Pace ed economia: investire nel futuro, non nelle armi

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“Senza pace, l’umanità non può prosperare, né può farlo l’economia. Nei Paesi coinvolti in un conflitto, la guerra danneggia gravemente i fattori essenziali per la crescita. Le ostilità distruggono il capitale produttivo: infrastrutture, macchinari e materie prime. Causano vittime soprattutto tra le nuove generazioni e piegano alle esigenze belliche le opportunità di apprendimento e la formazione di una forza lavoro qualificata. Ciò riduce la disponibilità e la qualità del “capitale umano”.

A pronunciare queste parole, in un incontro che si è tenuto a inizio 2025 nella Basilica San Domenico di Bologna, è Fabio Panetta, il governatore della Banca d’Italia.

Prosperità e Pace sono strettamente connesse

A pubblicare integralmente l’intervento di Panetta, che ha partecipato agli “Incontri di San Domenico” è stato il quotidiano Avvenire. Il governatore di Banca d’Italia sottolinea come sia sbagliato attribuire alla spesa militare il merito del progresso tecnologico. “È la ricerca scientifica a stimolare l’innovazione – spiega Fabio Panetta -. La produzione di equipaggiamenti bellici non contribuisce ad aumentare il potenziale di crescita di un Paese. Lo sviluppo deriva dagli investimenti produttivi, non dalle armi. La crescita economica, la prosperità e la pace sono invece strettamente connesse”.

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Ecco allora che secondo il governatore della Banca d’Italia è necessario contrastare le disuguaglianze, ridurre i divari di reddito e di opportunità “non solo per costruire una società più giusta ed equa, ma anche per garantire stabilità sociale” oltre ad essere prerequisito per lo sviluppo. “Se una parte significativa della popolazione è esclusa dalle opportunità economiche, l’intera economia ne risente”. E ancora, è necessario riflettere su come alleviare l’onere del debito dei Paesi più poveri. Che ha raggiunto i 1.100 miliardi di dollari e che “in molti paesi ostacola gli investimenti produttivi e frena lo sviluppo”.

Il costo della guerra in Ucraina

Secondo il rapporto Mediterranean Economies 2023, elaborato da Cnr-Ismed, la guerra in Ucraina ha provocato un forte aumento dei costi energetici e ha fatto infiammare inflazione e tassi di interessi. Tra il 2021 e il 2022 l’inflazione nei Paesi Euro Mediterranei è cresciuta, in media, dall’1,68% al 7,9%. Aumento dei prezzi che si è fatto sentire in maniera molto forte nelle vite dei cittadini, riducendo il loro potere d’acquisto e ha frenato il rimbalzo dell’economia dopo la grande crisi pandemica del 2020. Nel World Economic Outlook del 2022 il Fondo Monetario Internazionale aveva previsto una perdita di PIL, a livello mondiale, di poco inferiore al trilione di dollari tra il 2022 al 2024. Un quarto subita dalla Russia, un quarto dai Paesi dell’Unione Europea, un sesto dagli Stati Uniti e la rimanente parte dal resto del mondo.

Riflessi sulle politiche economiche e monetarie

I cambiamenti in atto negli ultimi anni, con l’aumento dei conflitti e delle tensioni internazionali, hanno già portato ad una vera e propria corsa agli armamenti. Secondo il Global Risks Report 2025 dell’FMI la spesa per la difesa è raddoppiata in 30 anni. Dai circa 1.200 miliardi di dollari del 1992 ai 2.400 miliardi del 2023. In crescita per il 9° anno consecutivo e in forte aumento rispetto al 2022. I fondi investiti in armamenti potrebbero essere destinati ad altri capitoli di spesa. Nel 2024 l’Italia ha speso quasi 29 miliardi di euro per il settore della difesa. Quota che nel 2025 salirà a 32 miliardi, di cui 13 miliardi per nuove armi, secondo quanto scrive il Milex (Osservatorio sulle spese militari italiane). Con quei soldi si sarebbero potuti costruire, nel 2024, quasi 500 mila asili. Oppure con metà di quella cifra si sarebbe potuto colmare il divario tra la spesa Italiana in istruzione e la media europea (nel 2022 era circa lo 0,6% del Pil). Si potrebbe ristrutturare e mettere in sicurezza almeno il 10% (4mila su 40mila) degli edifici scolastici presenti nel nostro paese. O ancora, aumentare il Fondo per l’inclusione delle persone con disabilità, 550 milioni di euro nel 2024.

