Bilanci, risorse e welfare se il cambiamento passa dai (nuovi) sindaci

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Manca poco più di un mese all’arrivo della primavera. Qualche settimana avanti (circa sei) per celebrare le elezioni comunali. Tutti quelli scaduti, fatta eccezione per quelli del Trentino e Alto Adige (268) e la Val d’Aosta (65), andranno al voto tra il 15 aprile e il 15 giugno. Esenti dal fenomeno solo due regioni: Toscana e Umbria. Tra i Comuni alle urne, alcuni alla ricerca di un nuovo sindaco non per scadenze naturali bensì per patologie accertate, anche gravi.

Pochissimi sindaci uscenti hanno già adempiuto alla  relazione di fine mandato. Quello strumento che deve essere redatto dal responsabile  del  servizio finanziario o dal segretario generale e sottoscritto dal  Sindaco  non oltre il sessantesimo giorno antecedente la scadenza del suo mandato. Gli altri lo faranno sul filo di lana.

Al riguardo, è appena il caso di precisare che un tale siffatto adempimento, introdotto con il d. lgs. 149/2011, attuativo del federalismo fiscale, è stato svilito rispetto alla sua ratio normativa. Il ricorso ad un format ministeriale ha fatto il resto, peraltro da compilare a cura della burocrazia, quasi come se fosse un dovere trascurabile e non affatto impegnativo. Ha sottratto la sua importanza limitandosi a riferire le stesse cose, gli adempimenti più banali, dai quali non affatto comprendere la capacità espressa dai primi cittadini uscenti e le loro responsabilità. Questa è la solita rincorsa che ha il legislatore a fare riferimento a format e questionari senza anima. Ma anche senza corpo.

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Prova ne è anche il d.lgs. 216/2010 (anche esso attuativo del federalismo fiscale) che, a distanza di 25 anni, non riesce – nonostante la sopportazione di costi di programmazione continuativi – testimoniando la sua inadeguatezza metodologica. Un’ipotesi di lavoro che ha collezionato tentativi andati a vuoto, con i fabbisogni standard – quelli utili a rendere sostenibili e a ottimizzare le undici funzionali fondamentali dei Comuni da assicurare alle loro collettività – mai determinati.

Insomma, con la schiusa dei fiori di ciliegio, potrà concretizzarsi l’incipit della primavera dei Comuni, che veda partecipe in tal senso un buon 6% del sistema autonomistico locale.

Tra i 448 Comuni, tante le perle cui garantire un’ostrica sufficiente a proteggerle dalle discriminazioni economico-finanziarie, per portare a buon esito il Pnrr e per affrontare l’approccio all’intelligenza artificiale, fonte di potenziali rischi assoluti. Dovranno esigere altrettanti primi cittadini garanti della trasparenza, dell’onestà, della tutela dei quartieri abbandonati e delle persone bisognose, fosse anche assicurando occasioni in più per il tempo libero. Dovranno, ove occorra, mettere a posto i bilanci, spesso malandati, e ben programmare in progress con puntualità nell’aggiornarla nonché sbattere i pugni sul tavolo della Conferenza dei sindaci per pretendere una sanità diversa da quella che non funziona. Dovranno ancora evitare il brutto vizio di mendicare risorse statali ma imparare a pretenderle, anche duramente. Avranno l’onere, tra l’altro, di reclamare all’indirizzo delle Regioni che le stesse abdichino il più possibile all’amministrare e gestire risorse per tutti, limitandosi a legiferare, programmare e controllare.

La speranza è dunque quella che da un siffatto genere di primavera arrivi presto la rinascita del Paese dei Comuni. Specie di quello del Sud. Tanto da fare partire dalla loro primavera la migliore istanza per garantire presto ai cittadini l’individuazione ed erogazione dei Lep, altrimenti destinati ad essere una chimera.

Il Mezzogiorno, indipendentemente dalla imminente tornata, potrà rinascere attraverso i Comuni che sapranno pretendere benefit, anche dalle Regioni, ma soprattutto essere capaci di fare progettazione dello sviluppo attraverso il ricorso al PPP. La Puglia, fucina di bravi sindaci, andrà in autunno al voto regionale, con la verosimile staffetta che passerà da Michele Emiliano ad Antonio Decaro, entrambi ottimi sindaci di Bari, con l’ultimo attivo presidente ANCI nazionale. La disputa per le Regionali invaderà anche la Campania, con strategie dei partiti che appaiono quantomeno insolite.

Tutti i 52 Comuni del Mezzogiorno, oltre i 10 delle Isole (Regioni a statuto speciale), assumeranno il ruolo di portabandiera della istanza forte dal basso. Quattordici gli oltre 15mila abitanti: Ortona e Sulmona per l’Abruzzo; la stupenda Matera; Lamezia Terme, Cassano all’Ionio, Rende, Isola di Capo Rizzuto per la Calabria; Casavatore, Nola e Poggiomarino per la regione del Vesuvio; Triggiano e Massafra per la Puglia; infine, Nuoro per i sardi e Tremestieri Etneo per i siciliani.

A ben vedere, l’istanza potrebbe assumere i toni di una robusta pretesa istituzionale per il cambiamento.

Particolarmente, quella rivolta alle Regioni per l’attrazione di importanti deleghe gestorie-amministrative e per rivendicare i diritti sociali percepiti a livello locale, primo fra tutti quello del sociosanitario, nel quale il primo cittadino è la massima autorità sanitaria locale.

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