Cambiano le amministrazioni statunitensi, ma non passa l’ampio e costante dualismo tra il Vaticano e la Casa Bianca. Dopo la fine del mandato di Joe Biden il ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump è giunto mentre Papa Francesco continua a guidare la Chiesa cattolica. E una volta di più la parola chiave è dualismo: la Santa Sede e gli Stati Uniti vivono su piani politici divergenti le attuali relazioni globali e, sostanzialmente, il primo pontefice latinoamericano della storia maldigerisce il ruolo globale di Washington.
La lettera del Papa sui migranti ai vescovi Usa sui migranti
Non sfuggirà ai più attenti osservatori della politica vaticana il fatto che, in particolar modo, la postura unilaterale di Trump venga vista con sospetto dalla diplomazia dell’Oltretevere. Così era stato nel primo mandato di The Donald, dal 2017 al 2021, e così è ora. L’esordio del Trump 2.0 e la risposta di Francesco hanno parlato chiaro. E il primo fronte tra i due “imperi paralleli” si è avuto su una delle questioni-bandiera dell’amministrazione Trump, la stretta sull’immigrazione irregolare e i rimpatri forzati degli stranieri ritenuti non titolati a restare negli Usa.
Nella giornata di lunedì 10 febbraio Papa Francesco ha inviato una lettera ai vescovi degli Stati Uniti in cui ha preso direttamente di mira la proposta di Trump di mettere in campo il programma: “Ho seguito da vicino la grave crisi che si sta verificando negli Stati Uniti con l’avvio di un programma di rimpatri di massa”, scrive il Papa, aggiungendo che “la coscienza rettamente formata non può non esprimere un giudizio critico ed esprimere il proprio dissenso verso qualsiasi provvedimento che identifichi tacitamente o esplicitamente la condizione illegale di alcuni migranti con la criminalità“.
La critica al cristianesimo di J.D. Vance
Il Papa dice che l’impegno a “non ostacolare lo sviluppo di una politica che regoli la migrazione ordinata e legale” deve tenere in considerazione il fatto che “un autentico Stato di diritto si verifica proprio nel trattamento dignitoso che meritano tutte le persone, soprattutto quelle più povere ed emarginate”. Bergoglio ha anche voluto rispondere, senza menzionarlo, al vicepresidente cattolico J.D. Vance che nei giorni scorsi ha dichiarato di ritenere l’agenda di Trump compatibile con il Vangelo. Secondo l’ex senatore dell’Ohio l’America First di Trump è un “concetto cristiano” in virtù del principio dell’ordo amoris, secondo cui il concetto di “amare il prossimo tuo come te stesso” impone di partire da chi è fisicamente più vicino a noi.
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Vance è stato molte cose nella sua vita, da giovane figlio dell’America rurale è divenuto militare, dottore in Legge, venture capitalist del mondo tecnologico, scrittore di successo, senatore e vicepresidente, ma non ci risultano suoi studi teologici. E, in effetti, il Papa non ha lasciato senza risposta la sua sortita: “L’amore cristiano non è un’espansione concentrica di interessi che a poco a poco si estendono ad altre persone e gruppi”, ha scritto nella missiva ai vescovi, sottolineando che “
Vance è stato molte cose nella sua vita, da giovane figlio dell’America rurale è divenuto militare, dottore in legge, venture capitalist del mondo tecnologico, scrittore di successo, senatore e vicepresidente, ma non ci risultano suoi studi teologici. E, in effetti, il Papa non ha lasciato senza risposta la sua sortita: “L’amore cristiano non è un’espansione concentrica di interessi che a poco a poco si estendono ad altre persone e gruppi”, ha scritto nella missiva ai vescovi, sottolineando che “il vero ordo amoris che bisogna promuovere è quello che scopriamo meditando costantemente la parabola del “Buon Samaritano”, cioè meditando sull’amore che costruisce una fraternità aperta a tutti, senza eccezioni”.
