Il governatore Michele de Pascale sfila la regione che insieme a Lombardia, Piemonte e Veneto aveva guidato il percorso autonomista:«Ho aperto gli occhi durante la pandemia, sarebbe intelligente lavorare al titolo quinto»
«Il ritiro della proposta dell’Emilia-Romagna richiama a un ripensamento più profondo e autocritico. Io non azionerò autonomie differenziate legislative». A sette anni dalla firma che vide la Regione Emilia-Romagna (allora guidata da Stefano Bonaccini) sottoscrivere insieme a Veneto e Lombardia il primo accordo sull’autonomia differenziata, il governatore Michele de Pascale archivia definitivamente il percorso autonomista.
L’Emilia-Romagna e il percorso autonomista interrotto
Tra l’ira del centrodestra («Da oggi non è più il nostro presidente», annuncia la Lega) e la soddisfazione dell’ala sinistra della maggioranza. Anche se il presidente dell’Emilia-Romagna non spegne del tutto il sogno di una riforma autonomista, mettendo sul tavolo della segretaria dem Elly Schlein e della coalizione che verrà la sua proposta: «Sarebbe molto importante che il centrosinistra inserisse tra le sue promesse elettorali una riforma del titolo quinto, ma il percorso deve essere bipartisan».
La frenata emiliano-romagnola sull’autonomia differenziata, in realtà, è iniziata ben prima dell’annuncio in Assemblea regionale. Già la giunta Bonaccini, di fronte alla riforma Calderoli, aveva tirato il freno a mano.
De Pascale e la marcia indietro sull’autonomia
E in campagna elettorale de Pascale aveva promesso il ritiro della richiesta avanzata nel 2018 dall’Emilia-Romagna. Ma il passaggio di ieri nell’Aula di Viale Aldo Moro, lungi dall’essere una formalità, è una scelta politica chiara. Un punto e a capo al percorso avviato da Bonaccini, ma — ci tiene a sottolineare de Pascale — anche una sorta di autocritica: «Ero presidente dell’Anci regionale, quindi sono stato parte di quella discussione, non sto schivando. Ma ho aperto gli occhi durante la pandemia», confessa il governatore fuori dall’aula.
Il messaggio all’Assemblea, spaccata a metà sul tema, è chiaro. «Penso che in questo Paese non serva maggior autonomia legislativa, serve invece avvicinare l’amministrazione al territorio e si può fare con una legge ordinaria. Sarebbe molto intelligente riprendere in mano il titolo quinto», ribadisce de Pascale, che scommette sul fallimento dell’autonomia di governo.
«Ormai viaggia su un binario morto e non produrrà alcun effetto», è la profezia del presidente emiliano-romagnolo, per cui anche la premier avrebbe i suoi dubbi in materia: «Penso che la presidente Meloni sull’autonomia differenziata la pensi esattamente come la pensava nel 2014, ma che con correttezza e senso politico abbia preso un impegno con le forze della sua coalizione».
Gli attacchi dell’opposizione: «Presa in giro per gli elettori»
Il centrodestra, seppur partendo da sfumature diverse, alla fine vota compatto una risoluzione contro lo stop all’autonomia. «Gli emiliano-romagnoli sono stati presi in giro dalla maggioranza. La sinistra ha gettato la maschera, dimostrando incoerenza e opportunismo politico», accusa la capogruppo di FdI, Marta Evangelisti.
Per il leghista Tommaso Fiazza è «il nuovo corso del Pd imposto dalla segreteria nazionale ad aver determinato un cambio di rotta. Una scelta che contraddice otto anni di lavoro». Netta anche la civica Elena Ugolini: «È difficile giustificare, se non per puri calcoli politici, il cambiamento di posizione della Regione».
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