il luogo iconico della pubblicità torna nell’anonimato 

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Chiusdino (Siena), 23 febbraio 2025 – Agli inizi degli anni ’90 è stato il set perfetto per trasferire nell’immaginario collettivo degli italiani un messaggio centrato sui valori della famiglia e del rapporto tra generazioni. I creativi della Armando Testa, la musica di Ennio Morricone, la regia di Giuseppe Tornatore: una serie di numeri uno per promuovere i prodotti del Mulino Bianco, ambientando gli spot in un antico podere scovato nelle campagne senesi, in piena Val di Merse non troppo distante dall’abbazia di San Galgano.

“Oltre alla figura retorica della famiglia – osserva Stefano Jacoviello, semiologo e docente all’Università di Siena – è interessante in questo caso come un luogo sia diventato un logo, un oggetto di cultura di massa per poi tornare a essere un luogo fisico una volta cessata quell’attenzione legata alla pubblicità”.

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Il Mulino Bianco così come si presentava ai tempi degli spot. E’ stato ed è un simbolo dei prodotti Barilla

Un luogo fisico che per anni si è trasformato in agriturismo e ristorante, per poi finire sul mercato ormai da qualche anno. Nel 2021 l’antico mulino delle Pile, tornato al nome originario dopo la parentesi mainstream, finì anche al centro di una procedura di liquidazione (ma l’asta con base a 831mila euro andò deserta), ma poi gli storici proprietari riuscirono ad accordarsi rientrando in possesso del bene.

Da allora il bene è in vendita: “È in mano ad agenzie nazionali e internazionali, lo vendiamo sul mercato a 1,7 milioni di euro”, spiega il proprietario Andrea Burchianti. Nessun contatto in corso con il Comune di Chiusdino, che non ha interesse a rilevare il bene per un’eventuale destinazione turistica.

Burchianti, perché la decisione di vendere?

“Fino al 2019 abbiamo portato avanti l’attività dell’agriturismo, con venticinque posti letto, e del ristorante, con cento coperti che nel fine settimana andavano sempre esauriti. Ma non potevamo andare avanti, l’impegno era troppo gravoso per me, che opero nel settore informatico, e avevamo sempre più difficoltà a reperire personale”.

Cosa ricorda degli anni del grande successo?

“Il mulino era di mio zio e svolgeva un po’ di attività ricettiva in estate. Poi fu considerato l’ambientazione ideale dai creativi della Barilla. Ed è diventato un pezzo di storia della comunicazione italiana, in tanto mi conoscono per quello”.

Quanto fu necessario modificarlo?

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“In realtà non tantissimo. La cosa principale fu l’imbiancatura, poi fu allargata la base delle torre duecentesca, con pannelli di resina che resero un’immagine più addolcita e perfetta per incarnare il logo del Mulino Bianco”.

Le pesa l’idea della vendita?

“È un bene di famiglia a cui teniamo molto e quindi dispiace. Ma mandare avanti l’attività non era più possibile. E allora forse è bene che l’acquisti qualcuno che possa prendersene cura e la riporti all’antico splendore”.

Con Barilla avete mai pensato di portare avanti in qualche modo quell’esperienza?

“Ho ottimi rapporti con l’azienda, non fosse altro per le conoscenze sviluppate in quel periodo. Negli anni Duemila abbiamo collaborato, ci sono stati anche alcuni concorsi che hanno messo in palio dei soggiorni nel Mulino Bianco. Poi, come è normale, le grandi aziende fanno le proprie scelte. Ma io non ho nulla di cui rammaricarmi nel rapporto con loro”.

Magari in occasione dei festeggiamenti per i cinquanta anni del marchio…

“Ho avuto modo di sentirmi anche in questi giorni con alcuni esponenti di Barilla, ma non ci sono progetti che riguardano il mulino”.

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C’è un dialogo avviato invece con il Comune?

“In questo momento no, non ci sono state proposte nostre, non c’è stato un interessamento da parte dell’amministrazione. Il tema non è all’ordine del giorno”.

Cosa si aspetta adesso?

“Che un luogo così bello, che ha rappresentato così tanto nella storia della comunicazione pubblicitaria italiana, possa essere recuperato e valorizzato come si merita. Dopo aver rilevato il bene dalla liquidazione, l’avevamo posto in vendita a due milioni di euro. Ora, con la mia famiglia e i finanziatori che mi hanno aiutato a rilevarlo, lo proponiamo a 1,7 milioni di euro. Penso che li valga tutti”.



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