C’è un paese, in provincia di Brescia, che impone la sosta anche a chi (a seconda delle stagioni) ha fretta di applicare le pelli di foca o calzare gli scarponcini da trekking. Bagolino, infatti, trova a circa 800 metri di quota nella Valle del Caffaro, a poca distanza dalla Piana del Gaver a sua volta sovrastata dalla sagoma svettate del Cornone di Blumone (2.843 m). Da pochi mesi Bagolino è entrato a far parte dell’elenco dei Borghi più belli d’Italia. A buon diritto. Vediamo perché.
Una chiesa da record e una storia sorprendente
In paese attira subito lo sguardo una chiesa davvero imponente: è la parrocchiale di San Giorgio, che è la terza per grandezza nella provincia di Brescia, maestosa e ricca di opere di artisti del calibro di Tiziano e Tintoretto. Che cosa ci fa una chiesa del genere in un villaggio che oggi ospita circa 3800 anime sparse in un’area di 108 kmq? La risposta è nella storia incredibile di Bagolino. Siamo andati a scoprirla con l’aiuto di Flavio Richiedei, bagolinese e appassionato di storia locale. «Bagolino è l’ultimo paese della provincia che oggi confina con il Trentino, ma per 400 anni è stato confine di Stato. Dal 1426, abbiamo seguito le sorti di Brescia entrata nella Repubblica di Venezia, mentre dall’altra parte c’era il principato vescovile di Trento», racconta.
Per un borgo di montagna che oggi può sembrare periferico e isolato questa situazione si rivela una benedizione. I bagolinesi, o bagossi, mantengono buoni rapporti commerciali con entrambi. Venezia guarda con interesse a un borgo è che è il suo ultimo presidio di frontiera, mentre a Trento il paese è legato perché rientra sotto la sua giurisdizione religiosa, attraverso la Pieve di Condino.
«Dal Trecento in poi, conosciamo in dettaglio la storia di Bagolino grazie alla presenza di un archivio storico, rilevante per completezza», dice Richiedei. «Sappiamo che fino alla caduta della Repubblica di Venezia nel 1797, il paese ha avuto i propri statuti, cioè le regole civili della comunità comunale. I capifamiglia si radunavano e indicavano i “migliori”, fra i quali venivano eletti i consoli, che amministravano la giustizia civile restando in carica per due mesi, e ogni anno si tenevano elezioni comunali». I consiglieri gestivano il Comune, mentre i casi di giustizia penale venivano giudicati da magistrati spediti da Brescia, ai quali i bagolinesi dovevano pagare le spese di viaggio.
Era un sistema molto efficiente. «La preoccupazione principale degli amministratori era che la comunità avesse il minimo indispensabile per mantenersi e vivere, altrimenti potevano scoppiare rivolte, oppure la gente se ne andava». Dal Trecento a fine Settecento, la vita a Bagolino va a gonfie vele. Il territorio vantava una risorsa importante: il minerale di ferro. Veniva estratto in Valle Trompia, dove c’erano miniere fin dal periodo romano, e poi portato a Bagolino per essere lavorato. «Veniva consegnato al Passo del Maniva dove gli abitanti del borgo lo andavano a ritirare per metterlo nel fondaco. E quando veniva raccolto abbastanza materiale, gli imprenditori prendevano in affitto i forni comunali per effettuare la fusione», spiega. All’epoca, non esistevano forni privati. Altri abitanti, i carbonai, rendevano possibile questo processo fornendo il carbone. Il legname era una materia prima abbondante e fondamentale. Ma non mancava anche il carbone di alta qualità, che consentiva la seconda fusione a temperature più alte, che eliminava le impurità permettendo di ottenere l’acciaio, usato a Brescia per l’industria delle armi. «Non tutto il ferro ottenuto a Bagolino veniva venduto: una parte restava per produrre gli attrezzi necessari in agricoltura e nella vita quotidiana, o nella costruzione delle case», puntualizza Richiedei. «Gli statuti governavano anche l’economia del comune».
La metallurgia è il segreto della lunga prosperità di Bagolino che, come ricorda lo studioso, dal 1483 al 1601 – il periodo più florido per l’economia – ha consentito di costruire ben cinque chiese. Certo, non mancavano l’agricoltura e l’allevamento a livello locale, ma la produzione era limitata. «Bagolino aveva un fondaco a Venezia e uno a Brescia. Gli statuti comunali gestivano gli acquisti del vino e delle derrate alimentari come la farina per conto della comunità. Agli abitanti i beni venivano rivenduti a prezzi calmierati». Tutto cambia, però, con Napoleone e il suo Codice. «Cade ogni forma di protezione delle economie locali, la fusione del minerale viene fatta in città e le comunità periferiche cadono in decadenza». I bagolinesi erano sopravvissuti alla peste che aveva sterminato nel 1630 un terzo degli abitanti: si erano ripresi e con entusiasmo avevano portato a termine nel 1636 i lavori della chiesa di San Giorgio, iniziata nel 1624. «A metà Ottocento a causa della situazione economica si trovano a fronteggiare una grave carestia. A 250 famiglie vengono assegnate delle terre sul lago d’Idro e nasce così la frazione di Ponte Caffaro».
