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MattioliMacché futuro, innovazioni, magnifiche sorti e progressive: è il passato che abbiamo di fronte. Le novità migliori arrivano da lì. L’usato è sicuro. “Tornate all’antico, e sarà un progresso”, ammoniva già Verdi (che però, è bene precisarlo, non si riferiva all’arte, dove nessuno è stato più rivoluzionario di lui, ma all’insegnamento. E allora ridateci immediatamente il classico “in purezza”, altro che il liceo del made in Italy o le Scienze umane, posto che le uniche tre cose davvero indispensabili per l’educazione di un gentiluomo sono il greco, il latino e la frusta).
Non divaghiamo. Qui si vorrebbe in realtà parlare del tram. Le città che l’avevano tolto, lo rimettono. Quelle che tolto non l’avevano mai, se lo tengono stretto. Il viandante che si trovasse a passare per via Indipendenza, a Bologna, sappia che non c’è stato un bombardamento di Putin, non ancora, almeno, ma che ci si stanno piazzando i binari per la prima linea del risorto tram, la rossa, che dovrebbe entrare in funzione nel ’26 (ma in Italia il condizionale è un obbligo). A Bologna il tram c’era già stato, per la precisione dal 1880 al 1963. Anche all’epoca i tempi erano lunghetti: si iniziò a parlarne nel 1876 e il Capitolato per la concessione ai privati di “sei linee di ferrovia a cavalli” fu steso l’anno successivo imponendo, informa la sempre fondamentale Wikipedia, che “i cavalli e i finimenti dovranno essere di decente apparenza”. Ancora nel 1952, c’erano più di 75 chilometri di linee con 115 vetture, poi la sostituzione con autobus. Bologna perse definitivamente il tram domenica 3 novembre 1963, quando l’ultima corsa partì da piazza Minghetti per San Ruffillo. Con il senno di poi, l’unico che non sbaglia mai, fu un terribile errore.
E Firenze? Adesso le linee sono due, ma anche lì in tram si era già viaggiato, per la precisione dal 1879 al 1958, con tanto di tratte extraurbane e, per dire, 18 milioni di passeggeri nel 1914, quando il turismo c’era già, ma non era ancora di massa. A Firenze progettano già altre linee. Naturalmente ci sono e ci saranno sempre politici, comitati e semplici cittadini che si oppongono, secondo il noto riflesso condizionato riassunto dall’acronimo “Nimby”, Not In My Back Yard, non nel mio cortile, perché siamo tutti favorevoli alle opere pubbliche purché non si facciano accanto alla mia proprietà privata e il cantiere fa gioire soltanto l’umarell che lo guata.
Nulla di nuovo, per la verità. Pare che già gli antichi egizi si lamentassero per la costruzione delle piramidi, i lavori infiniti, la polvere, lo sporco, il rumore, tutti questi schiavi di dubbia fiducia in giro, dove andremo a finire, faraona mia. Ma sembra che siano poi risultate un investimento valido, se il turismo è la principale industria del Paese.
In realtà il tram è ecologico, economico, comodo e sì, anche romantico. Profuma di buon tempo antico, anche se non bisogna mitizzarlo perché, come ammoniva Byron, tutti i tempi, quando sono antichi, sono anche buoni. Però a Milano, dove hanno avuto il buonsenso di tenerseli, i tram sono diventati un elemento identitario come il panettone, la Scala e le modelle durante la fashion week. Specie poi se hai la fortuna di non imbatterti su quelli moderni, di una sgradevolezza molto hi-tech, ma sulle vecchie vetture della serie 1500, altrimenti dette “tram Ventotto” perché entrate in servizio appunto nel 1928, meravigliosamente sferraglianti, deliziosamente retro, dove le panche di legno levigate dall’uso sembrano abbracciarti. E così robuste che circolano ancora: molte furono danneggiate durante Seconda guerra mondiale, ma soltanto una non fu rimessa in servizio, per la precisione la numero 1624, perché centrata in pieno da una bomba. Il tram milanese è come il risottino giallo, e del resto il colore è lo stesso: una certezza, confortante e rassicurante come il Mattarella di Capodanno.
Se nel Dopoguerra, sotto la sbornia dell’automobile, non fossero state smantellate molte tramvie extraurbane o ferrovie provinciali, oggi la vita dei pendolari migliorerebbe assai; la qualità dell’aria, pure. L’alta velocità ci ha oggettivamente cambiato la vita (funzionasse un po’ meglio, magari…) e infatti l’hanno fatta o la stano facendo o la faranno in mezzo mondo. E adesso aspettiamo il treno a levitazione magnetica che corre a più di 600 chilometri all’ora. Per ora ce ne sono solo sei tratte e pure brevi, tre in Cina, due in Corea e una in Giappone, ma confidiamo prima o poi di poter prendere nella stessa serata un negroni a Milano e un’amatriciana a Roma. Il futuro corre su rotaia.
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