati dall’erario per risarcire cittadini innocenti, ben 78, e cioè il 35%, sono stati versati in Calabria su decisione delle Corti d’appello di Catanzaro e di Reggio. Nota perciò il Foglio: «Una regione che ospita soltanto 1,8 minuti di abitanti ha così assorbito negli ultimi sette anni il 35% dell’intera spesa destinata a risarcire le vittime di ingiusta detenzione. Un record, confermato anche nel 2024: su 26,9 milioni complessivi, 8,8 (cioè il 33%) sono stati versati per risarcire chi è stato incarcerato ingiustamente in Calabria».
Ricordiamo tutti che il procuratore capo di Napoli Nicola Gratteri è stato per l’appunto prima procuratore a Reggio Calabria e poi procuratore capo a Catanzaro dal 2016 al 2023.
E infatti molte assoluzioni e proscioglimenti riguardano proprio alcune maxi inchieste con centinaia di arresti da lui guidate. Tra le più clamorose quella per corruzione e abuso di ufficio contro l’allora presidente della Regione Mario Oliverio, anch’egli poi assolto con tante scuse, visto che il gip parlò di «evidente pregiudizio accusatorio»; ma, nel frattempo, già «condannato» di fatto con la fine della sua carriera politica. Sbaglierò, ma a me pare intuitivo che i procuratori, soprattutto quelli che ricorrono con più facilità alla richiesta di arresto come è quasi inevitabile nelle maxi-inchieste, siano contrari a trovare nel giudice cui si rivolgono l’esponente di una diversa carriera professionale, quindi inevitabilmente più imparziale e meno condizionato dalla forza mediatica del loro «collega», costruita sul numero di arresti. Un argomento di cui tener conto.
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