Cosa sta succedendo tra le Big Tech e l’industria della Difesa Usa

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Le startup tecnologiche come Palantir, Anduril e SpaceX stanno guadagnando terreno nel settore della difesa, mettendo sotto pressione i contractor storici del Pentagono. Mentre l’amministrazione Trump valuta un cambiamento radicale nel regime degli appalti per le Forze armate, i mercati puntano sempre più sulle emerging tech. Tra innovazione, investitori in fermento e vecchie sfide irrisolte, il futuro dell’industria della difesa americana è a un bivio

10/02/2025

L’industria della Difesa statunitense potrebbe essere a un punto di svolta. Con il processo di riarmo globale attualmente in corso, non è una sorpresa che i contractor della Difesa Usa — tra le società a più alta capitalizzazione del mondo — stiano vedendo una crescita positiva delle loro azioni. Tuttavia, è la performance delle startup innovative del settore a rappresentare la vera novità. Aziende come Palantir, Anduril e SpaceX, altamente specializzate in soluzioni tecnologiche d’avanguardia, stanno vedendo crescere sempre più la loro influenza. Le ragioni di questa rapida ascesa delle Big Tech nel settore della Difesa non sono imputabili unicamente alla rivoluzione portata dalle tecnologie emergenti dentro e fuori i campi di battaglia, ma hanno anche a che vedere con la strategia del Dipartimento per l’efficientamento governativo (Doge) guidato da Elon Musk e dalla fiducia degli investitori privati.

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Gli appalti della Difesa negli Usa

Negli ultimi decenni, gli appalti della Difesa statunitense si sono basati su contratti cosiddetti Cost-plus. Tramite questo tipo di contratti, il governo rimborsa all’azienda appaltatrice tutte le spese sostenute per completare un progetto, oltre ad aggiungere un margine di profitto prestabilito. Questo significa che l’azienda non corre rischi finanziari diretti, giacché tutte le spese vengono coperte, indipendentemente dall’efficienza con cui il progetto viene gestito. In un settore costantemente in evoluzione come quello della Difesa i costi di sviluppo non restano fissi e, anzi, la necessità di aggiornare le piattaforme con ogni ultimo ritrovato tecnico porta spesso a una loro crescita esponenziale, peraltro quasi impossibile da quantificare al momento dell’assegnazione dell’appalto. Di conseguenza, sono nati i contratti cost-plus, per incentivare l’innovazione e non permettere che i timori sui costi portassero le aziende a lesinare sulla ricerca e sugli aggiornamenti. Tuttavia, dall’altro lato della medaglia, questo ha anche portato alcuni programmi a raggiungere costi ai limiti del proibitivo, persino per il budget del Pentagono. Soprattutto in tempi recenti, questo ha portato i mercati a nutrire delle riserve nei confronti degli appaltatori della Difesa, accusati da alcuni di essersi adagiati sulla sicurezza fornita dai contratti cost-plus.

Le ipotesi sul taglio dei costi spingono in alto le big tech

Ora, mentre la presidenza di Donald Trump punta a ridurre sensibilmente le spese del governo federale, il segretario alla Difesa, Pete Hegseth, si è detto favorevole a un nuovo regime di appalti tramite contratti fixed-price per ridurre gli sprechi. In modo diametralmente opposto ai cost-plus, i contratti fixed-price fissano un prezzo in anticipo e trasferiscono il rischio ai fornitori, svincolando il Pentagono da ogni obbligo di rimborso. Per quanto, al momento, questa rimanga solamente una proposta, la prospettiva di un simile cambiamento è bastata a creare non poco scompiglio nel settore, soprattutto tra i contractor storici del Dipartimento della Difesa. “Percepiamo una grande paura da parte dei fornitori tradizionali”, ha affermato Shyam Sankar, Chief technology officer di Palantir. Secondo Sankar le nuove aziende emergenti, con i loro sistemi innovativi, rappresentano una minaccia per gli attuali fornitori di soluzioni software del Pentagono, i quali temono adesso la concorrenza delle emerging tech.

Vecchi problemi, nuove soluzioni?

La reintroduzione dei contratti fixed-price, già usati in passato come strumento per razionalizzare i costi della Difesa, potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio. Se da un lato l’abolizione dei contratti cost-plus promette di tagliare sprechi e inefficienze, aumentando quindi la fiducia degli investitori, l’assenza di garanzie di copertura potrebbe rivelarsi fatale per gli appaltatori. Con un contratto fixed-price, un aumento imprevisto dei costi o un’eccessiva corsa al ribasso per aggiudicarsi l’appalto potrebbero portare i contractor a spendere più in progettazione di quanto guadagnerebbero dalle effettive forniture, e questo l’industria Usa lo sa bene. In passato, sia negli anni 50 che negli anni 80, più di una società ha rischiato il fallimento a causa di dinamiche simili, portando in entrambi i casi a un ritorno agli accordi cost-plus. 

Ciò che rende fiduciose le emerging tech è la rapidità dei propri processi e la natura dei cicli di sviluppo delle soluzioni software, più brevi e con un gap temporale ridotto tra progettazione e produzione. Se nel settore ingegneristico tradizionale un dietrofront nello sviluppo può portare anche ad anni di ritardi, nel campo delle soluzioni software queste transizioni richiedono molto meno tempo e risorse per essere operate. Tuttavia, la questione rimane ancora sul tavolo di Hegseth e, se il nuovo regime dovesse essere approvato, ci vorrà del tempo per capire se i nuovi player emergenti dell’industria della Difesa a stelle e strisce riusciranno a rendersi immuni dai problemi che hanno finora afflitto i loro concorrenti. 

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