Un carnevale pazzesco e il pregiatissimo formaggio Bagoss
I visitatori di Bagolino restano colpiti dalla bellezza del centro storico molto ben conservato. «Le case sono rimaste vuote per necessità: dapprima l’emigrazione verso la nuova frazione, poi a inizio Novecento in Francia, in particolare nella zona di Grenoble, dove i bagolinesi sono andati a lavorare come operai nel settore del legname e dei metalli», puntualizza Richiedei. Il paese è diviso in due parti, Ösna e Cavril. Da non perdere la vecchia via dei portici, che era la strada acciottolata di accesso al paese, di origine medievale. Percorrerla è come fare un salto indietro nel tempo. Un gioiello è la chiesa di San Rocco, costruita nel Quattrocento, che ospita un ciclo di affreschi della famiglia dei da Cemmo, artisti originari della Val Camonica. «Sappiamo con certezza che hanno lavorato tra il 1483 e il 1486, perché in archivio abbiamo trovato i loro contratti». Una curiosità: da queste parti è passato anche Garibaldi. Il 3 luglio 1866 combatte con i suoi volontari la battaglia di Monte Suello nel comune di Bagolino, dove l’eroe rimane ferito. Esiste un Sacrario ad Anfo, sulle sponde del lago d’Idro, e un cippo che ricorda il luogo dove fu colpito durante questo episodio della III Guerra d’Indipendenza.
Oggi questo borgo più bello d’Italia è meta di turismo per il suo Carnevale, che vanta un corpus di 24 ballate popolari tramandate nel tempo e assolutamente originali. «La passione per la musica ha stimolato la creazione di una scuola di musica per studiare gli strumenti e la liuteria per realizzarli», dice Flavio Richiedei. Poi, l’economia locale vanta il bagoss, il formaggio con lo zafferano – probabilmente portato in origine da Venezia – che è un’eccellenza. L’agricoltura di montagna e l’allevamento finalizzati alla produzione del formaggio sono anche un baluardo nella difesa dei territori d’alta quota. «Molti abitanti lavorano a valle, nelle aziende, come pendolari. Nel weekend, molti giovani fra loro sono attratti dal paesaggio e dalla natura e trascorrono del tempo nelle cascine di famiglia». Un’altra risorsa locale importante è la sorgente dell’acqua Maniva. E il turismo? «Nel tempo è cambiato», commenta Flavio Richiedei. «Non più solo sciatori o villeggianti estivi, ma anche visitatori che vengono in giornata dalla città, per scoprire la bellezza delle montagne e del borgo. Da godere in assoluta lentezza».
Il miracolo del Gaver
Tredici chilometri più a monte, la Piana del Gaver (1.500 m) è il regno dello sport dolce.
In realtà non è sempre stato così. Quella che oggi è una calamita per escursionisti, fondisti e skialper, fino a 12 anni fa era una piccola stazione di sci alpino. Non ebbe fortuna, però, e i piloni degli impianti di risalita sono ancora lì a raccontare una storia finita male. Ma testimoniano anche che la montagna può vivere anche senza di loro. La Piana del Gaver ospita le piste di un attrezzato centro fondo, ma è anche il punto di partenza per gratificanti escursioni a piedi, con gli sci o le ciaspole. Il Cornone di Blumone è il faro incombente ma, d’inverno, non è alla portata di tutti, sia per le difficoltà tecniche che per il pericolo di valanghe. Lo si può però avvicinare, risalendo verso il Goletto di Gaver (1750 m) e da lì spingendosi se le condizioni lo consentono alla volta del Rifugio Tita Secchi (chiuso d’inverno). Sul versante opposto della conca partono gli itinerari che conducono ai laghetti di Bruffione (1884 m) o al Bivacco Bruffione (2.143 m), luoghi di grande bellezza ma anche in questo caso da avvicinare solo dopo aver consultato i bollettini valanghe.
D’estate la scelta si ampia: L’Alta Via del Caffaro è il consiglio per gli escursionisti di lunga lena. Si completa in cinque giorni. Indimenticabili.
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