Raggiunto un accordo storico per finanziare la biodiversità, con l’impegno di mobilitare 200 miliardi di dollari entro il 2030. Lanciato il «Fondo Cali» che raccoglie contributi dalle aziende che traggono profitto dai dati genetici, favorendo una redistribuzione equa dei benefici e dei profitti
A quattro mesi dalla sospensione dei lavori in Colombia, sono riprese a Roma le trattative della Cop16, con l’obiettivo di superare lo stallo Nord-Sud sui finanziamenti destinati alla lotta alla distruzione della biodiversità entro il 2030. Definita nel suo discorso di apertura dalla presidente della Cop16 Susana Muhamad «la più importante missione dell’umanità nel XXI secolo». La tre giorni di lavori ha portato a tracciare la strada da seguire per istituire un sistema efficace per mobilitare fondi per la Natura. Se da un lato gli stati hanno fatto un passo nella giusta direzione, l’accordo raggiunto – però – non basta: «È preoccupante che i Paesi sviluppati non siano ancora sulla buona strada per onorare il loro impegno di mobilitare 20 miliardi di dollari entro il 2025 a favore dei Paesi in via di sviluppo. Investire nella Natura è essenziale per il futuro dell’umanità», denuncia Efraim Gomez, Global Policy Director del Wwf internazionale. I negoziati hanno visto anche l’approvazione di una strategia per mobilitare risorse dal 2025 al 2030 per l’attuazione del Quadro Globale per la Biodiversità, richiamato l’importanza di avviare un dialogo internazionale tra i ministri dell’Ambiente e delle Finanze dei Paesi, e adottato un processo per la Global Review della Cop17 in Armenia. «In un contesto internazionale molto complicato, servono coraggio e leadership per portare avanti l’agenda diplomatica per la tutela della natura. Dopo la scarsa attenzione mostrata per la Cop16 ospitata dal nostro Paese, auspichiamo che il Governo si unisca con maggiore convinzione e forza alla necessità di aumentare le risorse finanziarie per la biodiversità ed eliminare i sussidi dannosi per l’ambiente», conclude Bernardo Tarantino, specialista Affari Europei e internazionali del Wwf Italia.
IL FONDO CALI
L’obiettivo più emblematico è quello di destinare il 30% delle terre e dei
mari a aree protette (rispetto al 17% e all’8% attuali, secondo le Nazioni
Unite). Per finanziare questa strategia, i Paesi devono aumentare la spesa per
la protezione della natura a 200 miliardi di dollari all’anno entro il 2030, di
cui 30 miliardi di dollari devono essere forniti dai Paesi sviluppati ai paesi
poveri (rispetto a circa 15 miliardi di dollari nel 2022). Tra i risultati più importanti raggiunti a Roma c’è la creazione del Fondo Cali, istituito in Colombia, che punta a mobilitare risorse finanziarie cruciali dalle aziende private che utilizzano dati genetici sequenziati digitalmente. Anche se deve ancora ricevere contributi, il fondo rappresenta una vittoria significativa per le popolazioni indigene e le comunità locali, che dovrebbero ricevere il 50% dei suoi finanziamenti dedicati a sostenere le azioni locali per la biodiversità. Il Cali Fund, come ha detto l’Unep, l’organismo ambientale dell’Onu, è qualcosa che promette di cambiare le carte in tavola, garantendo una «giusta ed equa» distribuzione dei benefici derivanti da quelle che vengono chiamate le Dsi, le Digital Sequence Information sulle risorse genetiche che usano le aziende e che vanno dalla farmaceutica sino alla cosmesi. L’alimentazione del fondo resta – è bene ricordarlo – su base volontaria e al momento nessuna grande azienda ha ancora confermato il proprio impegno.
«TRASFORMARE LE DECISIONI IN FINANZIAMENTI CONCRETI»
A commentare la bontà della roadmap raggiunta nella tre giorni romana anche Greenpeace. «Questo accordo aiuta a mantenere la fiducia sulla possibilità di colmare il divario tra le promesse fatte e i finanziamenti da stanziare per proteggere la natura, ma adesso serve mettere i soldi sul tavolo», dichiara An Lambrechts, responsabile della delegazione dell’associazione alla Cop16, chiarendo l’importanza di «garantire rapidamente 20 miliardi di dollari all’anno di finanziamenti pubblici a partire dal 2025 e contributi concreti al Fondo di Cali da parte delle grandi aziende farmaceutiche e agroindustriali che traggono profitto dalla natura, pari almeno all’1% dei loro ricavi». È fondamentale – ora – che i Paesi del Nord rispettino i loro impegni e «trasformino le decisioni di questi giorni in finanziamenti concreti per proteggere la biodiversità», evidenzia Martina Borghi, responsabile della campagna Foreste di Greenpeace Italia.
Se da un lato è positiva la conferma a mobilitare a favore della biodiversità almeno 200 miliardi di dollari all’anno entro il 2030, anche se le modalità con cui avverrà la gestione dei finanziamenti saranno determinate solo nel 2028, il negoziato di Roma «è un accordo in chiaroscuro, con qualche significativo passo avanti ma ancora con molte incertezze evidenziate dal fatto che molte delle risoluzioni appaiono solo come buone intenzioni già evidenziate dalle precedenti Cop, senza ulteriori fatti concreti», aggiunge
Stefano Raimondi, responsabile biodiversità di Legambiente. Oltre a quello finanziario, l’altro punto nodale della discussione ricorda Legambiente è stato quello del monitoraggio per misurare il raggiungimento degli obiettivi delle misure attuate e da attuare per la biodiversità, e quindi misurare i progressi compiuti, ricorda Raimondi riferendosi al pacchetto di indicatori per misurare tutti i 23 obiettivi in cui si articola il Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework (GBF).
IL FOCUS SULLA BIODIVERSITA’ MARINA
A porre l’attenzione sulla biodiversità marina è poi Marevivo, chiarendo come nel merito delle decisioni prese il risultato è ancora troppo vago: «Il ritmo di perdita della biodiversità marina è altissimo, anche se lo misuriamo solo sulle specie già note: forse non è chiaro né ai governi, né al settore privato, ma si calcola che un milione di specie marine e terrestri sia complessivamente a rischio di sopravvivenza. E questo non è solo un argomento che interessa gli appassionati di natura: senza la biodiversità, così come noi la conosciamo, sono a rischio l’alimentazione e l’equilibrio climatico mondiale. Chiediamo ai governi, e prima di tutti a quello italiano, di impegnarsi perché i 200 miliardi di dollari l’anno non siano solo una cifra scritta sulla carta e soprattutto che vengano spesi in favore di natura», tuona Rosalba Giugni, presidente della Fondazione Marevivo.
VERSO LA COP30
Gli occhi sono ora puntati sulla Cop30, che si terrà in Amazzonia nel novembre 2025: un’opportunità unica per portare la Traditional Ecological Knowledge (TEK) dell’Amazzonia in prima linea nelle discussioni globali sulla resilienza climatica, richiamare l’urgenza di trasformare i sistemi energetici, alimentari e finanziari e la conservazione della natura.
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