Il baluardo delle piccole banche e le soluzioni vincenti delle Bcc

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C’è molto allarmismo sul calo degli sportelli bancari, che addirittura lasciano scoperti di servizi locali molti comuni della nostra regione. Lo scopo del mio intervento è dimostrare che la preoccupazione è mal posta. In primo luogo, perché è tardiva, visto che il problema esiste da tempo nel mondo, in Italia e nelle Marche. Mal comune mezzo gaudio? No, perché la flessione degli sportelli non è di per sé un male, ma è una tendenza fisiologica da tempo in atto e rientra nell’evoluzione generale della nostra epoca. In secondo luogo, è una preoccupazione fuorviante, perché i problemi del sistema bancario della nostra regione sono altri e più gravi. Da non sottovalutare.

Riguardo al primo punto, le nuove tecnologie di informazione e scambio hanno portato a mutamenti nelle strutture di produzione e servizio. Si pensi allo spopolamento dei centri urbani, al decentramento verso i grandi centri commerciali che proliferano a dismisura, alla chiusura dei piccoli negozi commerciali e dei laboratori artigianali, allo sviluppo degli acquisti online e al conseguente mutamento della domanda, che è sempre meno localizzata. In questo ambito più complesso, anche lo sportello bancario diviene meno importante. Fino a tre decenni fa, l’apertura di nuovi sportelli era di rilevanza strategica nella competizione bancaria. La liberalizzazione degli anni Novanta spinse le banche alla gara a presidiare con nuove filiali i centri storici e produttivi. Si è avuto un eccesso di filiali a fronte della progressiva riduzione della domanda di servizi a sportello.

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Se ci limitiamo agli ultimi dieci anni, i dati della Banca d’Italia mostrano un drastico ridimensionamento del sistema bancario italiano. Si sono ridotti gli sportelli del 34%, le banche del 38%, gli addetti del 14%, con una perdita di più di 40 mila posti di lavoro. I comuni serviti si sono ridotti da 5846 a 4651, così ben 3245 comuni italiani, pari al 41%, non sono presidiati da uno sportello bancario. Nel passato la regione Marche si distingueva per il trinomio piccole città, piccole imprese, piccole banche. L’urbanizzazione diffusa ha portato alla bancarizzazione diffusa, soprattutto nel decennio della corsa ad aprire sportelli ovunque. Il grado di bancarizzazione delle Marche, dato dal numero di sportelli su 100 mila abitanti, è stato superiore alla media italiana. E lo è tuttora.

Nel 2013 il dato quotava 73 contro i 53 della media nazionale. Nel 2023 siamo scesi a 43, ma ancora sopra il livello 34 della media italiana. Un altro dato significativo che ridimensiona il problema regionale degli sportelli riguarda i comuni serviti, che sono scesi da 212 nel 2013 a 155 nel 2023, con 66 comuni scoperti, che rappresentano il 30%, ben al di sotto del 41% della media nazionale segnalata sopra. Su questo fronte il danno della perdita di servizi bancari locali è di gran lunga minore da noi che nel resto d’Italia. Le spinte fondamentali di questa evoluzione generale sono state il consolidamento tramite fusioni e acquisizioni e la nuova tecnologia, che ha meccanizzato il lavoro bancario, ridotto i costi di trasmissione ed elaborazione delle informazioni e favorito le operazioni a distanza. Vista così, l’evoluzione ci ha portato i vantaggi di avere meno necessità di entrare in una filiale, evitando costi di spostamento e di attesa in fila in banca.

Nel 2023 più di 4 su 5 bonifici sono fatti online, mentre nel 2013 erano solo 1 su 3 nelle Marche, allora molto al di sotto della media italiana. Meno felice è la situazione se ci poniamo dal lato dei servizi alle imprese, in particolare il credito.

Vengo così al secondo punto citato all’inizio, quello dei problemi più preoccupanti. Il maggiore è la crescente periferizzazione del sistema bancario regionale che va in parallelo con quella del nostro sistema produttivo. I dati sono espliciti. Nel 2009 le banche operanti nella nostra regione erano 74, scese a 67 nel 2013 e a 47 nel 2023, in linea con la tendenza nazionale. Ma ciò che conta è il calo delle banche con sede legale in regione, il cui numero è sceso negli stessi anni da 30 a 27 fino a solo 15 nel 2023. Per tipologia di banca si è passati da 7 a 2 banche popolari e da 20 a 13 banche di credito cooperativo, che in totale gestiscono una quota di 260 sportelli rispetto ai 633 complessivi. Significa che ben 6 sportelli su 10 nelle Marche sono gestiti da banche con centri direzionali esterni alla regione, che certamente portano servizi bancari di alto livello, ma con lo svantaggio non da poco dell’allontanamento dalle specifiche esigenze locali e dell’allungamento dei processi decisionali. I risultati del mio gruppo di ricerca universitario, citati e replicati in molti altri paesi (tra cui Cina, Russia, Europa, fino ad Argentina e Stati Uniti), dimostrano che ovunque le maggiori distanze funzionali dai centri decisionali svantaggiano soprattutto le piccole imprese. In questo la perdita delle due maggiori banche locali, la Popolare di Ancona negli anni Novanta e la Banca delle Marche quindici anni fa, ha rappresentato un grave danno, che segna purtroppo uno dei punti di svolta del declino dello sviluppo marchigiano, con perdita di centralità territoriale e crescente subalternità da processi decisionali esterni.

Uno spiraglio di ottimismo viene dalle 15 piccole banche locali, ancora capaci di trarre capacità competitiva dal radicamento territoriale, come banche delle rispettive comunità di appartenenza. Ben consapevoli che non basta. La soluzione vincente è stata quella di abbinare i vantaggi della vicinanza contestuale con quelli dei servizi offerti dalla partecipazione a un gruppo bancario più grande, come fanno le banche di credito cooperativo. Senza per questo perdere in toto l’autonomia decisionale.

La raccomandazione che rinnovo ogni volta che incontro i dirigenti di banche come il Banco Marchigiano o la Carifermo è di tenere duro, perché sono l’ultimo baluardo a difesa della capacità di gestire da protagonisti il nostro sviluppo. Raccomandazione che vale per i tanti ottimi piccoli imprenditori, continuamente lusingati da proposte di acquisizione delle loro imprese da parte di società finanziarie, anche internazionali. Purtroppo diversi hanno ceduto a fronte di lauti compensi, che testimoniano il valore delle aziende che hanno creato.

* Professore emerito di Politica economica Facoltà di Economia “Giorgio Fuà” Università Politecnica delle Marche

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