Oggi, 22 febbraio, ricorrono i tre anni dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, tre anni che hanno cambiato profondamente il mondo. Più di mille giorni di guerra hanno causato decine di migliaia di morti, distruzione su larga scala e una crisi umanitaria e diplomatica senza precedenti in Europa, dalla Seconda Guerra Mondiale. Nel frattempo, infatti, gli equilibri geopolitici sono notevolmente mutati: il democratico Joe Biden, ad esempio, non è più presidente degli Stati Uniti, sostituito dal repubblicano Donald Trump, il quale ha recentemente attaccato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, arrivando perfino ad attribuirgli la responsabilità del conflitto.
L’Europa, dal canto suo, sta discutendo l’ipotesi – fino a poco tempo fa impensabile – di inviare truppe in Ucraina, ma l’idea appare ancora lontana dal concretizzarsi. Nel frattempo, la Russia di Vladimir Putin continua la sua offensiva, mentre l’Ucraina resiste tra difficoltà crescenti, con l’incognita del sostegno occidentale sempre più condizionato dalle dinamiche politiche interne degli alleati di Kyiv.
In questo scenario di incertezza e trasformazioni, abbiamo voluto approfondire la situazione con Stefano Verzé, giornalista ed esperto di geopolitica, per analizzare il quadro dei nuovi assetti globali e il ruolo delle potenze internazionali.
Verzé, ripartiamo dall’inizio: su cosa ha puntato Vladimir Putin per giustificare l’invasione dell’Ucraina?
«Putin ha saputo costruire una narrazione che gli fosse particolarmente congeniale, basata non tanto sul ritorno all’Unione Sovietica, quanto piuttosto sulla glorificazione della tradizione zarista. Oggi, in Russia, le statue risalenti all’epoca sovietica sono poche e marginali, mentre abbondano i monumenti che celebrano il periodo zarista, a testimonianza di una precisa scelta culturale e ideologica. Putin si presenta come il continuatore di quella visione del mondo, profondamente radicata in valori come l’imperialismo, il nazionalismo, l’autoritarismo e il militarismo.»
Come ci è riuscito?
«Con grande abilità, il presidente russo ha saputo plasmare la realtà a suo uso e consumo, ottenendo un vasto consenso popolare grazie a una sapiente combinazione di nazionalismo e guerra, elementi rafforzati dal sostegno della religione, che contribuisce a legittimare le sue azioni come espressione di un “volere divino”. Si tratta di una narrazione che l’umanità conosce molto bene, un modello che si è ripetuto più volte nel corso della storia europea e mondiale, trovando terreno fertile in periodi di crisi e instabilità.»
Uno degli elementi fondamentali di questo processo è il controllo dell’informazione. Come si è sviluppato questo aspetto in Russia?
«Il controllo delle informazioni si è consolidato attraverso un processo graduale ma inarrestabile, che ha posto le basi per una repressione sistematica. Già nelle settimane precedenti all’inizio dell’invasione dell’Ucraina, molte redazioni indipendenti sono state costrette a chiudere i battenti, soffocate da una pressione crescente. Vladimir Putin ha operato con astuzia e metodo, intervenendo sui programmi scolastici per riscrivere la storia a suo favore e imponendo una censura sempre più rigida e pervasiva. Due decenni fa, all’inizio del suo “impero”, esisteva ancora un piccolo margine per fare opposizione politica, sebbene in condizioni difficili e rischiose. Col passare del tempo, però, chiunque osasse opporsi al regime è stato prima intimidito, poi aggredito fisicamente e, infine, eliminato in modo definitivo.»
Qual è il risultato di questa strategia?
«Una società paralizzata dalla paura e intrisa di sospetto, dove la repressione sistematica viene accompagnata da una propaganda martellante. Questa narrazione dipinge il regime come l’unica speranza di salvezza per la Russia, un baluardo contro i nemici esterni identificati nell’Occidente e nel cosiddetto “regime nazista ucraino”.»
Come stanno cambiando gli equilibri geopolitici mondiali in questa fase, soprattutto dopo il ritorno di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti?
«Si delinea sempre più chiaramente una profonda ridefinizione degli equilibri di potere a livello globale, con potenziali conseguenze in grado di trasformare significativamente lo scenario geopolitico attuale. Trump sembra determinato a concentrare l’attenzione esclusivamente sugli interessi americani, adottando un approccio che richiama strategie del XIX secolo, per certi versi simile alla visione geopolitica di Putin. In questo panorama in evoluzione, l’Europa è chiamata a dimostrare la sua capacità di recitare un ruolo di primo piano, pena il rischio di restare relegata ai margini in un contesto sempre più dominato dalla forza e dagli interessi delle grandi potenze.»
Una posizione particolarmente fragile…
«Esatto: fra l’altro l’Europa non solo deve affrontare crescenti pressioni esterne, ma anche il consolidamento di movimenti nazionalisti e sentimenti antieuropeisti al suo interno. Questi fenomeni stanno guadagnando terreno in diversi Paesi, tra cui Ungheria, Slovacchia, Austria, Olanda e, come dimostrato di recente, anche in Germania, alimentando tensioni e divisioni crescenti. Il rischio concreto è quello di trovarsi di fronte a una “tempesta perfetta”, un intreccio di eventi critici capaci di provocare una trasformazione radicale e imprevedibile degli attuali equilibri globali.»
Quindi?
«L’Europa si trova davanti a una grande sfida: cercare di unirsi e rispondere ai profondi cambiamenti geopolitici globali. Trump, con la sua politica dei dazi, avrà gioco facile nel tentare di dividere i Paesi europei, mettendo alla prova la capacità dell’Unione di reagire come blocco compatto. Alcuni Stati potrebbero trarne vantaggio, altri subire svantaggi, ma il quadro globale appare chiaro: un sistema internazionale dominato dalle grandi potenze come Stati Uniti, Cina e Russia, insieme a influenti potenze regionali come Turchia e Israele.»
In questo contesto cosa potrà accadere all’Ucraina?
«Figure come Trump e Putin stanno arrivando a negoziare un’intesa strategica capace di ridisegnare il mondo in nuove sfere di influenza, simile a quanto accaduto con la conferenza di Yalta, ma senza coinvolgere i diretti interessati. In questo scenario l’Europa rischierebbe di trovarsi in una posizione di estrema debolezza, frammentata e meno rilevante sulla scena internazionale. Per l’Unione Europea, la sfida cruciale sarà proprio quella di riuscire a costruire una coesione interna sufficientemente solida per contrastare queste pressioni e mantenere una posizione unitaria e rilevante nel panorama globale.»
Tornando al ruolo dell’informazione e controllo dei media, Mark Zuckerberg ha recentemente dichiarato che il fact-checking non serve più e che Meta ha subito pressioni dai governi europei per diffondere determinate notizie. Possiamo dire di essere davvero liberi dalla censura e dal condizionamento in Europa?
«Le dichiarazioni di Zuckerberg sembrano, almeno in parte, richiamare le affermazioni di Putin, il quale continua a sostenere che le elezioni del 2020 siano state sottratte a Trump attraverso presunti brogli. Il pericolo più significativo nel contesto odierno è rappresentato dal monopolio dell’informazione digitale, che, se concentrato nelle mani di pochi, potrebbe facilmente trasformarsi in un potente strumento di disinformazione su vasta scala. La vera sfida consiste nel trovare un delicato equilibrio tra la tutela della libertà di informazione e l’introduzione di una regolamentazione adeguata, garantendo che il controllo sull’informazione non finisca per compromettere il dibattito pubblico o minare i fondamenti stessi della democrazia.»
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