Marco Mizzau: le prospettive per l’Europa e il ruolo del Private Equity come abilitatore di crescita dell’indice di produzione industriale in Italia. Ecco perché sono ottimista.

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Marco Mizzau, dirigente d’azienda ed advisor finanziario nella sua carriera ha ricoperto importanti incarichi in Società pubbliche e Holding private. 

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Marco Mizzau: Fintech, PMI ed Europa nel 2025 con l’auspicio di un ruolo proattivo dell’Italia per la crescita economica.

Winston Churchill, ex ufficiale dell’esercito, corrispondente di guerra e Primo ministro britannico (1940-45 e 1951-55), è stato uno dei primi ad invocare la creazione degli “Stati Uniti d’Europa”. A seguito della Seconda Guerra Mondiale si convinse che solo un’Europa unita potesse garantire la pace. 

Nel famoso “discorso alla gioventù accademica” tenuto all’Università di Zurigo nel 1946, Churchill formulò le conclusioni che aveva tratto dalla lezione della storia: “Esiste un rimedio che… in pochi anni renderebbe tutta l’Europa… libera e … felice. Esso consiste nella ricostruzione della famiglia dei popoli europei, o in quanto più di essa riusciamo a ricostruire, e nel dotarla di una struttura che le permetta di vivere in pace, in sicurezza ed in libertà. Dobbiamo costruire una sorta di Stati Uniti d’Europa.”

Dialogando durante le festività natalizie con alcuni founders europei nella Silicon Valley emerge la volontà di “farcela” lì, di imparare dai migliori, ma alla fine anche quella di ritornare in Europa. 

In Europa le città sono state costruite per le persone e non solo per le auto. Muoversi a piedi o in bicicletta è la norma e puoi davvero fidarti della qualità del cibo. Non c’è (almeno per il momento) un contrasto stridente tra estrema ricchezza e povertà oltre alla consapevolezza di avere un sistema sociale che ti sostiene quando cadi e relazioni non solo basate e nate grazie alla connessione wi-fi.

Sì, l’Europa non è sicuramente perfetta. Abbiamo i nostri problemi. Siamo sicuramente molto avversi al rischio, e troppo bloccati nelle nostre zone di comfort. 

Ma abbiamo delle basi solide che altri Paesi sognano:

  • Eccezionale qualità della vita
  • Infrastrutture robuste
  • Forte tessuto sociale
  • Profondità culturale

Il rapporto sulla competitività dell’Unione europea, presentato da Mario Draghi il 9 settembre scorso, è articolato in due documenti che esplorano le principali sfide che l’Unione europea dovrà affrontare nei prossimi anni per mantenere e rafforzare la sua posizione competitiva a livello globale.

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In un contesto caratterizzato da rapide trasformazioni tecnologiche, dalla transizione verso l’energia pulita e dalla crescente competizione economica con altre potenze, come Stati Uniti e Cina, il rapporto fornisce una visione strategica e proposte concrete per promuovere l’innovazione, sostenere l’industria europea e garantire la sicurezza economica e industriale del continente.

Tra i temi centrali, emergono la necessità di rafforzare le infrastrutture tecnologiche, incentivare la decarbonizzazione, migliorare l’accesso alle materie prime critiche ed accelerare la digitalizzazione.

A mio avviso queste proposte devono essere combinate con:

  • un mindset più audace ed imprenditoriale;
  • un avvicinamento delle imprese alla ricerca;
  • una spinta all’innovazione “focalizzata” (3-4 ecosistemi densi e potenti dove talento, capitale e ambizione si incontrano – non 100 mediocri);
  •  una governance semplificata (meno burocrazia e regolamentazione intelligente);
  • un maggiore orientamento al business to business, più che a business to consumers.

Non abbiamo bisogno di abbandonare l’Europa per costruire grandi cose. Abbiamo bisogno di costruire grandi cose per rendere l’Europa ancora più grande.

