«Timestamp», l’Ucraina in guerra tra i banchi

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Timestamp è arrivato ieri in una Berlinale che ha iniziato a svuotarsi con la fine dell’Efa, il mercato del film, e in una città che guarda all’appuntamento elettorale imminente con ansia ma anche mostrandosi sicura che l’Afd di Alice Weidel «non può farcela mai» – come ci dice qualcuno nei corridoi del Berlinale Palast. Ma soprattutto è arrivato il giorno in cui Trump ha platealmente scaricato Zelensky sparando a zero via social Truth dalla sua Reggia in Florida sul presidente ucraino che da simbolo della lotta per la democrazia è divenuto «un dittatore, un comico mediocre, alla ricerca di soldi facili». Perché il film di Kateryna Gornostai racconta proprio l’Ucraina negli anni di guerra, e lo fa da un punto di vista eccentrico rispetto ai campi di battaglia o alle distruzioni, focalizzandosi cioè sulle scuole. Bambini, adolescenti, ragazzi e i loro insegnanti, che in diversi luoghi del Paese continuano a tenere le scuole aperte, insegnano nelle metropolitane, si organizzano per affrontare i costanti allarmi aerei, lottano per ricostruire le scuole distrutte, insegnano negli scantinati, o su zoom dove come a Bachmut non esiste più nulla e i ragazzi faranno la maturità a distanza, qualcuno persino dall’estero.

GORNOSTAI è nata a Lutsk e vive a Kyiv, ha studiato cinema e teatro a Mosca ma è tornata in Ucraina ai tempi delle proteste di Euromaidan, col suo esordio, Stop Zemilia (2021) presentato alla Berlinale, nella sezione Generation 14+ ha vinto il premio per il miglior film, e con questo, dedicato al fratello morto molto giovane nel 2023, riporta l’Ucraina nella competizione berlinese dopo ventotto anni – l’ultima volta era stato nel 1997 con Tre storie di Kira Muratova. Qualche giorno fa parlando di Timestamp aveva detto: «Volevo fare un film sulla guerra ma senza che fosse al centro, il mio film è triste ma in questi bambini e ragazzi c’è anche molta speranza così come nel nostro sistema scolastico che continua a funzionare nonostante tutto. Abbiamo paura di Trump ma il peggio è già successo, abbiamo perso i nostri famigliari, la nostra gente, in una situazione così si diventa un po’ fatalisti, guardiamo cosa accade».

Gornostai alla conferenza stampa dopo il film ieri non c’era, suo figlio è appena nato così ha bisogno di riposo – alle agenzie ha dichiarato: «È cruciale essere qui, più che una filmmaker mi sento parte di una delegazione diplomatica». C’era però uno degli insegnanti che si vedono nel film, con l’uniforme da soldato, Boris Knovhrak, che è arrivato dal fronte e alla domanda su Trump ha risposto: «Continueremo a difendere l’Ucraina, la nostra cultura, i nostri figli. Non conta il mio stato d’animo in una giornata come questa, ed è molto difficile trovare le parole per esprimerlo, so soltanto che devo proteggere il mio Paese dall’ennesima aggressione della Russia che ogni cent’anni cerca di distruggere l’Ucraina. La sola risposta è vincere la guerra, e costringere i russi a rispettare i confini riconosciuti internazionalmente».

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Nella capitale tedesca continuano a sventolare qua e là bandiere giallo-blu ucraine e la presenza del film di Gornostai dichiara una continuità con l’impegno del festival sul tema in tutti gli anni di guerra. Anche per questo le frasi hanno avuto un grande impatto: un giornalista americano si è scusato dicendo che «Trump non rappresenta tutta l’America e una parte di americani continuerà a essere a fianco dell’Ucraina».

Timestamp dunque, in cui la guerra c’è ma appunto nella dimensione di un quotidiano che ne viene determinato e che, al tempo stesso, cerca di essere resistente e di «assorbirla» nel suo svolgimento. Ci sono tristezze, rovine, le scuole distrutte come molte case, tragedie intrecciate a quella capacità di reazione dei più giovani, coi piccoli che disegnano e festeggiano un compleanno in un rifugio e le ragazze che si preparano al diploma, e insieme scherzano, si fanno i video su TikTok dove osservano anche le devastazioni della diga distrutta dai missili e dalle bombe russe. La regista ha girato fra marzo del 2022 e il 2023, in zone particolarmente colpite dall’aggressione russa; una delle prime tappe è Kamianske, a circa 100 chilometri dal fronte, dove assistono a una cerimonia di iscrizione alla scuola. Vestiti eleganti, bimbi e genitori stanno fermi sul campo sportivo, due allievi hanno appena recitato una poesia sul riso e sul canto quando una sirena suona. «Per favore, andate al rifugio. Portate tutti i bambini di sotto», dice una giovane donna al microfono e poco dopo tutti sono seduti sottoterra.

TUTTO QUESTO pian piano diventa parte del vissuto, con la paura cresce questa forma di resilienza, che cerca una serenità malgrado quanto accade, in un presente che guarda al futuro. Sono quei ragazzi di età diverse le prossime generazioni, coi loro traumi – una bimba che piange quando vede il ritratto del padre – a quali dare comunque un orizzonte dove la guerra non sia l’unico riferimento. Fra propaganda, e lezioni su come assemblare il fucile, i ragazzi più grandi che pensano di arruolarsi e qualche ragazza pure che dice «so sparare», c’è chi prova il ballo finale e chi come i più piccoli disegna e legge e non vuole parlare di guerra. C’è anche chi è chiuso in casa e vive la scuola solo a distanza e chi può ritrovarsi in una dimensione collettiva e di «normalità» di cui c’è bisogno. Timestamp restituisce un sentimento dell’Ucraina in questi anni, nella dimensione non bellica o dentro una retorica. È la vita di ogni giorno, che cerca i suoi spazi, e di fronte a questa l’attualità risuona ancora più cupa.



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