Doveva essere a Siena il pilastro della risposta scientifica dell’Italia contro il rischio di una nuova pandemia. Secondo il nuovo piano antipandemico 2025-2029, «la Fondazione Biotecnopolo di Siena con la sua articolazione Centro Nazionale Antipandemico ha il compito di sviluppare contromisure mediche quali vaccini, anticorpi monoclonali, farmaci e diagnostici, per contribuire alla preparazione per eventuali emergenze pandemiche».
INVECE, cinque anni dopo l’inizio della crisi Covid-19 e quattro dopo il maxi-stanziamento di 340 milioni di euro per la sua realizzazione, il centro è ancora fermo. Chissà se lo sanno a Bruxelles, dove lo European regions research and innovation network ha scelto il centro di Siena per coordinare lo European anti-pandemic network a cui partecipano Francia, Germania e Belgio, destinando alla Toscana ben 33 milioni di euro.
GLI ULTIMI quattro anni del biotecnopolo sono serviti a scriverne e riscriverne lo statuto e a rivederne la dotazione finanziaria. L’ingente finanziamento, deciso dal governo guidato da Mario Draghi, è stato ridotto del 40% da quello di Giorgia Meloni. In questo periodo ci si è accorti dell’esistenza del Centro soprattutto per le proteste del direttore scientifico del biotecnopolo di Siena, il settantatreenne vaccinologo Rino Rappuoli, che un anno fa aveva minacciato: «Se non parte il centro antipandemie vado via». Sarebbe un evento ferale per la città. Rappuoli da Radicofani, scopritore di vaccini e anticorpi monoclonali, a Siena è un’istituzione importante quasi come il Palio e il Monte dei Paschi. Qui si è laureato e per trent’anni ha diretto il polo di ricerca vaccinale fondato da Sclavo e poi comprato dalle multinazionali Chiron, Novartis e Gsk. Dal 2018 coordina il laboratorio sugli anticorpi monoclonali del consorzio Toscana life science, dal 2020 insegna alla locale università e dall’anno successivo, appunto, dirige il biotecnopolo che dovrebbe dare vita al Centro nazionale antipandemico.
ORA QUALCOSA si muove. Il centro finalmente ha bandito i concorsi per le prime assunzioni, tutte o quasi a tempo determinato. Il 23 gennaio, come «senior scientist» è stato scelto David Markovitz, settantunenne professore dell’università del Michigan e unico candidato. È una star della virologia, ma i requisiti di partecipazione alla selezione richiedevano un’età «non superiore a quella prevista dalle norme vigenti per il collocamento a riposo» e un permesso di soggiorno valido.
Per gestire le risorse umane è stata scelta Maria Giulia Spriano. All’Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa lavorava nello staff del presidente Flaminio Galli e non all’ufficio del personale, anche se il bando richiedeva un’esperienza «di almeno tre anni» in quel settore. Alla comunicazione scientifica Rappuoli, che sedeva nella commissione giudicatrice, ha voluto Catherine Mallia, sua assistente sin dagli anni ‘90. Per la posizione di «senior advisor per lo Sviluppo clinico e affari regolatori» è stato nominato Audino Podda, co-inventore di un brevetto su un vaccino anti-influenzale insieme a Rappuoli, che pure in questo caso era tra i valutatori. Come Markovitz e Spriano, anche Mallia e Podda erano gli unici candidati iscritti.
Vengono dai laboratori senesi di Gsk e Toscana life science – che Rappuoli conosce bene – anche otto dei primi dieci tecnici di laboratorio assunti. Tutto «a chilometro zero», un po’ troppo per una Fondazione che nel suo documento programmatico «si impegna a creare un ambiente di lavoro internazionale e ad assumere i migliori candidati indipendentemente dal loro luogo di residenza».
ADESSO il timore è che il ritardo accumulato sia irrecuperabile. Secondo il piano antipandemico, entro un anno il centro di Siena dovrà entrare nel «Network per la sorveglianza e gestione clinica, la ricerca, la sintesi delle evidenze e l’elaborazione delle indicazioni» insieme ad altri centri di ricerca nazionali e università. Benché non sia finanziato dal Pnrr ma dal Fondo nazionale complementaread a esso collegato, il centro potrebbe perdere un’altra parte dei fondi se alla scadenza del 2026 non avrà fatto tutti i compiti. Per questo l’opposizione alla giunta di centrodestra in Consiglio comunale è in allarme.
Da settembre 2023 a oggi le interrogazioni presentate sono state ben sei. L’ultima, firmata da tutti i gruppi di minoranza risale a gennaio e chiede di fare chiarezza. «C’erano ingenti risorse stanziate dal nostro Stato, oltre trecentoquaranta milioni di euro, già cancellate in parte dal governo di destra e che rischiamo di perdere, perché la loro rendicontazione, legata al Pnrr, scade nel 2026» ha detto il consigliere dem Alessandro Masi.«E intanto non si vede crescere il progetto, né la sua sede, né i laboratori, né le persone occupate dalle sue attività e lavori».
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