L’ importante non è vincere ma partecipare. O no? Ragioni e strumenti per un’opposizione ai giochi olimpici 2026 –

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Trentacinque anni fa Alex Langer ha detournato il motto olimpico citius, altius, fortius con limpidezza: “oggi queste tre parole potrebbero essere assunte bene come quintessenza della nostra civiltà e della competizione della nostra civiltà: sforzatevi di essere più veloci, di arrivare più in alto e di essere più forti. Questo è un po’ il messaggio cardine che oggi ci viene dato. Io vi propongo il contrario: vi propongo il lentius, profundius e suavius, cioè di capovolgere ognuno di questi termini, più lenti invece che più veloci, più in profondità, invece che più in alto e più dolcemente o più soavemente invece che più forti”. Nel solco della sua riflessione credo che il momento sia eccellente per una controstoria della seconda e certamente più nota massima dei Giochi, l’importante è partecipare, a partire dalla sua formulazione originale.

Il 24 luglio 1908 Dorando Pietri, stremato dalla fatica e da improbabili cocktail di brandy e stricnina, taglia il traguardo della gara fisicamente più spossante della quarta edizione delle olimpiadi moderne. A sorreggere il panificatore italiano in evidente stato confusionale sono alcuni dei giudici di gara, motivo per cui sarà prima squalificato e successivamente (su proposta del noto corrispondente del Daily mail Arthur Conan Doyle) premiato dalla regina in persona con una medaglia riparativa. Qualche ora più tardi l’attenzione si sposta sul banchetto conclusivo dei Giochi, Qui il barone De Coubertin, padrino dei Giochi olimpici moderni, parafrasa e rende immortale una frase pronunciata dal vescovo Talbot in una cattedrale di Londra solo cinque giorni prima: l’importante non è vincere, ma partecipare. Assunto che la paternità del concetto non era sua, cosa ha detto di preciso De Coubertin alla cerimonia conclusiva tenutasi alle Grafton Galleries? E soprattutto cosa intendeva dire? La prima risposta è facile: in questi giochi, l’importante è prendervi parte e non vincere, come la cosa più importante nella vita non è il trionfo ma la lotta. Per rispondere al secondo quesito dobbiamo ricordare che le frizioni tra statunitensi e inglesi, pur sublimate dalla pratica sportiva, erano alle stelle nel pieno svolgimento dei Giochi e De Coubertin intendeva probabilmente chiarire che solo attraverso la partecipazione alla competizione sarebbe stato possibile conquistare il titolo massimo, spronando così a non boicottare la sfida, per pure ragioni di astio e sciovinismo. Nonostante la prosa e il carisma nobiliare, la mattina del 25 luglio 1908 lo scozzese Wyndham Halswelle vince per la prima e unica volta nell’intera storia olimpica la gara dei 400 metri piani in assoluta solitaria: ed è medaglia d’oro. La gara era in vero già stata disputata qualche giorno prima e si dovette ripetere quella mattina per via di un sospetto fallo, ripetizione che si risolve appunto col boicottaggio di tre atleti USA su tre accreditati per la finalissima. Wikipedia così sintetizza l’epilogo della mattinata: è l’unica occasione nella storia delle Olimpiadi in cui una finale di atletica fu corsa da un solo atleta. Il reverendo e il barone non potevano immaginare né che la massima sarebbe diventata tanto iconica nel secolo a venire, né che sarebbe stata sconfessata giusto il giorno successivo alla sua pronuncia.

Manca un anno esatto all’apertura di Milano-Cortina 2026: giochi olimpici che arrivano a 130 anni dalla nascita dei giochi moderni, a un secolo dall’invenzione delle olimpiadi invernali e che per la prima volta propongono un ticket metro-montano lungo 450 chilometri di arco alpino. A segnalarci l’unicità dell’appuntamento concorrono l’implementazione del new norm (la riforma varata dal Comitato Olimpico Internazionale all’insegna della sostenibilità), l’eredità palese dell’Expo 2015, il posizionamento nel cuore di un ecosistema reso ancor più fragile dalla crisi climatica e, non ultimo, la conclamata indesiderabilità della proposta olimpica. A questo proposito è importante rilevare che i Giochi immediatamente precedenti e successivi (Parigi 2024, Los Angeles 2028) sono stati assegnati entrambi a tavolino per totale assenza di competitor.

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Il 6 febbraio 2026 lo stadio San Siro di Milano, quello pubblico e sottoposto a procedura di vincolo (ma che si vorrebbe demolito per farne uno privato e più piccolo a 150 metri di distanza) accoglierà la cerimonia inaugurale. Se negli anni di cantierizzazione dei Giochi la politica ha scelto di sacrificare in città altri due palazzetti di proprietà pubblica, tra cui paradossalmente proprio l’ultimo palazzetto del ghiaccio, all’ex scalo ferroviario di Porta Romana fervono i lavori per il contestato e costosissimo studentato che accoglierà le delegazioni nelle vesti di villaggio olimpico. Fuori porta diverse opere sono già state riprogrammate al 2028, 2029, 2031. Altre, fra le molte possiamo ricordare il cavalcavia Trippi di Sondrio o la tangenzialina dell’Alute (entrambe in Valtellina) sono in agenda nonostante i cantieri siano sotto scacco della contestazione popolare per manifesta inutilità e nocività. A Bormio, Livigno e specialmente Cortina i cantieri più rilevanti corrono, così come ad Anterselva e in Val di Fiemme, ma sarebbe miope reiterare il refrain della Fondazione Milano Cortina 2026, secondo cui i Giochi si limitano a ciò che avviene all’interno del perimetro dei cluster, dei villaggi e delle sedi delle cerimonie. Le olimpiadi moderne sono anzitutto un evento turistico, e solo in seconda battuta sportivo: un evento che poggia su diritti di sfruttamento televisivo e sponsor piuttosto che sulla bigliettazione, un appuntamento che accelera e legittima la realizzazione di grandi opere, piuttosto che la promozione della pratica sportiva e la sua accessibilità ai più giovani, alle fasce popolari, a quante/i abitano al di fuori di contesti urbani. La spesa olimpica si approssima a passi da gigante ai 6 miliardi di euro, di cui “solo” 1,6 spesi per la realizzazione dei Giochi. Il 70% di tutte le altre risorse sono drenate da infrastrutture stradali. Il 50% del costo di queste opere e il 50% delle opere è in Lombardia.