L’Unione europea nelle sue attuali dimensioni non è ancora capace di svilupparsi in una entità politica unificata, sono necessari nuovi modelli di integrazione al fine di perseguire questo obiettivo. Creare questa struttura veramente sinergica risponderà a tre obiettivi: 

  1. primo, renderà l’Europa capace di azione politica comune; 
  2. secondo, permetterà alle imprese di perseguire progetti di crescita industriale 
  3. terzo, i cittadini europei perderanno vedranno che l’Europa può davvero dare risposte a quelle che essi considerano come minacce, in particolare la perdita di posti di lavoro, la riduzione della sicurezza sociale e il crimine organizzato. 

In tale scenario ne deriverebbe sicuramente un vantaggio per l’Italia che l’Economist ha spesso definito “il malato d’Europa” in relazione alla crescita economica stagnante ed all’alto debito pubblico.

PMI in Italia: il motore dell’economia tra crescita, innovazione e internazionalizzazione

Per uscire dalle grandi crisi l’obiettivo fondamentale da perseguire è sempre stato quello di concentrarsi sul fare di tutto per aumentare l’indice della produzione industriale attraverso una ricetta che prevedesse di “spingere” il più possibile sull’innovazione tecnologica e sulla crescita della produttività del lavoro.

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Secondo gli ultimi dati ISTAT, la produzione industriale nel nostro Paese ha registrato, a dicembre 2024, il dato peggiore dalla crisi del 2008-2009, esclusi gli anni dell’emergenza pandemica.

Se prendiamo le ultime tre grandi crisi globali emerge una riflessione poco rassicurante. 

  • La guerra dello Yom Kippur del 1973 fu la più grande guerra combattuta in Medioriente fino a quella del Golfo e portò alla crisi petrolifera del 1974. Qui l’indice di produzione perse circa il 32% e ci vollero otto anni circa (1973-1981) per uscirne, attuando una politica vigorosa incentrata su innovazione e produttività del lavoro.
  • La crisi finanziaria Lehman Brothers del 2008 comportò una perdita dell’indice di produzione industriale del 31% e ci vollero altri otto anni (2008-2016) per invertire la rotta attraverso la stessa ricetta. 
  • La pandemia Covid del 2020 ha comportato in un solo anno un abbattimento dell’indice di produzione industriale di circa il 52%. Questo ci fa presumere che, con una seria politica orientata all’innovazione tecnologica ed alla crescita della produttività del lavoro, ci vorranno almeno otto anni, se non di più, per assistere ad una ripresa. 

Ciò vuol dire che per almeno 4-5 anni, ovvero negli anni che stiamo vivendo dal 2020, navigheremo in acque molto complicate; ricordiamoci che l’Italia, già nel 2019, era ancora 3 punti percentuali sotto i livelli pre-crisi del 2008. 

Questo scenario porta inevitabilmente al centro le PMI italiane virtuose che, per numero, fatturato e impiego di forza lavoro, rappresentano la struttura portante e vitale dell’intero sistema produttivo nazionale.

Sempre secondo i dati ISTAT le PMI costituiscono circa il 99,9% del totale delle imprese italiane (4,2 milioni su un totale di 4,3 milioni). Di queste, la maggioranza (circa 95% del totale) è costituita da microimprese (con meno di 10 dipendenti) e piccole imprese (con meno di 50 dipendenti).

Gli occupati nelle PMI sono circa il 76,5% del totale ed assicurano quasi il 65% del valore aggiunto al costo dei fattori (64,4%). 

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In Europa, l’Italia ha un numero di imprese inferiore solo alla Francia; considerando solo quelle con almeno 10 dipendenti, ovvero escludendo le micro, il nostro Paese è invece secondo solo alla Germania, che registra però una percentuale di PMI sul totale molto superiore a quella italiana.

Non siamo tra le sette nazioni più grandi al mondo per popolazione né estensione geografica, ma siamo parte del G7, ovvero delle sette più importanti economie del pianeta. E lo siamo grazie alla struttura manifatturiera e, fatto ancora più importante, alla capacità di esportare tutto quello che ideiamo e facciamo in Italia. Non ci sono solo le tre famose “effe” (fashion, furniture e food, ovvero moda, arredo e agroalimentare), ma tantissime altre filiere di eccellenza, dalla meccanica alla cosmetica, passando per l’aerospazio e la farmaceutica. Settori e filiere conosciute per grandi aziende e gruppi, ma che si reggono sulla spina dorsale fatta dalle PMI.

