Ex Ilva, lo sprint di Baku sull’acciaieria. Il ministro Urso rassicura il vescovo: «Futuro solido»

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Non ci saranno altri rinvii. Oggi si chiudono i termini per i rilanci attesi da Baku Steel Company, Jindal International e Bedrok, i tre gruppi – provenienti nell’ordine da Azerbajian, India e Stati Uniti – che puntano ad acquisire tutta Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria messa sul mercato a fine luglio con un bando internazionale dai commissari Fiori, Quaranta e Tabarelli. I quali entro oggi attendono le precisazioni e le integrazioni agli ulteriori quesiti posti. La partita per l’ex Ilva è a tre, ma da più parti si sostiene che sarà Baku Steel il gruppo che darà lo scatto finale rispetto agli altri due competitor.

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Nell’evoluzione della trattativa, Baku avrebbe infatti migliorato la propria offerta sia economica – portandola ad un miliardo di euro complessivo tra 500 milioni attribuiti al valore del magazzino ed altrettanti alla società – che occupazionale. Secondo indiscrezioni, Baku alla fine potrebbe prendere 7.800 persone rispetto alle 9.773 dell’organico totale di fine gennaio. E bisogna vedere se in queste ore i numeri non saranno ulteriormente corretti in meglio. Non è che con Baku Steel non ci sono esuberi, ma sono comunque meno a quelli che ci sarebbero nell’offerta di Jindal che si sarebbe fermato, sempre secondo indiscrezioni, a 6.000 unità. Inoltre, Jindal, pur riconoscendo in mezzo miliardo il valore del magazzino, non avrebbe fatto passi avanti circa l’offerta economica sugli impianti che sarebbe rimasta al di sotto delle aspettative. 

Salvo a cambiare oggi in extremis. E siccome nemmeno gli americani di Bedrock avrebbero convinto, alla fine il cerchio si starebbe chiudendo su Baku Steel. I sindacati sarebbero convocati a Palazzo Chigi dopo il 20 febbraio. La partita dell’ex Ilva resta comunque complessa, tant’è che il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, ha chiamato l’arcivescovo di Taranto, Ciro Miniero, per parlare delle “prossime fasi del processo che porteranno all’assegnazione degli impianti dell’ex Ilva” ma anche dei “livelli occupazionali” e della “sostenibilità ambientale”. Urso, comunica il Mimit, “ha ribadito l’impegno del Governo a garantire alla città un futuro industriale solido e a rendere Taranto un modello di sostenibilità ambientale e innovazione nei processi di decarbonizzazione. In quest’ottica si è discusso dello sviluppo dei progetti di riconversione dell’area anche grazie all’insediamento del Tecnopolo Mediterraneo per lo sviluppo sostenibile di Taranto. Con la finalizzazione degli ultimi atti di nomina della governance, il progetto – ha detto il ministro all’arcivescovo – è entrato nel vivo, ponendo la città come punto di riferimento per la ricerca applicata e lo sviluppo di tecnologie avanzate”.

Settimane fa si era parlato di un possibile accordo tra Baku e Jindal, ma al momento questa intesa non c’è, salvo che non si determini in futuro. Baku non ha le stesse dimensioni di Jindal. Attiva dal 2011, un report di Siderweb la definisce “il fiore all’occhiello della metallurgia della Repubblica dell’Azerbajian. È la prima acciaieria moderna nella regione del Caucaso. Produce un’ampia gamma di prodotti tra cui billette tonde e quadre, tondo per cemento armato, vergella e tubi senza saldatura. Il forno elettrico ad arco, installato nel 2012-2013, ha una capacità produttiva di 800mila tonnellate di acciaio all’anno. E nel 2022 i ricavi delle vendite sono stati pari a 218,3 milioni di euro”. 
Baku Steel però non corre da sola. Suo alleato è Azerbaijan Investment Company Ojsc, fondata nel 2006 dal Governo della Repubblica dell’Azerbajian che detiene il 100% del capitale. In partita c’è quindi lo Stato azero. Mission di quest’ultima società è quella di investire nel settore non petrolifero e sinora ha mobilitato 184,6 milioni di dollari in 22 progetti diversificati. 
Baku ha poi altre tre carte spendibili: la disponibilità di gas (viene infatti dall’Azerbajian il gas che scorre nella condotta di Tap che approda a Melendugno nel Salento) per favorire la transizione e quindi i forni elettrici della futura Ilva; la possibilità di far venire a Taranto una nave gasiera; e il fatto di non avere altri stabilimenti in Europa e pertanto non è un soggetto che deve passare dal vaglio dell’Antitrust, come fu invece necessario anni fa per ArcelorMittal. Questo farebbe risparmiare tempo nel passaggio della società dai commissari agli azeri. 
Il Governo non vuole tirare per le lunghe la nuova privatizzazione di Acciaierie. Obiettivo è chiudere a marzo, anche se sembra problematico, e comunque il Mef avrebbe posto giugno come dead line essendoci un problema di risorse, tenuto conto che in un anno di amministrazione straordinaria AdI ha complessivamente assorbito un miliardo in vario modo. Gli ultimi arrivi sono stati i 100 milioni in più caricati col decreto Milleproroghe sul prestito ponte da 320 e i 250 che Ilva in amministrazione straordinaria è stata autorizzata a versare.

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