Il 9 febbraio 2025, a un anno dall’avvio dei cronometri, una cinquantina di associazioni ecologiste, comitati a difesa delle terre alte, centri sociali, gruppi di sport popolare, si danno appuntamento riconoscendo nel modello olimpico un dispositivo di governo del territorio comune a tante nocività che minacciano le terre alte, e a un tempo il protagonismo di ciascuna vertenza territoriale. Questa convergenza rifiuta la logica concentrazionaria dell’incontro a Milano (o Cortina) per abbracciare una sincronicità diffusa lungo la dorsale appenninica e l’arco alpino. Almeno una quindicina le escursioni, ascensioni, sci-alpinistiche, manifestazioni di dissenso e alternativa che dal Molise al Friuli animano la giornata di mobilitazione dal titolo La montagna non si arrende.

Il tam tam era partito in novembre con una chiamata da parte dell’Associazione Proletaria Escursionisti (ape-alveare.it), che già nella sua fase primigenia aveva condiviso le aspirazioni (e le sorti) del movimento dello sport popolare e della critica per un’evasione di classe dallo sportismo minato da trucchi, doping, commercio e nazionalismo. Gli anni d’oro dello sport popolare internazionalista si collocano tra il 1918 e il 1936. Quando centinaia di atleti accorsi per l’Olimpiada popular realizzano in Barcellona la prima brigata internazionale antifascista, l’esperienza apeina storica si è già conclusa da un decennio sotto l’incedere del regime. Negli ultimi dodici anni quella storia dimenticata ha bucato la coltre di neve e proprio attorno alla proposta di A.P.E. è accaduto qualcosa di inedito. La lotta a nuove cave e miniere si pone al fianco di quella contro un altro estrattivismo, di carattere turistico. La resistenza agli impianti eolici industriali si colloca in dialogo con quella contro opere fossili, sovradimensionate, nocive e imposte. Le collettive dello sport popolare ragionano con chi pratica la “viandanza corale” in un ambiente montano che, per definizione, è irriducibile alla domesticazione degli ambienti controllati in cui la pratica sportiva si dà, portano l’accento non solo su dilettantismo e professionismo, quanto su responsabilità, cura, gestione del rischio, promozione del processo autogestionario.

Questa, in sintesi, la scommessa della montagna che non si arrende:

  1. ragionare sul futuro delle terre alte a partire da abitabilità e attraversabilità, in un ambiente frutto di continua negoziazione tra comunità umana ed ecosistema, piuttosto che a partire dalla monocoltura esperienziale e mordi e fuggi
  2. mettere in relazione le realtà sociali curiose e disponibili alla costruzione di un fronte d’intervento comune riconvocandoci all’indomani per un bilancio e rilancio
  3. consolidare il percorso del Comitato Insostenibili Olimpiadi (cio2026.org) e delle altre reti attive per un’opposizione sociale alla logica estrattivista dei grandi eventi

Intorno alla proposta de La montagna non si arrende e al percorso peculiare di A.P.E. è attiva nell’area milanese una rete di realtà dell’autogestione, dei movimenti sociali e dello sport popolare che ha promosso innumerevoli attività negli ultimi due anni, tra cui una tre giorni dal titolo Utopiadi lo scorso autunno. Negli ultimissimi giorni il collettivo Off Topic (nodo della rete) ha pubblicato un’efficace rappresentazione fotografica dell’innevamento sugli impianti di risalita lombardi (offtopiclab.org/tracce/) mentre un laboratorio cartografico sta mappando opere e impianti olimpici in relazione alle fragilità ambientali e alle aree tutelate nei territori coinvolti. Non sono mancate le occasioni di piazza con cortei, pedalate critiche, momenti di autoformazione e incontro con altri itinerari di resistenza. L’ambizione non è certo quella di interrompere questa edizione dei Giochi. Mettere oggi in luce il tasso di indesiderabilità del grande appuntamento, fare un quotidiano lavoro sotterraneo di informazione, controinformazione, denuncia, è piuttosto la chiave per portare a casa alcune piccole e grandi battaglie adeguate a infondere fiducia nell’opposizione, ma anche a evidenziare la necessità di mettere in discussione l’esistenza stessa di giochi olimpici così concepiti. Non partecipare la competizione, l’attesa, la discorsività olimpica, ma accogliere l’opportunità di un radicale ripensamento di questi grandi eventi. Da più parti si parla esplicitamente di perimetrarne le dimensioni, di scegliere una località da mantenere nel tempo, di dilatarne la periodicità, di fermarsi all’opzione zero per ripensare il senso, il passato, e l’attualità dei giochi.

Lottare oggi, da Cortina e Milano e a difesa di cento vette, per imparare ad andare più lentamente, più in profondità, più dolcemente. L’importante non è vincere, oggi è importante non partecipare.

Alberto “abo” Di Monte

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