Architetta tra Svizzera e Uk: “Volevo essere presa sul serio. Il dottorato è come un lavoro e ho benefit che i privati non hanno”

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Quando ha lasciato l’Italia, Michela Bonomo aveva 19 anni e il sogno di diventare un’architetta. Voleva costruire case e la sua l’ha progettata fuori dall’Italia. È partita dopo avere studiato un anno al Politecnico di Milano, la città in cui è cresciuta. “Non mi trovavo male, ma le aule erano molto affollate nonostante le selezioni all’ingresso – racconta a ilfattoquotidiano.it -, ero affascinata dalle università straniere e amavo l’inglese, così ho comprato un biglietto di sola andata”. Da allora sono trascorsi 16 anni, vissuti tra il Regno Unito e la Svizzera, dove ora Bonomo, 35 anni, frequenta l’ultimo anno di dottorato. “Non c’è un unico motivo per cui ho lasciato l’Italia – spiega -, mi sono decisa per insofferenza, desiderio di indipendenza, e voglia di essere presa sul serio come donna sul lavoro nel mio settore, ancora dominato da uomini”. La destinazione dei sogni era Londra. Bonomo ci ha vissuto dal 2009 al 2022, scegliendola come sua seconda patria e ottenendo la naturalizzazione. I primi passi non sono stati semplici, ha chiesto un prestito d’onore per pagare le tasse universitarie e lavorato mentre frequentava l’Università.

“Ero comunque privilegiata – precisa – grazie al sostegno dei miei genitori potevo permettermi ad esempio di non lavorare nelle fasi più intense, quelle in prossimità degli esami”. Nei due anni di master lavorava all’interno dell’università, circa 10-15 ore alla settimana, una possibilità offerta agli studenti in molti atenei internazionali. La ricompensa è arrivata quasi subito, con un contratto dopo l’altro in grossi studi di architettura, dove ha lavorato senza soluzione di continuità fino al 2022.

“Nel Regno Unito, come dappertutto, gli architetti rimangono tanto tempo alla scrivania, anche più di 12 ore al giorno, ma tutti con un inquadramento da dipendenti”, racconta. Il minimo salariale è stabilito da un contratto collettivo nazionale, che in Italia non viene quasi mai applicato perché, come dimostrava nel 2022 un’indagine del The architects’ council of Europe (Ace) la maggior parte degli architetti lavora come libero professionista (il 44% sui 151mila architetti del Paese). “In Inghilterra si è retribuiti già dopo la triennale – racconta -, e a seconda dei livelli di specializzazione si sale nel salario”.

Gli straordinari non retribuiti fanno parte del lavoro anche in Uk, spiega Bonomo, ma nelle settimane più intense alcune aziende offrono benefit al posto delle ore in più, taxi per tornare a casa la sera tardi oppure le ore extra vengono rimborsate come giorni di riposo. “C’è ancora molto da fare, queste piccole soluzioni non risolvono il problema dello sfruttamento della categoria, su cui c’è tanto lavoro ancora da fare, ma danno una dignità ai professionisti”. Da tre anni la vita di Michela si è spostata in Svizzera, dove vive insieme al compagno mentre frequenta un dottorato all’Università di Losanna, città in cui ha da poco intrapreso un percorso di ricerca scientifica che intende abbinare in futuro al lavoro come architetta.

“Qui il dottorato è equiparato a un lavoro, sono assunta da una Università pubblica federale con un inquadramento paragonabile al contratto di un dipendente statale, e ho una serie di benefit che molti architetti che operano nel privato non hanno”. In effetti c’è stato un momento, dopo la laurea triennale in cui ha provato a tornare in Italia, ma è durato appena quattro mesi. “Mi offrivano solo stage non retribuiti, così ho deciso di rimanere all’estero”, racconta. Il rientro a Milano per ora non è in programma ma è proprio la sua tesi dottorale a portarla ogni giorno a casa. “Lavoro alle ville di vacanza costruite al mare in Italia nel secondo dopoguerra”, racconta. Il suo progetto si intitola “Piaceri colpevoli: il progetto della ‘Villamania’ balneare nell’Italia del dopoguerra” e analizza le costruzioni in Italia dall’inizio del boom economico alla crisi petrolifera del 1973. “L’idea è nata dal mio lavoro in Inghilterra, dove mi è capitato di progettare ville urbane di lusso, ora cerco di osservare con occhi diversi la storia di edifici famosi italiani, dal punto di vista del consumo di suolo e della speculazione costiera”, racconta. Sei quelle esaminate nel suo lavoro di ricerca, tra cui Villa La Saracena a Santa Marinella, nel Lazio, e villa Balmain all’Isola d’Elba: tutte costruite fuori dal centro urbano e in prossimità della costa. “Per queste ricerche viaggio spesso in Italia a visitare le strutture e consultare gli archivi”. È solo così che per il momento le linee parallele della sua vita si sono incontrate.

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