Un approccio “industriale”, abilitato dal Private Equity, e caratterizzato da investimenti, innovazione e internazionalizzazione è sicuramente la ricetta giusta per la ripresa, e l’adozione delle nuove tecnologie come l’IA potrà costituire l’opportunità per far evolvere i modelli di business andando oltre le semplici ottimizzazioni dei processi.

Su 7 mila imprese con un fatturato annuo compreso tra i 20 e i 250 milioni di euro, nel 2024 sono state circa 448 in Italia le aziende “virtuose”, ovvero imprese con tassi di crescita, redditività e solidità decisamente superiori.

Questo perché sono 3 i driver principali cui i fondi di private equity guardano per decidere se investire per favorire il “salto industriale”:

  • una storia recente di forte crescita dell’azienda, sintetizzata da un aumento medio annuo composto dei ricavi di almeno il 10% nell’ultimo quinquennio;
  • un elevato EBITDA, in questo caso approssimato dal rapporto tra margine operativo lordo e fatturato, almeno superiore al 10%;
  • una forte capacità di generare cassa, per cui si è scelto di considerare un rapporto tra cashflow e fatturato superiore al 10% secondo l’ultimo bilancio disponibile.

Tuttavia, una considerazione è d’obbligo ed opportuna: ci sono Fondi di Private Equity che sono interessati a costruire piattaforme industriali/digitali virtuose e che – avendo già inglobato altre aziende paneuropee con clienti / punti vendita consolidati – sono disposti a considerare imprese italiane con un fatturato limitato ma con un alto potenziale embedded. 

A proposito di piattaforme gli ambiti più attraenti per il 2025 potrebbero essere:

Conto e carta

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  • Tech
  • Software development
  • Sanità
  • Edtech
  • Industrial Machinery Manufacturing
  • Consulenza aziendale 
  • Additive manufacturing
  • AI
  • Fashion
  • Al primo posto il Fintech, soprattutto Digital Payments

Fintech: la rivoluzione del sistema finanziario, più efficiente e migliorato

Al 2030 la maggior parte dei consumatori saranno Millenials e Generazione Z, i primi i più benestanti, i secondi i più numerosi. Queste due tipologie di customer sono persone che oggi vanno in banca in media una volta l’anno e per lo più frequentano una banca digitale.

Bill Gates nel 1994, dichiarava: “The world needs banking not banks”. Il mondo ha bisogno di servizi bancari, non di banche. Oggi, dopo vent’anni, questa previsione si stia avverando. La finanza è ormai alla portata di uno smartphone. Oggi è “l’era del fintech”. Una contrazione di “financial technology”, ovvero una fusione tra “financial services” e “information technology”. Una tecnologia che migliora e automatizza i servizi finanziari.

Il fintech ha rivoluzionato il sistema finanziario offrendo servizi più rapidi, efficienti e migliorati in termini di customer experience.

Le startup fintech condividono due elementi predominanti: l’utilizzo della tecnologia per risolvere problemi finanziari e l’obiettivo di interrompere gli attori tradizionali nel settore.  

L’innovazione ha portato all’elaborazione di nuovi business model, alla disintermediazione e ad una maggiore specializzazione. 

Questo ambito copre ogni settore dell’industria dei servizi finanziari: da quello dei pagamenti a quello assicurativo, da quello dei capitali a quello immobiliare. 

Sull’onda delle valute digitali, il numero di società fintech sta aumentando in modo dirompente.

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Le iniziative di instant payment, quelle di Buy Now Pay Later (BNPL), i mobile wallet, i trasferimenti di denaro peer to peer, tutte le disintermediazioni delle transazioni, criptovalute, chatbot, robo-advisor, ecc. sono tutti esempi concreti. 

