Il turismo in Umbria: verità oltre i “luoghi comuni”

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Che il turismo sia un “motore” della crescita della regione è senza dubbio una verità. Ma quanto pesa questo “motore”? E come sta andando questo “motore”? Alcuni giorni fa, la Camera di Commercio dell’Umbria ci ha detto, in un convegno, alcune cose importanti. La filiera del turismo-cultura pesa, in termini di valore aggiunto sull’economia regionale, nel 2024, per il 6,7% del valore aggiunto esprimendo il 7,8% degli addetti. Per fare un paio di esempi, la filiera delle costruzioni copre, in Umbria, circa il 15% del valore aggiunto e il 17% degli addetti mentre quella alimentare ha lo stesso peso del turismo, ma con una maggiore occupazione. Complessivamente, l’industria manifatturiera (escluse costruzioni e energia) copre il 32% del valore aggiunto complessivo regionale. Insomma, quando va bene il turismo, ma va male l’industria, l’economia regionale rallenta e soffre. E quindi, di solo turismo non si cammina ! Inoltre, sempre la stessa Camera di Commercio ci dice che, nel 2024, il saldo tra imprese nate e cessate vede al primo posto (con + 168 imprese), tra tutte quelle possibili, l’attività economica degli affittacamere per brevi soggiorni (bed & breakfast e simili). Come dire, l’Umbria sta diventando una regione dalla recettività diffusa, fondata su patrimoni immobiliari ereditati dalle famiglie ma oggi privi di valore, se non con queste destinazioni. E sappiamo bene che tale formula ricettiva non genera occupati, non genera profitti propri di una attività imprenditoriale ma più propriamente rendita economica e costituisce una fonte di concorrenza, qualche volta sleale, rispetto ad alberghi e hotel che, invece, producono ricchezza economica e occupazione. E, infine, nelle città universitarie come Perugia, il decollo degli affittacamere riduce anche le opportunità per trovare disponibilità di alloggi da parte degli studenti. Ma, mentre crescono di affittacamere, con queste distorsioni economiche su altri settori, la Camera di Commercio ci dice, ancora, che invece si contraggono le attività economiche connesse ai bar e simili (- 130 imprese) e al commercio al dettaglio non alimentare (- 100 imprese). Come dire, chi viene in Umbria e pensa di trovare una “bellezza” dei nostri centri storici, fatta anche di un commercio minore di prossimità che vende prodotti di qualità identitari del territorio, purtroppo rischia di restare deluso. Ancora, siamo tra le regioni con la più bassa permanenza media, pari a 2,41 giorni, e con un limitato tasso di internazionalizzazione dei flussi (gli stranieri sono solo il 12% degli arrivi complessivi, ovvero l’88% sono italiani). Giusto nelle Marche, con le quali spesso ci confrontiamo, gli stranieri sono il 18% mentre il dato della Toscana è meglio non riportarlo per non restare umiliati. C’è insomma un turismo “mordi e fuggi”, fondamentalmente di italiani, che alimenta la crescita degli affitta camere ma che trova sempre meno attrattività commerciale nei nostri centri storici e nei nostri borghi per la rarefazione dell’offerta di servizi. E tutto questo impatta sulla soddisfazione dei turisti stessi. Abbiamo, dunque, da “ricostruire” una politica regionale (e anche internazionale) per il turismo. Con molti soldi pubblici abbiamo finanziato, negli ultimi anni, la crescita della ricettività nella nostra regione, ampliando i servizi e i posti letto, ma il turismo è cresciuto meno, contribuendo a generare nuove fonti di inefficienza nelle strutture alberghiere e extra-alberghiere (la bassa permanenza media tra l’altro accresce questo problema). Abbiamo sussidiato con denaro pubblico (giustamente) l’aeroporto di Perugia, ma gli arrivi internazionali di turisti appaiono limitati e marginali (e certe rotte che sono state attivate con l’estero, come con l’Albania o Malta o la Romania, non sono certo servite a portare turisti di qualità).  Abbiamo finanziato con denaro pubblico molte manifestazioni culturali, alcune di dubbia qualità (come Perugia 1416), ma che hanno avuto un impatto nullo o irrisorio in termini di ricaduta economica del turismo. Abbiamo promosso un turismo esperenziale fatto di ippovie o di ciclovie, ma ancora stiamo aspettando di vedere tali opere in modo funzionale. Stiamo sperando che il Giubileo o le future celebrazioni francescane portino masse di turisti in Umbria, ma ancora non abbiamo un piano voli per portare cattolici nella nostra regione da paesi come la Polonia, la Spagna o l’America latina (via Madrid). Continuiamo ad andare ad alcune manifestazioni e fiere del turismo, ma ancora non abbiamo modernizzato il nostro modo di comunicare le nostre identità ai turisti stranieri (che ormai scelgono le loro mete sulla base delle informazioni presenti sul mondo della rete e non sui banchi di uno stand, anche quando ci sono operatori turistici sempre più disintermediati rispetto alle scelte degli individui-consumatori). L’esempio grottesco di una influenzer campana che ha richiamato, poche settimane fa, migliaia di turisti a Roccarasoè un esempio emblematico di come cambia il modo di comunicare le mete turistiche. Oggi, con il nuovo governo regionale, si può fare decisamente meglio e di più. Intanto, si tratta di mettere a punto un’analisi, con le nuove tecnologie informatiche, di tracciamento dei nostri turisti (sia in termini di itinerari, grazie alla rilevazione tramite mobile, che di capacità di spesa, grazie ai dispositivi di pagamento elettronico).Valutare l’impatto di eventi o cercare di strutture itinerari turistici diviene decisamente più agevole e funzionale. Poi, occorre una legge regionale che metta al centro il tema della ricettività, limitando l’espansione degli affittacamere, dell’attrattività (valutando davvero ciò che è attrattivo per i turisti rispetto a ciò che non lo è) e, infine, la raggiungibilità, ossia la possibilità di arrivare rapidamente in Umbria e, da questo punto di vista, aeroporto e trasporto ferroviario non possono costituire fonti di limitazione.



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