Chef Guido Mori smonta Iginio Massari e le chiacchiere di Carnevale a 100 euro al chilo: “È marketing”. La sua pasticceria? “Fiacca”. E i panettoni di Cannavacciuolo: “Una moda, conta più la griffe della qualità…” – MOW

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In vista del Carnevale fa discutere che le chiacchiere di Iginio Massari – il dolce tipico di questa festività – non vengano più vendute a 80 euro come lo scorso anno ma a 100 al chilo (un rincaro del 25%). Il maestro pasticcere ha giustificato l’aumento di prezzo con quello delle materie prime, ma chef Guido Mori, che abbiamo intervistato, ci ha spiegato perché considera la cifra esagerata, sostiene che non sia dovuta alle materie prime o alla lavorazione ma al “marketing”, oltre a ricordarci anche il caso dei panettoni di Cannavacciuolo…

Come ogni festività, anche il Carnevale – che quest’anno si festeggia dal lunedì 3 a mercoledì 5 marzo 2025 – ha il suo dolce tipico: le chiacchiere. Anche chiamate cenci, frappe o crostoli. E, come ogni anno, non può mancare la polemica sui prezzi spropositati di questi prodotti realizzati da grandi chef o pasticceri. Questa volta, nel mirino è finito il decano Iginio Massari, perché ha deciso di far pagare ben 100 euro per un chilo dele sue chiacchiere. Un aumento del 25% rispetto al 2024, quando costavano 80 euro (e anche allora destò non poco scalpore). Lavinia Martini su CiboToday ha giustificato il maestro bresciano dicendo che “per fare delle frappe fatte bene, ci raccontano artigiani sparsi tra Roma e Milano, che l’olio deve essere cambiato spesso, in modo da far rimanere il prodotto pulito, leggero e piacevole. […] Quelle artigianali richiedono una lunga lavorazione, un processo non particolarmente standardizzato, una stesura puntuale, il taglio poi di tutti i pezzi, e la frittura”. Siccome qualche dubbio c’è rimasto, abbiamo chiesto a chef Guido Mori, esperto di cucina, chimico, ma anche sarcastico verso le star dei social. Ma anche nei confronti di Iginio Massari è stato impietoso.

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Cosa ne pensa dell’aumento di prezzo delle chiacchiere di Iginio Massari?

Massari ha una grande catena di pasticcerie semi-industrializzate, che producono prodotti di un certo livello, ma su scala massiccia. È vero che le materie prime sono cresciute di prezzo, ma l’aumento secondo me è dovuto a una manovra di marketing. Il mio consiglio, a tutti quelli che vogliono comprarsi le chiacchiere, o come li chiamiamo noi in Toscana i cenci, è di andarli a prendere in una pasticceria vicino a casa e che le comprino da un pasticcere che le ha fatte a mano.

Ma lei le hai mai assaggiate le chiacchiere di Iginio Massari?

No. L’ultima volta che ho provato un suo prodotto era un babà. Se non ricordo male.

E com’era?

Non me lo ricordo. Probabilmente era insignificante. Era qualcosa che non ho registrato mentalmente, senza infamia e senza lode. Di solito i dolci di Massari hanno sempre la solita caratteristica, sono piatti. Sono molto dolci, si basano su una tecnica piuttosto antica di produzione, ma non colpiscono per qualcosa di particolare. È una pasticceria fiacca.

È vero che la preparazione delle chiacchiere richiede la frequente sostituzione dell’olio?

L’olio di semi costa circa 1 euro e 60 centesimi. Ci sono dei macchinari in cui l’olio viene portato gradualmente e lentamente a una determinata temperatura, e di solito le chiacchiere si friggono a 180-190 gradi. I macchinari hanno delle ventole che muovono l’olio. Poi si immette dentro un prodotto, viene aspirato via il vapore d’acqua che si crea, e viene tenuto un tempo misurato. C’è qualcuno che frigge con la spatolina e il macchinario si occupa di mettere a punto la frittura. È una procedura molto industrializzata. Il prodotto viene fritto su queste scale di grandezza. In più, finita la frittura, c’è un macchinario, tra l’altro uno dei più grandi produttori è italiano, che serve apposta per pulire l’olio da quelli che sono i materiali che non devono finirci dentro e vengono fuori durante la frittura e la degradazione dell’olio. Quindi non è vera questa affermazione. In verità l’olio viene usato molte volte e viene pulito con la filtrazione e l’osmosi. Perciò, è un po’ una balla.

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Quindi, quanto dovrebbe costare un chilo di chiacchiere artigianali?

Se sono artigianali, tra i 60 e i 75 euro. Per le industriali, tra i 42 e i 60.

Gli ingredienti hanno costi diversi in relazione al posto? Su Cookist si legge che “il burro è più costoso a Milano che in un piccolo centro della Basilicata”.

No, costano tutti uguali gli ingredienti. La scala del costo degli ingredienti viene modulata quando passano dalla grande distribuzione alla piccola distribuzione. Se tu vai a fare la spesa alla Conad, i prezzi sono collegati alla strategia regionale di quel distributore. Ma una pasticceria di quelle dimensioni il burro non lo compra al supermercato, ma direttamente dal distributore nazionale, quindi queste sono balle di una grandezza infinita.

E le persone comprano le chiacchiere di lusso come quelle di Massari per mangiare cibo di qualità o per status sociale?

È una questione di stile. Uno a Natale va a cena dai parenti e porta il panettone di Massari invece di uno del pasticcere sotto casa, pagandolo una cifra molto consistente. Ma è più il nome, rispetto al contenuto. Al cibo sta succedendo quello che è successo nella moda: la firma, la griffe, vale molto di più rispetto al valore intrinseco dell’oggetto, e questo a discapito della ricerca, della qualità e della competizione fra qualità migliori. Queste sono semplicemente delle griffe.

Insomma, ci sta smontando tutta la mitologia che si è creata intorno a Massari…

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Io ho visto panettoni, come quelli di Antonino Cannavacciuolo, venduti a cifre così alte che viene spontaneo chiedersi se te lo portano a casa, te lo scaldano e te lo affettano. Costava una cifra completamente fuori dal mondo. Poi un panettone classico milanese. Questa situazione è collegata al fatto che abbiamo una perdita del valore degli oggetti e stiamo trasformando il cibo in qualcosa che ha un senso solo dal punto di vista della firma. Non è più cibo, è un marchio di moda.





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