Mentre ci avviciniamo al 2025, l’industria fintech sta evolvendo rapidamente, alimentata da nuove tendenze, progressi tecnologici e cambiamenti nel comportamento dei consumatori. Il report “State of Fintech 2025” ha messo in luce diversi sviluppi che cambieranno le regole del gioco e che influenzeranno i settori dei servizi finanziari, delle criptovalute e della gestione patrimoniale. 

Adozione dell’intelligenza artificiale e dell’automazione avanzata

 La crescente integrazione dell’IA in tutti i segmenti fintech migliorerà l’efficienza operativa, ridurrà i costi e consentirà una personalizzazione più precisa dei servizi finanziari.  Questo farà sì che le aziende che non adotteranno rapidamente queste tecnologie rischieranno di rimanere indietro rispetto ai concorrenti più innovativi.

L’evoluzione delle criptovalute e delle tecnologie blockchain

Le criptovalute continueranno a maturare, con l’adozione istituzionale in aumento e nuove soluzioni blockchain che verranno implementate per migliorare la sicurezza e la trasparenza nelle transazioni. I regolatori dovranno sicuramente adeguarsi per bilanciare l’innovazione con la necessità di proteggere gli investitori, mentre le imprese fintech dovranno navigare in questo ambiente in evoluzione.

Finanza decentralizzata (DeFi) in espansione

La crescita della DeFi creerà nuove opportunità di investimento, sfidando i modelli finanziari tradizionali. Le banche e le istituzioni finanziarie tradizionali dovranno affrontare una crescente concorrenza da parte delle piattaforme DeFi, costringendole a rivalutare i propri servizi e modelli di business.

Esperienza utente omnicanale

I consumatori continueranno a richiedere esperienze fluide su tutti i canali digitali e fisici. Le fintech dovranno rispondere offrendo soluzioni che integrino perfettamente l’online e l’offline. Le aziende dovranno investire in tecnologie che migliorano l’esperienza cliente su più piattaforme e dispositivi per mantenere la fidelizzazione. L’uso di big data e analytics sarà essenziale per comprendere i comportamenti dei consumatori e offrire soluzioni finanziarie su misura.

Le fintech dovranno sviluppare capacità avanzate di analisi dei dati per personalizzare i loro servizi e ottenere un vantaggio competitivo.

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Questi sviluppi plasmeranno il panorama fintech nei prossimi anni, spingendo le aziende a innovare per restare competitive e rispondere alle aspettative dei consumatori in rapida evoluzione.

La situazione negli Stati Uniti

Nonostante la loro quota nell’economia totale, le banche USA hanno effettuato meno dell’1% di tutte le acquisizioni fintech tra il 2013 e il 2023.  Nel gruppo delle prime 50 banche statunitensi e delle prime 15 banche canadesi e internazionali analizzate (conosciute come “Top Banks”), sono state completate solo 94 acquisizioni fintech negli ultimi 10 anni.

Le acquisizioni banche-fintech sono di piccole dimensioni.

Solo il 13% delle 94 transazioni ha superato i 300 milioni di dollari, una cifra indicata dagli esperti come linea di demarcazione tra grandi e piccole acquisizioni fintech. La maggior parte delle operazioni è stata focalizzata su capacità integrative più semplici da incorporare nelle banche e meno difficili da chiudere se i soliti problemi di integrazione e operatività dovessero intervenire.

Il successo a lungo termine delle acquisizioni fintech è difficile

I valori, gli incentivi e le culture sono spesso troppo dissimili tra banche e fintech. Esempi vanno dall’approccio normativo al modello operativo, e possono portare a chiusure di prodotti, abbandono di talenti e svalutazione degli asset. Sospettiamo che ciò scoraggi ulteriori acquisizioni, nonostante il potenziale per sinergie.