Il “Fattore Trump” sulle spese militari

In un contesto mondiale caratterizzato da un costante aumento delle spese militari, il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca rischia di essere un detonatore che farà aumentare ancora gli investimenti in armamenti. In passato il nuovo presidente degli Stati Uniti era arrivato a minacciare di non difendere i paesi che non spendono almeno il 2% del proprio PIL nella difesa, in caso di attacco russo. Nei giorni scorsi, in collegamento con il World Economic Forum di Davos, si è spinto ancora più in là, chiedendo agli alleati della Nato di aumentare la spesa per la difesa al 5% del PIL. Una richiesta di difficile attuazione (neanche gli Usa destinano quella cifra), ma che fa ben capire quelli che sono gli umori e le richieste del nuovo presidente. L’Italia non ha ancora raggiunto la soglia del 2% di Pil. Dai dati del documento programmatico pluriennale della Difesa, nel 2023 l’Italia ha speso l’1,46% del Pil, nel 2024 l’1,43% e nel 2025 l’1,45%. Per raggiungere il 2% dovrebbe impiegare quasi 40 miliardi di euro.

Il costo dei dazi

Un altro degli strumenti che il nuovo presidente minaccia di utilizzare è quello dei dazi nei confronti degli altri paesi stranieri. Un’arma che rischia di avere forti ripercussioni sul commercio internazionale. Secondo la nuova edizione dell’analisi di Boston Consulting Group (BCG), dal titolo Great Powers, Geopolitics, and the Future of Trade”, ipotizzando dei dazi da parte degli Stati Uniti del 60% sui beni cinesi, del 25% su quelli provenienti da Canada e Messico e del 20% su altre importazioni, si potrebbero aggiungere 640 miliardi di dollari di costi alle importazioni di beni dai dieci principali partner commerciali statunitensi, con un impatto di 102 miliardi di dollari solo per l’Unione Europea.

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Investire in pace o in difesa?

Si presenta quindi un vero e proprio dilemma. A fronte di risorse, per loro definizione, limitate, dove andrebbero allocate quelle risorse? Investire in pace o in difesa? Il rapporto “Arming Europe”, commissionato da Greenpeace, dimostra come negli ultimi 10 anni gli investimenti siano andati sempre più verso la difesa, piuttosto che verso la pace. Tra il 2013 e il 2023 in Europa le spese militari hanno registrato un aumento record (+46% nei Paesi NATO-Ue; +26% in Italia) trainato dall’acquisto di nuove armi (+168% nei Paesi NATO-Ue; +132% in Italia). Un balzo che contrasta con la stagnazione del Pil (+12% nei Paesi NATO-Ue; +9% in Italia) e dell’occupazione in questi Paesi (+9% nei Paesi NATO-Ue; +4% in Italia).

In Italia nell’ultimo decennio la spesa militare è aumentata del 30%. Quella per la sanità solo dell’11%, la spesa per l’istruzione del 3% e la spesa per la protezione ambientale del 6%. Eppure anche il rapporto di Greenpeace dimostra come, anche dal punto di vista economico, gli investimenti in armamenti siano un cattivo affare. Mille milioni di euro spesi per l’acquisto di armi generano un aumento della produzione interna di soli 741 milioni di euro, mentre la stessa cifra investita per istruzione, welfare e protezione ambientale avrebbe un effetto quasi doppio. Uno scarto ancora maggiore si registra nell’impatto occupazionale: i 3mila nuovi posti di lavoro creati dalla spesa per le armi salirebbero a quasi 14mila se la stessa cifra fosse investita nel settore dell’educazione, a più di 12mila se investita in sanità e a quasi 10mila nella protezione ambientale.

Serve uno sviluppo sostenibile e inclusivo

Ritornando alle parole del governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta: “L’economia sembra essersi globalizzata senza una coscienza globale. È necessario rilanciare l’integrazione economica e la cooperazione internazionale, correggendone i difetti con politiche che promuovano uno sviluppo sostenibile e inclusivo, capace di coniugare la crescita con il superamento della povertà, con la giustizia sociale, con la difesa dell’ambiente. La pace e la prosperità sono legate da un vincolo profondo. La pace non è solo l’assenza di conflitti, ma la creazione di condizioni che consentano a ogni individuo di vivere una vita dignitosa, libera dalla paura e dalla povertà”.



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