Il dualismo tra Usa e Vaticano
Sua Santità ha lanciato una vera stoccata all’amministrazione scrivendo che “il vero bene comune si promuove quando la società e il governo, con creatività e rigoroso rispetto dei diritti di tutti – come ho affermato in numerose occasioni – accolgono, proteggono, promuovono e integrano i più fragili, indifesi e vulnerabili“. Una critica neanche troppo velata alle proposte dell’amministrazione su finanza, tagli alle tasse, smantellamento dello Stato sociale e sulla contiguità tra Trump e il gotha della finanza americana, dai tecno-oligarchi come Elon Musk ai grandi investitori di Wall Street. Francesco una volta di più mostra il suo distacco dagli Stati Uniti, da quella terra che per il figlio del peronismo argentino divenuto vescovo di Roma resta la patria dei gringos e per il capo della Chiesa Cattolica è oggi un impero dove i fedeli sono perennemente divisi tra Dio e Cesare.
Non è un preconcetto quello di Bergoglio: sicuramente in Vaticano si ricordano bene gli ultimi tempi del primo Trump, caratterizzati dalla scomposta pressione dell’ex Segretario di Stato Mike Pompeo per smantellare gli accordi di avvicinamento alla Cina e da neanche troppo velati tentativi di destabilizzazione del mondo ultraconservatore americano. Ma al contempo si ricordano bene anche le lezioni dell’era di Joe Biden, presidente cattolico con una maggiore sintonia personale con Francesco rispetto a Trump ma durante il cui mandato spesso si è avuta un’incomunicabilità tra le sponde del Tevere e quelle del Potomac principalmente per l’avanzamento delle questioni belliche, dall’Ucraina a Gaza.
La sponda sulla pace in Ucraina
In quest’ottica, l’eterogenesi dei fini crea oggi una possibile convergenza tra Francesco e l’amministrazione Trump proprio sul fronte della fine dei conflitti. Nel marzo 2024 il Papa fu attaccato per aver chiesto “il coraggio del negoziato” all’Ucraina, aggiungendo che ““il più forte è colui che guarda la situazione, pensa alla gente, ha il coraggio della bandiera bianca e negozia”.
Il Vaticano ha messo in campo un’attiva mediazione per permettere tramite l’inviato del Papa Matteo Zuppi il rimpatrio di alcuni bambini ucraini sottratti alle famiglie e trasferiti in Russia, unica forma di negoziato che ha prodotto risultati nel conflitto in Est Europa assieme alla mediazione della Turchia sul transito di grano nel Mar Nero nel 2022-2023. L’apertura al dialogo di Trump a Vladimir Putin mette il Vaticano nelle condizioni di esser in prima linea per spingere alla fine della guerra.
Il Catholic Herald ha sottolineato che dall’apertura del Giubileo 2025 Francesco “ha più volte colto l’occasione per sottolineare la necessità di lavorare per la pace tra Russia e Ucraina”. In particolare, “ha aperto il mese di febbraio conducendo una videoconferenza a sorpresa con i giovani ucraini e rispondendo alle domande dei giovani di diversi Paesi”, commentata dall’Arcivescovo Maggiore Sviatoslav Shevchuk della Chiesa greco-cattolica ucraina come un’utile occasione di confronto e apertura dopo alcune incomprensioni del passato. La testata cattolica americana nota che “il nuovo presidente degli Stati Uniti potrebbe rivelarsi un fattore cruciale, se non decisivo, nell’aiutare le speranze del Giubileo a giungere a compimento”, sottolineando dunque quanto il perenne dualismo tra gli “imperi paralleli” continui. Vaticano e Usa faticano a comprendersi, al passare dei tempi si distanziano su molti fattori e spesso si scontrano. Ma non possono mai fare a meno l’uno dell’altro. Così è da sempre tra le grandi autorità spirituali e le realtà imperiali. E così sarà a maggior ragione con il Trump 2.0, segnato da un rinnovato protagonismo americano.
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