La situazione in Europa

Nel 2023, i finanziamenti per il fintech europeo erano scesi da 24 miliardi di dollari l’anno precedente a 8,4 miliardi di dollari, con un calo del 65% del finanziamento totale per il settore

Tuttavia, nel 2024, la fintech ha mostrato una costante ripresa. La maggior parte delle neobanche più conosciute in Europa sono ora redditizie, Revolut (forse la banca challenger più riconosciuta in Europa e, se considerata una banca effettiva, l’undicesima banca europea più grande) ha finalmente ottenuto la sua tanto attesa licenza bancaria, e le criptovalute hanno fatto ritorno sulla scena. 

La visione di Revolut è quella di creare un’economia globale senza confini, eliminando le barriere finanziarie e consentendo alle persone di commerciare, investire e fare affari in modo agevole e conveniente in qualsiasi parte del mondo.  L’azienda si è posta come obiettivo quello di essere presente in ogni paese e di fornire conti globali, promuovendo una visione di accesso finanziario senza restrizioni geografiche o burocratiche. L’unico modo per farlo è non concentrarsi su un singolo prodotto, ma costruire una piattaforma integrata con una vasta gamma di prodotti diventando una sorta di “super app” che permette agli utenti di gestire diverse esigenze finanziarie in un unico luogo. 

A fine 2024, il colosso svedese del “buy now pay later” Klarna ha finalmente confermato i suoi piani di quotarsi in borsa l’anno prossimo.

Anche i finanziamenti per il settore stanno lentamente riprendendo. Le startup fintech hanno raccolto 8,8 miliardi di dollari dagli investitori nel 2024, con un aumento di 400 milioni di dollari rispetto all’anno precedente. 

Il mercato fintech in Europa dovrebbe raggiungere un valore di 447,6 miliardi di dollari entro il 2032, rispetto ai 78,97 miliardi di dollari del 2024, con una crescita a un tasso annuo composto (CAGR) del 24,22% durante il periodo di previsione.

Mentre le grandi piattaforme attendono con impazienza la piena apertura dei mercati delle IPO, le attività di fascia media stimoleranno un aumento dei volumi di M&A nella maggior parte dei sottosettori del fintech.

Un ritorno a “tutto è fintech”

In Italia il settore della tecnologia finanziaria ha un potenziale di attrazione largamente superiore ad 1 miliardo di euro di investimenti per il prossimo biennio, destinati all’acquisto di tecnologie innovative per la crescita. Nel biennio 2023-2024, gli investimenti ammontavano a circa 600 milioni di euro. Inoltre, sono previsti ulteriori investimenti di 380 milioni di euro a partire dal 2025, fino al completamento dei progetti.

Questo aumento degli investimenti si riflette nell’avanzamento e nell’adozione di tecnologie chiave che stanno plasmando il panorama fintech. Tra queste, spiccano le piattaforme web-mobile, che hanno attratto il 20,5% degli investimenti, seguite da vicino dall’intelligenza artificiale (IA), che ha catturato il 16,5%, e dalle Application Programming Interfaces (API), che hanno ottenuto il 14,9%.

Concentrandosi sulle principali aree di business, l’intermediazione finanziaria emerge come il settore più finanziato, assorbendo il 43,7% del totale degli investimenti. I pagamenti non sono molto distanti, con il 39,4% degli investimenti, evidenziando l’importanza crescente di queste due aree nel contesto fintech.

Nel mondo dei pagamenti, i Pagamenti Istantanei e l’integrazione nei portafogli digitali rappresentano a mio avviso le principali tendenze, riflettendo un cambiamento verso transazioni più rapide e integrate. 

Tra i cluster Fintech a più alto potenziale di crescita ci sono sicuramente i servizi finanziari dedicati alle Pmi ed i Digital Payments in Italia. I metodi di pagamento innovativi hanno infatti visto un fortissimo sviluppo nel mercato consumer grazie al sempre più diffuso ricorso all’e-commerce che passerà da un valore di 47 miliardi di dollari nel 2021 a 85 miliardi nel 2025; questo segmento (pagamenti tramite smartphone o wearable sia online che in negozio) ha visto una crescita nell’ultimo anno del 107%. Non a caso due unicorni Fintech italiani rientrano proprio in questa categoria.

Articolo a cura di Marco Mizzau



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